Thursday, December 30, 2010

Una rilettura del romanzo "Callista"

Newman e quel III secolo così simile a oggi


Pubblichiamo la sintesi di una delle relazioni pronunciate al simposio internazionale "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman" che si è tenuto alla Pontificia Università Gregoriana per iniziativa dell'International Centre of Newman Friends.

di Bernadette Waterman
Università di Dallas, Texas

John Henry Newman e il romanzo. Il beato inglese non è un maestro del genere - anche se c'è chi lo ha proposto come patrono dei romanzieri - ma nel suo Callista (1885) offre ai lettori una visione di cristiana eroica resistenza al male.
Callista rispecchia la lotta perenne della Chiesa militante contro l'anticristo. Newman scrive: "Proprio come i modelli di Cristo precedettero quest'ultimo, così fanno le ombre dell'anticristo (...) Ogni epoca contiene in sé l'immagine di eventi futuri, che, soli, sono il reale compimento della profezia che sta al loro inizio".
Lo scrittore, in contrapposizione agli stereotipi protestanti dei primi cristiani, grazie alla sua sorprendente conoscenza dell'antichità, illustra la pratica cristiana antica. Messe, catecumeni, confessioni, vescovi, paramenti sacri, miracoli, immagini, reliquie. Il racconto paragona la Roma antica a un'Inghilterra concepita quasi completamente in termini post-cristiani.
Nel romanzo, Cornelius - un uomo rozzo del periodo imperiale - si vanta della grandezza economica e militare di Roma, che noi lettori sappiamo essere in declino. Sentendosi minacciato dai cristiani, Cornelius "procede per fatti". E il grande fatto di Roma è il suo potere, celebrato in modo cerimoniale nei Giochi denominati Secolari nei quali dei giovani e delle vergini propiziavano i favori degli dei di Roma, e duemila "valenti" gladiatori marciavano per uccidere in suo onore. Dietro ai gladiatori venivano i bruti satiri saltellanti: il vacuo potere imperiale è servo dell'appetito.
Cornelius invoca il motto romano Novum saeculum, espressione simile a quella che richiama il simbolismo massonico sul dollaro americano. La nostra epoca secolare, perseguita con violenza dai massoni in Messico lo scorso secolo, abbonda di costosi templi commerciali dedicati al dollaro. Dietro ci sono "satiri, che saltellano e fanno capriole", culti più oscuri al servizio di appetiti ancora più meschini.
La "Santa Muerte", un idolo invocato dalla malavita della droga e della prostituzione a protezione dalle uccisioni, ha ispirato una parodia demoniaca di rituali cristiani nell'area al confine con il Messico. A 1.200 chilometri a nord, nella periferia di Dallas, i supermercati vendono le sue candele votive nere accanto a candele per il Sacro Cuore e la Vergine di Guadalupe.
La Roma di Newman celebra se stessa ignorando i barbari che incombono. E oggi ci si compiace della propria tolleranza mentre anticristiani spietati mettono in pericolo la vita della religione.
Aristo scherza su come Roma con le sue tasse mangi le sue stesse membra. Bassi tassi di natalità e spese pubbliche inadeguate non appartengono esclusivamente all'antichità. Agellius soffoca la propria coscienza per scendere a compromesso con Roma sul matrimonio. Quanti amministratori cattolici della sanità pubblica fanno oggi lo stesso? Agellius accetta di corteggiare Callista, rifiutando legalmente la fedeltà e il suo cortese compromesso con Jucundus lo impegna a un auto-inganno tanto immorale quanto l'aperta apostasia di Juba. In modo evidente, John Henry Newman rende Agellius profondamente grato per avere evitato un peccato che, a pensarci, è molto simile a certi usi moderni.
In L'attuale posizione dei cattolici in Inghilterra (1851) Newman riporta le calunnie vittoriane che equiparano i voti cattolici alla prostituzione e all'omicidio. Ci si potrebbe chiedere con Aristo: "Perché mai nel mondo si dovrebbe provare terrore per questi poveri spauracchi cristiani?". Newman ha la risposta: il carattere imperiale della Chiesa. La verità di Dio, paziente e inamovibile, né violenta né vendicativa, ha un'arma, ovvero che ogni cuore desidera la pace. Gli imperi terreni temono il cristianesimo perché non è soggetto al potere di nessuno, né dei media, né di Facebook, né, all'epoca, dei carnefici romani.
