Thursday, November 25, 2010

Il dovere della pazienza

Newman e i concili


Si è svolto il 22 e il 23 novembre presso la Pontificia Università Gregoriana un simposio internazionale sul tema "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman". Pubblichiamo una larga parte della relazione tenuta dall'autore della più importante biografia di Newman definita da Henry Chadwick "a very splendid book".
di Ian Ker

Poiché il concilio Vaticano II fu incentrato completamente sulla Chiesa, il documento in cui esso esamina la natura stessa della Chiesa, Lumen gentium, deve sicuramente essere il più importante. È nella sua ecclesiologia che Newman anticipa il concilio, forse in modo più determinante. Com'è fin troppo noto, Newman fu un pioniere solitario del laicato nella Chiesa altamente clericale del XIX secolo e fu l'autore di ciò che si considera il testo classico sul laicato, ovvero l'articolo Sulla consultazione di fedeli in questioni di dottrina. Senza dubbio avrebbe accolto bene il capitolo della Costituzione sul laicato. L'altro capitolo che attrasse grande attenzione allora e dopo il concilio fu il capitolo sui vescovi. Newman avrebbe di certo considerato quel capitolo come un'aggiunta necessaria e una modifica della definizione dell'infallibilità del Papa formulata del Vaticano i, che aveva inteso elaborare un insegnamento più ampio sulla Chiesa, intenzione frustrata dalla sospensione indefinita del concilio. Tuttavia, esistono due capitoli, che sono stati entrambi ignorati in confronto a quelli sul laicato e sui vescovi, ma che costituiscono l'idea fondamentale del concilio sulla natura della Chiesa e che erano stati anticipati da Newman. Mi riferisco ai primi due capitoli "Il Mistero della Chiesa" e "Il Popolo di Dio", che formulano in termini scritturali e patristici la definizione conciliare di ciò che Newman chiamava "l'idea della Chiesa". Le conseguenze dell'aver trascurato questi due capitoli fondamentali e di aver sopravvalutato il significato dei capitoli sui vescovi e sul laicato sono state facilmente predette da Newman: precisamente, un'enfasi eccessivamente gallicana sulla cosiddetta "collegialità", un'enfasi che ignora il fatto che la Chiesa è papale nonché episcopale e una sollecitudine per il laicato, che ha portato a ciò che io definisco "laicismo", che spesso si è sostituito al vecchio clericalismo. Prima, durante e dopo il concilio Vaticano i, Newman ha adombrato ciò che può definire una mini-teologia dei concili della Chiesa, che ha molta importanza per la nostra epoca post-conciliare. Il primo punto da evidenziare è che Newman non nutriva dubbi sul fatto che i concili fossero "sempre stati momenti di grande prova": la storia ha dimostrato che avevano "generalmente due caratteristiche - un gran quantità di violenza e di intrigo da parte di chi vi partecipava, e una grande resistenza alle loro definizioni da parte di porzioni di cristianesimo" (Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina). L'elemento più generale è che i concili hanno conseguenze inattese e più ampie di quelle che i testi conciliari sembrano presupporre. L'elemento più specifico è che un insegnamento conciliare non può essere considerato al di fuori del contesto o piuttosto, come in questo caso, senza un contesto. Newman sperava che, se il concilio sospeso fosse stato ripreso, "si sarebbe occupato di altri aspetti" che "avrebbe avuto l'effetto di qualificare (...) il dogma". Ciò a cui Newman si riferisce qui è un insegnamento più generale sulla Chiesa che avrebbe fornito un contesto all'infallibilità del Papa. Tuttavia, il fatto che la Chiesa abbia dovuto aspettare un altro concilio affinché questo accadesse, non avrebbe sorpreso Newman: il suo studio sulla Chiesa primitiva mostrava in che modo essa "era passata alla verità perfetta per mezzo di varie dichiarazioni successive, anche opposte fra loro, perfezionandole, completandole, arricchendole". La proclamazione dell'infallibilità del Papa "doveva essere completata" - "siamo pazienti, abbiamo fede e un nuovo Papa e un nuovo Concilio potranno assettare la nave". Quella profezia si avverò naturalmente con Giovanni XXiii e il concilio Vaticano ii, ma anche a quest'ultimo si applica il criterio generale secondo cui i concili devono "essere completati". Quando Newman parla di completamento, non intende accrescimento di ciò che è già stato insegnato, che nel caso del Vaticano i avrebbe significato un rafforzamento della proclamazione, ma intende "dichiarazioni in direzioni opposte". Nel caso del Vaticano II, Newman non suggerirebbe un Vaticano III, come molti speravano, almeno fino a poco tempo fa, che sarebbe "andato oltre" il Vaticano II, ma piuttosto "dichiarazioni in direzioni opposte". I dogmi della Chiesa primitiva, osservava Newman, non furono eliminati tutti in un'unica soluzione, ma un po' alla volta - un concilio faceva una cosa, un altro una seconda cosa - e così tutto il dogma veniva formulato. Sebbene, per la maggior parte, il concilio Vaticano ii non fu un concilio dogmatico, i suoi insegnamenti causarono e causano ancora oggi dissensi considerevoli. Dopo il Vaticano I, Newman aveva osservato che la Chiesa aveva avuto 300 anni per digerire e metabolizzare il concilio di Trento, ma "ora noi siamo figli nuovi, la nascita del concilio Vaticano (...) non sappiamo esattamente cosa abbiamo". La nota dolente era che, come sottolineò Newman, "i concili in genere agivano come una leva, spostando e mettendo in disordine parti del sistema teologico esistente". Gli insegnamenti conciliari richiedono un'interpretazione: difficilmente parlano per se stessi, sebbene dopo il concilio Vaticano II si parlò molto di "realizzare" i suoi insegnamenti come se fossero del tutto intelligibili. Non solo i teologi devono "stabilire la forza" di un insegnamento, proprio come "avvocati che spiegano atti del Parlamento" ma, la "voce diffusa" di tutta Chiesa deve farsi udire e le attitudini e le idee cattoliche devono "assimilare e armonizzare" un insegnamento conciliare. Visto che uno degli "svantaggi di un Concilio Generale è che esso getta unità singole della Chiesa nella confusione e le pone in disaccordo", Newman sarebbe rimasto difficilmente sorpreso sia dallo scisma dei vecchi cattolici di Döllinger sia dall'estremismo degli ultramontani nell'esagerare la portata della proclamazione dell'infallibilità del Papa. Né sarebbe rimasto sorpreso dalla situazione opposta, ma analoga, venutasi a creare dopo il concilio Vaticano II, quando sia Lefebvre e i suoi seguaci sia i liberali si unirono nell'esagerare la portata e la valenza rivoluzionarie del concilio. Tuttavia, sebbene Newman deplorasse il modo in cui Döllinger faceva appello alla storia contro il concilio come i protestanti facevano appello alle Scritture contro la Chiesa, non poteva negare di essere rimasto colpito dagli ultramontani estremi come il cardinale Manning, che aveva utilizzato una "retorica" straordinaria nella sua lettera pastorale dell'ottobre 1870, suscitando l'impressione che l'infallibilità papale fosse illimitata. Nello stesso modo, senza dubbio, avrebbe simpatizzato con i Lefebvriani al punto da deplorare l'estremismo aggressivo di Hans Küng e lo spirito del "partito del concilio Vaticano II". Newman evidenzia un elemento incisivo all'inizio del suo Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana. Nella prima sezione del primo capitolo, dove parla del processo di sviluppo delle idee, evidenzia che un'idea viva non si può isolare "dall'interazione con il mondo" e sostiene che questa interazione è veramente necessaria "se una grande idea deve essere compresa nel modo giusto e ancor di più se deve essere presentata in pienezza". Nella terminologia di Newman, il cristianesimo è proprio un'"idea" del genere. Ora esiste un'obiezione ovvia a questa argomentazione: ovvero che più una cosa si allontana dalla propria origine o fonte, più perde il suo carattere originale. Pur ammettendo che, di certo, c'è sempre il rischio che un'idea venga corrotta da elementi esterni, Newman insiste sul fatto che, sebbene "si dica a volte che la corrente è più chiara vicino alla sorgente", ciò non vale per il tipo di idea di cui si parla. Qualunque uso positivo si possa fare di questa immagine, esso non vale per la storia di una filosofia o di un credo, che, al contrario, è più equo, più puro e forte quando il suo letto è divenuto più profondo, ampio e pieno. Sorge necessariamente da uno stato di cose e da un terreno adatto. Il suo elemento vitale deve staccarsi da ciò che è estraneo e temporaneo. In altre parole, la filosofia o il credo divengono più autentici cambiando e sviluppandosi nel corso del tempo. È ironico che le parole famose che appaiono alla fine di questa sezione siano regolarmente citate fuori contesto a significare l'opposto di ciò che intendeva Newman: "In un mondo più alto è diverso, ma qui sotto vivere è cambiare, ed essere perfetti significa aver cambiato spesso". Il punto non è che il cattolicesimo deve cambiare o svilupparsi per essere diverso, ma per essere lo stesso. Ora, se Newman è corretto in ciò che dice sull'"idea", ossia che la filosofia o il credo divengono più equi, puri e più forti man mano che si sviluppano, allora gli insegnamenti del concilio Vaticano II diverranno più equi, puri e forti con il trascorrere del tempo. Chi ha partecipato al concilio pensava senza dubbio di aver compreso perfettamente il significato dei suoi insegnamenti. Sia Küng sia Lefebvre non avevano dubbi su come il concilio andava interpretato, ovvero come rottura con la tradizione, e, paradossalmente, come Döllinger e Manning, erano in totale accordo sul suo significato. In retrospettiva, possiamo vedere molto meglio la portata molto limitata della proclamazione dell'infallibilità del Papa e apprezzare l'accuratezza dell'interpretazione di Newman. Tuttavia, per Döllinger e per Manning la proclamazione significava molto di più di quanto la teologia cattolica fino ad allora aveva pensato significasse, un'idea che ha ricevuto l'avallo formale della Chiesa nel concilio Vaticano ii. A proposito di quest'ultimo concilio, si addiceva a Küng e a Lefebvre esagerare la sua natura rivoluzionaria, sebbene la cosiddetta rivoluzione suscitò in loro sentimenti molto diversi. Se è corretto definire Newman "il padre del concilio Vaticano II", allora non è irragionevole applicare la