Nel romanzo, Jucundus e Polemo condannano la venerazione esclusiva che resiste alla neutralità ufficiale. Jucundus si lamenta: "Giurate sul genio dell'Imperatore, invocate la dea Roma (...) Noi non vi stiamo intrappolando, (...) non diciamo "Giurate sul genio di Cesare per cui egli ha il genio, nero, bianco o pezzato". Vi spieghiamo il significato dell'atto. È una mera espressione di fedeltà all'impero".
Jucundus considera perverso Agellius quando quest'ultimo sceglie la sofferenza piuttosto che abbandonare la verità: "La verità! - ha gridato - che cosa è la verità? Dove hai preso questo gergo? Che sciocchezza ti sta turlupinando? (...) Denunciare tutti gli altri riti tranne il proprio è quasi tradimento". Il potere dello Stato, in definitiva, è solo il potere di morte. L'Impero di Roma dell'anticristo è disarmato perché Cristo vince la morte.
In modo per loro offensivo la Chiesa cattolica afferma che esiste una verità stabile, permanente e universale, alla quale alcuni esseri umani hanno accesso e tutti potrebbero averlo. Il rifiuto dei cristiani di venerare le menzogne confonde quanti pensano che tutta la religione sia falsa o soggettiva. Fa infuriare i nostri contemporanei che ritengono la religione talmente un fatto privato da non dover mai essere espressa neanche pregando in pubblico.
La tolleranza compromettente dell'anticristo viene attuata in modo aggressivo. La semplice disapprovazione, come "l'odio" di Agellius "per il peccato e per la volgarità", è considerata un attacco e a volte solo la ritorsione letale può soddisfare i tolleranti.
La strega Gurta illustra questa ferocia nei capitoli dedicati da Newman a Juba, il fratello ribelle di Agellius.
Juba disprezza "l'effeminato" Agellius perché evita i bagordi pagani. Juba non pone limiti alla libertà di alcuno tranne che di coloro che potrebbero limitare la sua. Ritiene di essere libero di resistere al cristianesimo che sembra inibire Agellius, ma brama la compagnia del fratello nell'apostasia. Juba tormenta Agellius e insulta Cipriano, ma affronta la violenza della folla per aiutarlo a sfuggire agli insorti. Nega di credere in Dio, come l'ateo di Chesterton che pensa di non creder in nulla, ma che, di fatto, crede a tutto. Juba indossa amuleti e sussurra incantesimi.
Quanti di coloro che, ai nostri giorni, sostengono di essere superiori alla religione, si rivolgono agli oroscopi per avere dei consigli?
Dal padre cristiano deceduto, Juba, la figura del cristiano non osservante, riceve la consapevolezza del mondo invisibile che è, come dice Newman in un sermone, "fede, un dono soprannaturale. La fede possono averla i buoni e i cattivi ed è molto potente; anche i cattivi sono stati creati per servire la sua gloria e la sua lode (...) la fede non si perde facilmente". Umiliato dal male che ha scelto, dominato da esso senza volerlo, Juba non può più ingannare se stesso sulla realtà o la bontà di Dio.
In fondo, il iii secolo del romanzo pervaso da demoni, tormentato dalle locuste, danneggiato dal peccato umano, assomiglia al secolo di Newman e anche al nostro.
Il sofista Polemo esprime satiricamente un non senso vagamente hegeliano su una sorta di spirito del mondo incarnato in un governo mondiale unificato. La dolce nostalgia romantica per il paganesimo ha ravvivato quell'idea sofistica che ha prodotto il nazionalismo del xix secolo e il fascismo del xx secolo, la cui eredità perdura. Il relativismo però ha cancellato la fiducia del xix secolo nel progresso morale perché, come mostra Newman, il potere secolare deve proibire alla verità di competere con l'opinione e il sentimento.
I postmoderni che si auto-compiacciono definiscono le asserzioni di verità come lotta vacua. Tuttavia, i romani di Newman, più accorti, temono il desiderio di una realtà che nella sua essenza non sia vacua prepotenza.