mini-teologia di sviluppo, che adombrò al tempo del concilio Vaticano I, e la sua teologia dello sviluppo, alla questione della ricezione e dell'interpretazione del Vaticano II nonché ai probabili sviluppi futuri. Se possiamo considerare Newman come nostra guida, allora, possiamo legittimamente utilizzare quel passaggio tratto dal Saggio sullo sviluppo per asserire che chi partecipò al concilio Vaticano II o ne fece esperienza probabilmente comprende il significato e l'importanza autentici dei suoi insegnamenti meno dei posteri. Se Newman ha ragione, l'"idea" del Vaticano ii diverrà più equa, pura e forte man mano che la corrente si allontanerà dalla sorgente e il suo letto diverrà più profondo, ampio e pieno. Lungi dallo svolgersi in un vuoto storico, il concilio Vaticano II ha avuto luogo in un momento di enormi capovolgimenti nella società occidentale, un periodo di euforia ottimistica, ma anche di grande devastazione morale e spirituale. Si è svolto in un periodo di rivoluzione e inevitabilmente "sapeva" del "terreno" degli anni Sessanta, per usare le parole di Newman, dello "stato delle cose" di quel decennio. Di conseguenza, "il suo elemento vitale deve staccarsi da ciò che estraneo e temporaneo". Dopo il concilio Vaticano i Newman ha costantemente esortato: "Il nostro dovere è la pazienza". Un anno dopo il concilio Vaticano I, Newman scrisse in una lettera privata: "La nostra saggezza consiste nel (...) pregare affinché Lui, che prima d'ora ha completato un quinto concilio con un secondo, possa fare così anche ora". Newman, di certo, non pregava per un ulteriore concilio che estendesse e rafforzasse la definizione della infallibilità papale, cosa che senza dubbio sarebbe piaciuta agli ultramontani, ma per un concilio che modificasse la definizione ponendola nella più ampia prospettiva di un insegnamento più esaustivo sulla Chiesa. Nel nostro tempo, non c'è stato un concilio Vaticano III a estendere e a rafforzare i testi conciliari equivalenti come avrebbe voluto l'ala liberale della Chiesa, ma, invece, i Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, si sono adoperati per inserire gli insegnamenti della Chiesa nella più ampia prospettiva della storia e delle tradizioni della Chiesa cosicché il concilio potesse essere compreso in continuità e non in rottura con il passato. Questo ci porta al secondo tipo di sviluppo di cui parla Newman nella sua mini-teologia dei concili. Infatti, non si tratta solo della questione del significato e dell'importanza dell'"idea" del concilio Vaticano II, che diviene più chiaro perché è visto sia alla luce del passato sia nella vita in divenire della Chiesa, ma anche della considerazione del fatto che i concili si aprono a ulteriori sviluppi per via di ciò che non dicono o sottolineano. Nel caso del concilio Vaticano I, Newman notava che l'insegnamento limitato al papato e la mancanza di un insegnamento generale sulla Chiesa avrebbero inaugurato il tipo di sviluppo che avrebbe recato frutto circa un secolo dopo nella Lumen gentium. Nello stesso modo le priorità sarebbero dovute cambiare dopo il Vaticano II sia per le esagerazioni prive di equilibrio dei suoi insegnamenti sia per l'emergere di nuovi problemi. Questo cambiamento, infatti, cominciò a verificarsi subito dopo il concilio. Erano trascorsi soltanto nove anni quando, nel 1974, Papa Paolo VI pubblicò Evangelii nuntiandi, in cui esortò a una nuova evangelizzazione. Infatti, a prescindere dal decreto sulle missioni estere, il concilio Vaticano II non affrontò l'evangelizzazione, che, di certo, sarebbe divenuto un grande tema del pontificato di Giovanni Paolo II. Questi due tipi di sviluppo si sono uniti in un fenomeno post-conciliare inaspettato, che è legato in modo vitale alla nuova evangelizzazione e che è esempio di entrambi i tipi di sviluppo di Newman citati. Si può affermare che il sorgere di nuove comunità e di nuovi movimenti ecclesiali, alcuni dei quali, di fatto, precedenti al concilio, da una parte rappresenta una reazione a ciò in cui il concilio ha fallito o che ha omesso di affrontare, e dall'altra spiega meglio e in modo più evidente i primi due capitoli della Lumen gentium, realizzando in concreto il loro significato e la loro importanza autentici. In generale, si potrebbe dire, che queste comunità e questi movimenti non sono comunità e movimenti laici, sebbene siano stati spesso definiti tali, ma comunità e movimenti ecclesiali. Sono ecclesiali e non laicali perché non sono composti soltanto da laici, ma anche dal clero, da vescovi, da religiosi e da laici consacrati. Il fatto importante è che riuniscono in una comunione organica i battezzati, indipendentemente dal loro status particolare nella Chiesa. È stata questa comunione organica che Newman ha ritratto nella Chiesa del iv secolo nel suo articolo Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina. È proprio la comunione organica dei battezzati il soggetto dei primi due capitoli della Lumen gentium, che evita nella maniera più assoluta di parlare della Chiesa nei soliti termini clericali/laici e nella quale i termini perfino non appaiono, essendo il "sacerdozio ministeriale o gerarchico" semplicemente riferito al legame con il sacramento dei santi ordini, quando vengono elencati i sette sacramenti che costituiscono "il sacerdozio comune dei fedeli". Questo movimento dello Spirito è stato un fenomeno nuovo e speso impopolare in una Chiesa sviluppatasi in modo sempre più clericalizzato, fino a quando l'enfasi del concilio Vaticano II sul laicato non provocò una incisiva reazione a favore della Chiesa laicizzata. Tuttavia, il fenomeno si è prodotto in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa perché è stato semplicemente un'altra manifestazione della dimensione carismatica della Chiesa in opposizione a quella gerarchica. Questa dimensione carismatica è, di fatto, riferita a tre tempi nei primi due capitoli della Lumen gentium. Questa riscoperta della dimensione carismatica come uno degli "elementi costitutivi" della Chiesa è stata descritta da Papa Giovanni Paolo II come uno dei risultati più importanti del concilio. (Movimenti nella Chiesa: Atti del Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali, Roma, 27-29 maggio 1998, Città del Vaticano: Pontificium Consilium pro Laicis, 1999, 221). La Lumen gentium ha utilizzato il nuovo termine teologico "carisma", traslitterazione della parola greca del Nuovo Testamento charisma, invece dell'espressione tomista gratia gratis data ("grazia data liberamente"). Com'è naturale, dunque, Newman non utilizza il termine carisma. Però, l'idea di grazie speciali donate agli individui a beneficio di tutta la Chiesa è stata una parte importante del pensiero di Newman sia come anglicano sia come cattolico. Il Newman anglicano comprese bene il significato immenso del carisma monastico quando la Chiesa non era più perseguitata, ma era divenuta la religione di Stato e correva il rischio di diventare troppo di questo mondo. In altre parole, la dimensione carismatica della Chiesa è essenziale per i cristiani che desiderano praticare la propria fede in un modo più impegnato e devoto. Come la Lumen gentium, Newman insiste sul fatto che i carismi hanno bisogno di una gerarchia che li regoli: "L'entusiasmo viene moderato e raffinato sottomettendolo alla disciplina della Chiesa invece di lasciarlo libero di esprimersi al di fuori di quest'ultima". Newman fu sempre consapevole del fatto che i carismi non vengono donati a beneficio solo di chi li riceve, ma anche di tutta la Chiesa. Quindi essi sono la risposta dello Spirito Santo alle necessità specifiche della Chiesa in un determinato momento. Dopo la conversione, Newman divenne oratoriano. Pensò, infatti, che quel carisma fosse importante nella Riforma cattolica per la rigenerazione del clero diocesano. Ciononostante, per certi versi considerò gli oratoriali anche come i primi monaci, che neanche emettevano voti. Newman riteneva che il carisma di san Filippo risalisse in maniera evidente al cristianesimo primitivo che era "semplice e puro" e al quale, non da ultimo, partecipavano in via straordinaria per quel tempo, anche i laici. In un sermone del 1850 definì i santi Benedetto, Domenico e Ignazio "tre venerabili Patriarchi i cui Ordini si spartiscono l'ampiezza della storia cristiana". Di certo, Filippo fu una figura minore se paragonato a quei giganti, ma Newman ha evidenziato che "egli imparò da tutti tre in successione". Sebbene nel suo vocabolario non vi fosse il termine "carisma" e vivesse in un'epoca nella quale la dimensione gerarchica della Chiesa era estrema, Newman non sottovalutò mai il significato della dimensione carismatica. Newman in realtà anticipò i movimenti e le comunità ecclesiali del XX secolo, non solo attraverso la sua ecclesiologia di comunione organica, ma anche nella pratica. Infatti guidò un movimento del proprio tempo, il Movimento di Oxford o Trattariano, che lungi dall'essere un'associazione clericale, come alcuni dei suoi fautori avevano inizialmente desiderato, consistette di laici e di ecclesiastici ed ebbe fra i suoi membri più importanti proprio dei laici. In seguito, al momento del ripristino della gerarchia cattolica nel 1850, Newman sperò che un movimento del genere potesse sorgere per sostenere la causa cattolica, ma la natura clericale del cattolicesimo del XIX secolo lo impedì. L'importanza che Newman attribuiva alla dimensione carismatica della Chiesa è in pieno accordo con l'insegnamento della Lumen gentium. L'importanza delle grandi figure carismatiche della Riforma cattolica nel XVI secolo è indubbia. In particolare senza sant'Ignazio di Loyola e senza la Società di Gesù è difficile capire in che modo avrebbero potuto realizzarsi le riforme del concilio di Trento. Nello stesso modo, non possiamo allora affermare che la realizzazione autentica degli insegnamenti del Vaticano II, ovvero una realizzazione in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa, è inseparabile dai carismi che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa nell'ultima metà del XX secolo? Di certo, i movimenti e le comunità ecclesiali che Papa Benedetto XVI ha definito il quinto grande movimento dello Spirito nella storia della Chiesa (Movimenti nella Chiesa, 23, 51), sembrano manifestare due tipi di sviluppo che, secondo Newman, sarebbero i risultati caratteristici del concilio.