Newman definisce la fede cattolica principio di impero mai esistito in precedenza. Lo statista romano comprese che avrebbe dovuto affrontare un rivale, altrimenti il cristianesimo avrebbe "rivoluzionato l'impero". Pertanto Newman inserisce nel testo due convertiti storici, Arnobio e Firmiano, per richiamare l'attenzione dei lettori sul tipo di disillusione verso la religione vuota che storicamente portò i filosofi pagani al cristianesimo.
Persino Jucundus ricorda la delusione biblica per la "vanità delle vanità". Auspica, con parole che ricordano quelle di san Paolo, qualcosa che non sia "un conflitto né un bagordo né un eccesso né un alterco". Tuttavia, l'Impero dell'anticristo inevitabilmente li promuove tutti e quattro.
Aristo incarna il perfetto gentiluomo di Newman. Apprezza "l'orgoglio della mente, il divertimento dell'intelletto, la voce e gli occhi del genio". Aristo presenta le divinità pagane come allegorie, simboli di realtà naturali o morali. Arnobius deride questa miticizzazione revisionista. Un contemporaneo di Newman, il poeta anglicano non credente Matthew Arnold, cercò di ricreare il cristianesimo come mito nuovo e più credibile. Come la religione di Arnold, la grande cultura di Aristo nasconde solo un narcisismo che inganna se stesso. La grande cultura lo tradisce. Inveisce contro i tragediografi per la loro mancanza di consolazione mentre sua sorella attende la tortura con serenità. Raccomanda a Callista il suicidio, esortando in modo simbolico alla morte della bellezza, come poi avrebbero fatto tanti artisti del xx secolo, e in modo disonesto finge di volersi uccidere. Continua, dunque, a vivere nella solitaria segregazione narcisistica dalla quale Callista evade.
Più che il personaggio di un romanzo, Callista stessa è un'illustrazione di un sermone: onestà verso se stessi e conseguente desiderio di Dio. Le guardie romane la trattano in modo stranamente gentile. Callista diventa a sua volta paganesimo virtuoso, carità rigorosa, desiderio sponsale della Persona divina, riconoscimento dell'inadeguatezza umana e, infine, fede fino al martirio. Tuttavia, intorno a lei si muovono figure più vive. Newman utilizza l'empatia della narrativa per esporre la sua visione più ampia del potere dell'anticristo, sempre contrapposto alla fede che pur non avendo alcun potere politico, gli resiste.
Roma è insicura e quindi orgogliosa. Deve uccidere quelli che non si sottomettono alla sua religione. Callista è sicura di sé e quindi forte grazie alla sua umiltà: "La via per il potere è la debolezza, la via per il successo è il fallimento, la via per la saggezza è la stoltezza".
Agellius e Aristo, Juba e Gurta e oltre a loro i romani, Firmiano, Arnobius, Cipriano alla fine riconoscono tutti il potere del desiderio di una verità stabile. La magnificenza della verità sembra a malapena qualcosa di più del potere di resistere al male, ma il sacrificio necessario per resistere, l'Europa ha potuto sperimentarlo nel xx secolo.
I cospiratori della Rosa Bianca studiavano Newman perché egli comprendeva profondamente che la seria autoconsapevolezza, la capacità di empatia e di carità vengono alimentate dalla resistenza al male.
Newman non è un romanziere abbastanza abile da riuscire a dare vita a Callista. Tuttavia sono pochi i narratori che hanno una visione tanto ricca, complessa, ben informata e completa per comunicare che il desiderio di Dio nel cuore umano è l'arma principale dell'impero contro l'anticristo nel corso di tutta la storia. Newman è un uomo che cerca realtà, non ombre. Forse è perché percepisce la realtà della santità in modo talmente acuto da non poter sopportare la mera creazione di un santo scaturito dalla fantasia.
Alla fine, egli parla di santi reali e più che parlarne, abbraccia la forza della loro santità, si unisce all'impero definito dalla loro umiltà, pace e volontà di martirio e ci esorta a fare altrettanto.


(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2010)

Monday, December 20, 2010

Discorso alla Curia Romana

Dal discorso del Papa alla Curia Romana del 19 dicembre 2010.


Infine, vorrei ancora ricordare la beatificazione del Cardinale John Henry Newman. Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? A queste domande si possono dare molte risposte, che nel contesto della beatificazione sono state sviluppate. Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa. Il primo è che dobbiamo imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un cammino spirituale che ci interessa tutti. Vorrei qui mettere in risalto solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente. Fino a quel momento, Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita. Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa la “realtà” secondo cui ci si orienta. Il “reale” è ciò che è afferrabile, sono le cose che si possono calcolare e prendere in mano. Nella sua conversione Newman riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili. Questa conversione significa una svolta copernicana. Ciò che fino ad allora era apparso irreale e secondario si rivela come la cosa veramente decisiva. Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita. Di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno: allora siamo sulla via retta.

La forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. Il mondo viene diviso negli ambiti dell’oggettivo e del soggettivo. All’oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l’esperimento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo il soggetto, e con la parola “coscienza” si esprime, appunto, questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza – un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. La sua terza conversione, quella al Cattolicesimo, esigeva da lui di abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti amici. La rinuncia che l’obbedienza verso la verità, la sua coscienza, gli chiedeva, andava ancora oltre. Newman era sempre stato consapevole di avere una missione per l’Inghilterra. Ma nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita. Era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi sconvolgenti: “Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione”. Non era ancora arrivata l’ora della sua efficacia. Nell’umiltà e nel buio dell’obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità.

Saturday, December 11, 2010

Newman e il sacerdozio. Vi spiego il mio film

Newman e il sacerdozio. Vi spiego il mio film

di Liana Marabini


Un film è un modo accessibile a tutti per conoscere un personaggio o un'epoca storica, ma è anche un potente mezzo di evangelizzazione. Ho deciso di fare un film su Newman, non solo perché ho un amore personale e sconfinato per la teologia e la spiritualità di Newman (e soprattutto per la fusione tra le due), ma anche perché lo considero un esempio per i nostri contemporanei, specialmente per i sacerdoti, che mi stanno molto a cuore. Infatti, loro sono gli eroi dei miei film e The Unseen World non fa eccezione: è un film su un uomo, già famoso nel suo tempo, grande teologo, scrittore di successo, ma soprattutto prete.

Non è stato facile trovare un attore che potesse interpretarlo, ma alla fine l'ho trovato: Murray Abraham. È un grande attore, negli Stati Uniti figura in quella che si chiama “The ‘A’ List”, vale a dire gli attori che hanno preso l’Oscar. Lui, la statuetta l'ha meritatamente vinta per il ruolo di Salieri nel film di Milos Forman, Amadeus. Murray è entrato con naturalezza nel ruolo. Abbiamo studiato insieme i movimenti, i gesti e perfino la voce che Newman, secondo me, doveva avere. Il risultato è molto buono.

Il film è ancora in lavorazione, ma si può vedere un trailer realizzato con le scene fino adesso girate, sul mio sito www.alter-christus.com ed anche sul sito che il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha creato, per dare spazio alla cultura cattolica: www.intermirifica.net (sulla pagina iniziale della versione inglese).

Quello che è più mi affascina di Newman è la sua somiglianza, teologica e spirituale, con Benedetto XVI. Newman, come Papa Ratzinger, è un buon prete. «I sacerdoti di Cristo non hanno altro sacerdozio che il Suo. Essi sono solo le Sue ombre e i Suoi organi, sono i Suoi segni esteriori; e quanto essi operano è Lui che lo opera; quando essi battezzano, Egli battezza; quando essi benedicono, Egli benedice». Queste parole sono di Newman e le scrive nei Parochial and Plain Sermons, volume VI, p. 242. «Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull’altare. Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell’Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità».

Queste parole invece sono state pronunciate da Benedetto XVI, nel videomessaggio ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale, il 28 settembre 2009. Newman e Benedetto XVI, benché eruditi, trasmettono l’amore di Dio a tutti, con parole semplici, che parlano, appunto al cuore. Entrambi cercano la verità e non hanno paura di mostrarla. Entrambi hanno un ideale sacerdotale. Entrambi sono dei sacerdoti ideali.

In tutti i miei film, metto in evidenza il modello del sacerdote ideale, reso tale anche dalla castità: è un modello che ispira le vocazioni. Infatti, la dottrina dei santi Padri (Agostino, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e Cipriano), arricchita nel corso dei secoli dai dottori della Chiesa e dai maestri dell’ascetica cristiana, suscita il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità al fine di aderire più facilmente a lui con un cuore non diviso e di disporsi «a ricevere una più ampia paternità in Cristo», come insegna il Concilio Vaticano II (Decreto "Presbyterorum ordinis", n. 16).

Newman ha uno sguardo particolare su coloro che, in virtù della consacrazione ricevuta, abbracciano la castità, la quale a sua volta assicura una maggiore identificazione con Gesù e dimostra che la teologia del celibato sacerdotale è intimamente connessa con la teologia dello stesso sacerdozio. In un dialogo molto significativo con un aspirante al sacerdozio, Newman spiega che la castità è la virtù delle virtù ed afferma che la poca fede porta al disprezzo della castità e che il disprezzo della castità conduce presto o tardi all’apostasia. Al contrario, l’amore e l’onore che si accordano al valore del celibato, e più in generale alla purezza e alla verginità, sono la misura dell’amore del sacerdote per Cristo, per il Vangelo e per la Santa Chiesa di Dio.