(©L'Osservatore Romano - 26 novembre 2010)

Monday, November 22, 2010

MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI Al SIMPOSIO di Roma SU JOHN HENRY NEWMAN


Questo è il messaggio che Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti al Simposio organizzato a Roma in questi giorni dal "Centro Internazionale Amici di Newman" sul tema: “Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman”.





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Al Reverendo Padre

HERMANN GEISSLER, F.S.O.

Direttore dell’International Centre of Newman Friends

Mentre in me è ancora viva la gioia per aver potuto proclamare beato il Cardinale John Henry Newman, durante il mio recente viaggio nel Regno Unito, rivolgo un cordiale saluto a Lei, agli illustri Relatori e a tutti i partecipanti al Simposio organizzato a Roma dal Centro Internazionale Amici di Newman. Esprimo il mio apprezzamento per il tema scelto: "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman". Con esso infatti viene posto in giusta evidenza il teocentrismo come prospettiva fondamentale che ha caratterizzato la personalità e l’opera del grande teologo inglese.

E’ ben noto che il giovane Newman, nonostante avesse potuto conoscere, grazie alla madre, la "religione della Bibbia", attraversò un periodo di difficoltà e di dubbi. ! quattordici anni subì, infatti, l’influsso di filosofi come Hume e Voltaire e, riconoscendosi nelle loro obiezioni contro la religione, si indirizzò, secondo la moda umanista e liberale del tempo, verso una specie di deismo.

L’anno successivo, tuttavia, Newman ricevette la grazia della conversione, trovando riposo "nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore" (J.H. Newman, Apologia pro vita sua, Milano 2001, pp. 137-138). Scoprì quindi la verità oggettiva di un Dio personale e vivente, che parla alla coscienza e rivela all’uomo la sua condizione di creatura. Comprese la propria dipendenza nell’essere da Colui che è il principio di tutte le cose, trovando così in Lui l’origine e il senso dell’identità e singolarità personale. È questa particolare esperienza che costituisce la base per il primato di Dio nella vita di Newman.

Dopo la conversione, egli si lasciò guidare da due criteri fondamentali – ricavati dal libro La forza della verità, del calvinista Thomas Scott – che manifestano appieno il primato di Dio nella sua vita. Il primo: "la santità piuttosto che la pace" (ibid., p. 139), documenta la sua ferma volontà di aderire al Maestro interiore con la propria coscienza, di abbandonarsi fiduciosamente al Padre e di vivere nella fedeltà alla verità riconosciuta. Questi ideali avrebbero in seguito comportato "un grande prezzo da pagare". Newman infatti, sia come anglicano che come cattolico, dovette subire tante prove, delusioni e incomprensioni. Tuttavia, mai si abbassò a falsi compromessi o si accontentò di facili consensi. Egli rimase sempre onesto nella ricerca della verità, fedele ai richiami della propria coscienza e proteso verso l’ideale della santità.

Il secondo motto scelto da Newman: "la crescita è la sola espressione di vita" (ibid.), esprime compiutamente la sua disposizione ad una continua conversione, trasformazione e crescita interiore, sempre fiduciosamente appoggiato a Dio. Scoprì così la sua vocazione al servizio della Parola di Dio e, rivolgendosi ai Padri della Chiesa per trovare maggiore luce, propose una vera riforma dell’anglicanesimo, aderendo infine alla Chiesa cattolica. Riassunse la propria esperienza di crescita, nella fedeltà a se stesso e alla volontà del Signore, con le note parole: "Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni" (J.H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, Milano 2002, p. 75). E Newman è stato lungo tutta la sua esistenza uno che si è convertito, uno che si è trasformato, e in tal modo è sempre rimasto lo stesso, ed è sempre di più diventato se stesso.

L’orizzonte del primato di Dio segna in profondità anche le numerose pubblicazioni di Newman. Nel citato saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana, scrisse: "Vi è una verità; vi è una sola verità; ... la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla" (pp. 344-345). Il primato di Dio si traduce dunque, per Newman, nel primato della verità, una verità che va cercata anzitutto disponendo la propria interiorità all’accoglienza, in un confronto aperto e sincero con tutti, e che trova il suo culmine nell’incontro con Cristo, "via, verità e vita" (Gv 12,6). Newman rese perciò testimonianza alla Verità anche con la sua ricchissima produzione letteraria spaziando dalla teologia alla poesia, dalla filosofia alla pedagogia, dall’esegesi alla storia del cristianesimo, dai romanzi alle meditazioni e alle preghiere.

Presentando e difendendo la Verità, Newman fu sempre attento anche a trovare il linguaggio appropriato, la forma giusta ed i1 tono adeguato. Cercò di non offendere mai e di rendere testimonianza alla gentile luce interiore ("kindly light"), sforzandosi di convincere con l’umiltà, l’allegria e la pazienza. In una preghiera rivolta a san Filippo Neri ebbe a scrivere: "Che il mio aspetto sia sempre aperto e allegro, e le mie parole gentili e piacevoli, come conviene a coloro i quali, qualunque sia lo stato della loro vita, godono del più grande di tutti i beni, del favore di Dio e dell’attesa dell’eterna felicità" (J.H. Newman, Meditazioni e preghiere, Milano 2002, pp. 193-194).

Al beato John Henry Newman, maestro nell’insegnarci che il primato di Dio è il primato della verità e dell’amore, affido le riflessioni e il lavoro del presente Simposio, mentre, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, sono lieto di impartire a Lei e a tutti i partecipanti l’implorata Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti favori celesti.

Dal Vaticano, 18 novembre 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Sunday, November 21, 2010

Il primato di Dio nella vita e negli scritti

del beato John Henry Newman

22-23 novembre 2010

Pontificia Università Gregoriana

Piazza della Pilotta, 4 00187 Roma

organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newmanin in cooperazione con la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana. Un’iscrizione per la partecipazione non è necessaria.

più informazioni sul programma del Simposio

John Henry Newman (1801-1890), proclamato beato da Benedetto XVI il 19 settembre 2010, appartiene ai più geniali pensatori cristiani e continua a toccare le menti e le coscienze del nostro tempo. Come appassionato ricercatore della verità, instancabile promotore della cultura umana e cristiana, profondo conoscitore delle anime e figlio obbediente della Chiesa, ha saputo unire un pensiero forte con la testimonianza della vita, ponendo sempre Dio al primo posto.