In un altro dialogo, Newman spiega l’essenza del sacerdozio cattolico, attraverso l’ordinazione, che crea l’elevazione di chi la riceve in una unione organica soprannaturale con Cristo. Spiega che i sacerdoti, attraverso il sacramento dell'ordine e il carattere che esso imprime, vengono configurati con Cristo ed agiscono in suo nome e poi cita due brani, molto significativi della Lettera ai Corinzi: «Così l'uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1 Cor 4,1) ed anche: «Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio» (2 Cor 5,20). Mentre Benedetto XVI riassume così questa figura, in occasione del ritiro sacerdotale internazionale del 2009: «Il sacerdote è l’uomo del futuro». Ed io sono d'accordo.

Tuesday, December 7, 2010

Un contributo alla nuova evangelizzazione

Iniziano in Vaticano le prediche d'Avvento tenute da padre Cantalamessa

Un contributo alla nuova evangelizzazione


di Nicola Gori

Sarà il pensiero del beato John Henry Newman uno dei fili conduttori delle prediche d'Avvento che il cappuccino Raniero Cantalamessa terrà in Vaticano a partire da venerdì 3 dicembre, alla presenza del Papa. In questa intervista al nostro giornale il predicatore della Casa Pontificia spiega i motivi della scelta e anticipa alcuni dei temi che affronterà nelle sue riflessioni.

Perché ispirarsi proprio a Newman per sviluppare i temi delle prediche?

Ho scelto di utilizzare il pensiero di Newman non solo per la sua attualità - rilanciata dalla beatificazione da parte di Benedetto XVI il 19 settembre scorso, durante il viaggio compiuto nel Regno Unito - ma anche perché, di fatto, il nuovo beato ha dovuto affrontare a suo tempo molte delle sfide che ci troviamo davanti noi oggi. In particolare, quella del razionalismo, che egli affronta in uno dei sermoni universitari dal titolo significativo The Usurpation of Reason ("Le prevaricazioni della ragione"). Anche a proposito del dialogo con la scienza, in particolare con la teoria evoluzionista allora di recente pubblicazione, Newman ha delle idee sorprendentemente precorritrici dell'atteggiamento attuale della Chiesa.

La sfida della nuova evangelizzazione, a cui fa riferimento il tema delle prediche, è stata di recente riproposta da Benedetto XVI ai superiori e alle superiore generali degli istituti religiosi. A partire dalla sua esperienza di cappuccino, quale può essere lo specifico contributo della vita consacrata?

La rievangelizzazione del mondo occidentale - dirò in una delle mie prediche - passa attraverso il recupero del senso del sacro in una società secolarizzata, segnata dal disincanto della scienza e della tecnica. In questo senso, la vita consacrata ha svolto sempre un ruolo profetico, di annuncio del secolo futuro. Anche perché, concretamente, i più grandi evangelizzatori sono stati da sempre i membri degli ordini religiosi, soprattutto apostolici. Alcuni di essi, come i domenicani e i gesuiti, si sono distinti sempre per la diffusione del messaggio tra le classi colte; altri, come noi cappuccini, tra il popolo.

Perché lo scientismo, il razionalismo e il secolarismo sono ostacoli all'accoglienza del messaggio cristiano?

Distinguo fortemente nelle mie riflessioni lo scientismo dalla scienza, il secolarismo dalla secolarità, il razionalismo dalla razionalità. Come tutti gli "ismi", scientismo, secolarismo e razionalismo indicano l'eccesso o la distorsione di un valore positivo. Essi sono un ostacolo all'evangelizzazione in quanto, come dice il Papa nel motu proprio Ubicumque et semper con cui ha istituito il nuovo Pontificio Consiglio, rendono "refrattarie" le popolazioni di Paesi di antica tradizione cristiana ad accogliere oggi il messaggio del Vangelo.

All'Angelus di domenica scorsa, parlando dell'Avvento, il Papa ha ricordato che l'uomo è vivo finché attende. Si può oggi risvegliare questa attesa nelle coscienze degli uomini e delle donne del nostro tempo?

Sarà proprio questo il tema di una delle prediche. Bisogna interrogarsi su come ridestare un mondo secolarizzato, dove ormai si ha perfino vergogna di parlare di eternità. In questo senso Benedetto XVI ha dato un contributo fondamentale con la sua enciclica Spe salvi, nella quale noi riscopriamo la certezza che "nella speranza siamo stati salvati".



(©L'Osservatore Romano 3 dicembre 2010)