Il Simposio cerca di mostrare il significato e l’attualità della sua ricerca di Dio (prima sessione) tenendo conto di alcune sfide del nostro tempo (seconda sessione) e valorizzando la sua profonda spiritualità (terza sessione) che spinge alla missione (quarta sessione). I relatori, scelti tra i più autorevoli studiosi di Newman a livello internazionale, affrontano con approcci diversi la grande questione di Dio che inquieta il cuore degli uomini di tutti i tempi.

Sarà prevista la traduzione simultanea.

Per ulteriori informazioni:

International Centre of Newman Friends

Via Aurelia 257, 00165 Roma

Tel.: 06 / 63 70 304

centro.newman@tiscali.it

www:newmanfriendsinternational.org

Facoltà di Teologia
Pontificia Università Gregoriana
Piazza della Pilotta 4, 00187 Roma
teologia@unigre.it

www.unigre.it

Il Simposio è sponsorizzato dalla Conferenza Episcopale dell’Inghilterra e del Galles.

Friday, November 12, 2010

Seminario sui BB. Newman e Barberi

Presso la Pontificia Università Lateranense - Cattedra Gloria Crucis, si tiene oggi un Seminario di studio su “Il Cardinale John Henry Newman e il Passionista Domenico Bàrberi”, moderato dal P. Prof. Fernando Taccone, CP, Direttore della Cattedra Gloria Crucis e con le seguenti relazioni: “La croce di John Henry Newman”, Prof. Giovanni Velocci, CSSR; “Il ruolo della coscienza nel dialogo tra fede e ragione secondo Newman: un aiuto per il superamento della tensione tra integralismo e nichilismo”, Prof. Maceri Francesco, SJ; “Rapporto attuale tra Chiesa Cattolica e Anglicana” Ven. Jonathan Boardman, Vicario Generale per la Chiesa d'Inghilterra in Italia e Malta; “Costituzione Apostolica "Anglicanorum coetibus" e i suoi frutti” Prof. Mons. Mark Langhan, Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani; “Pensiero filosofico di Bàrberi”, Prof. Adolfo Lippi, CP; “Beato Domenico Bàrberi: Lettera profetica al Movimento di Oxford”, Prof. Domenico Curcio, CP; “Pedagogia e schema del dialogo tra un cattolico e un anglicano” del B. Domenico Barberi, opera inedita, Prof. Giuseppe Comparelli, CP; “Un testimone: Padre Ignazio Spencer, CP” Prof. Paul Francis Spencer, CP.

Il Seminario si apre con il saluto di S. E. R. Mons. Enrico dal Covolo, SDB, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense e del Rev.mo P. Edoardo Aldo Cerrato, Procuratore Generale degli Oratoriani, cui segue la Introduzione del Rev.mo P. Ottaviano D'Egidio, CP, Superiore Generale dei Passionisti.

Saluto del P. Procuratore Generale

Eccellenze,
Chiarissimi Professori,
Rev.mi Padri
e cari amici,

è con profonda gioia che porgo a tutti i presenti il saluto della Famiglia Oratoriana, ringraziando la Cattedra Gloria Crucis ed il suo Direttore, P. Fernando Taccone, per questa apprezzata iniziativa del Seminario di studio su “Il Cardinale John Henry Newman e il Passionista Domenico Bàrberi”, due figure entrambe care ai discepoli di San Filippo Neri, per il rapporto che le lega nella vicenda che portò Newman ad entrare nella Chiesa Cattolica.

Non ho mancato, infatti, lo scorso 27 agosto, mentre l’Oratorio si preparava alla Beatificazione del Card. Newman, di ricordare, in modo speciale, a tutta la nostra Famiglia il B. Domenico della Madre di Dio nel giorno della sua memoria liturgica, e mi è gradito ricordarlo oggi, in occasione di questo Seminario di studio per il quale formulo i migliori auguri di proficuo lavoro.

Elevando il sacerdote passionista alla gloria degli altari, durante lo svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II, il servo di Dio Paolo VI, dopo averne delineato la figura ed i meriti affermava:

«Fu Padre Domenico, colui che la sera dell’ottobre 1845, a Littlemore, raccolse la professione decisiva di fede cattolica di quel singolarissimo spirito che fu Newman. La straordinaria importanza di quel semplice avvenimento e la ognora crescente grandezza del celebre Inglese riverberano sull’umile religioso una luce folgorante. Subito viene al nostro labbro la domanda: fu lui a convertire il Newman? quale fu l’influsso di Padre Domenico su di lui?

Queste domande sono tutt’oggi di vivissimo interesse e se le risposte non possono attribuire al nostro Beato il merito diretto di quella formidabile conversione, maturata, come si sa, dopo laboriosissime e drammatiche meditazioni, debbono però riconoscergli due altri meriti notevolissimi: quello di aver ascoltato un’arcana, inesplicabile vocazione, nettamente enunciata alla sua anima, fino dai primi anni della sua vita religiosa di consacrare il suo ministero apostolico all’Inghilterra, dove ancora i Passionisti non avevano messo piede. […] Padre Domenico sarà il primo Passionista ad entrare in Inghilterra, e, lui vivente, darà origine colà a quattro case della sua Congregazione, che, nell’opinione umana, non si sarebbe detta rispondente alla mentalità inglese. Invece le vie del Signore sono diverse. Perché possiamo ascrivere a nuovo merito del novello Beato aver recato l’immagine più adatta ad attrarre la stima e l’ammirazione del Newman, che farà della figura di quell’umile Religioso un personaggio impressionante d’un suo libro (Loss and Gain), e che lo ricorderà nella famosa «apologia» con semplicissime ma eloquenti parole: «È un uomo semplice e santo ed allo stesso tempo dotato di notevoli talenti. Non conosce le mie intenzioni, ma io intendo chiedergli l’ammissione nell’Unico Ovile di Cristo . . .» (Cap. VII, verso la fine). E scriverà poi: «Padre Domenico fu un mirabile missionario. Un predicatore pieno di zelo. Egli ebbe una grande parte nella conversione mia ed in quella di altri. Il solo suo sguardo aveva qualche cosa di santo. Quando la sua figura mi veniva alla vista, mi commoveva profondamente nella più strana maniera. La gaiezza e l’affabilità del suo tratto, congiunta a tutta la sua santità era già per me un santo discorso. Nessuna meraviglia quindi che io divenissi suo convertito e suo penitente. Egli aveva un grande amore per l’Inghilterra . . .» (Deposizione al Card. Parrocchi, cfr. P. Fed. p. 474).

E questo basta ora per noi. Ma è da credere e da augurare che l’accostamento di queste due sante figure, il Beato Padre Domenico e il Cardinale John Henry Newman, non lascerà più il nostro spirito, che continuerà a pensare al senso misterioso del loro incontro con grande speranza e con prolungata preghiera».

Con queste convinzioni, così altamente espresse, rinnovo a tutti i presenti il saluto della Confederazione dell’Oratorio e gli auguri di buon lavoro.

P. Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
Procuratore Generale

I Passionisti celebrano la figura del Beato Newman con un Seminario e un Oratorio

Il cardinale John Henry Newman, recentemente beatificato da Benedetto XVI nel suo viaggio apostolico nel Regno Unito, viene oggi celebrato con due iniziative, promosse dai Passionisti: un convegno alla Pontificia Università Lateranense e un Oratorio, “Il sogno di Domenico”, che verrà eseguito stasera per la prima volta. Le iniziative mettono l’accento in particolare sul legame tra il Beato Newman e il Beato Domenico Barberi che lo accolse nella Chiesa cattolica dopo la sua conversione. Alessandro Gisotti ha intervistato il passionista, padre Fernando Taccone su questa giornata dedicata a Newman:

R. – Chi ha accolto nella Chiesa cattolica John Henry Newman per la sua conversione è stato il nostro passionista padre Domenico Bàrberi, beatificato durante il Concilio Ecumenico Vaticano II da Paolo VI, nel 1963. Addirittura, in quella circostanza, Paolo VI, nel discorso di Beatificazione del Beato Domenico, parlò – sembrò ad alcuni - più del Newman che non, forse, del nostro Beato Domenico! La Beatificazione sta a sottolineare l’attenzione al ruolo del nostro Beato nella conversione e, quindi, anche nel processo iniziale di santità di Newman. Con questo seminario stiamo operando un congiungimento e lo spiega Newman stesso, nel suo “Apologia pro vita sua”: “Grande parte ha avuto nella mia conversione e nella mia vita Domenico Bàrberi”.

D. – Qual è il messaggio comune che questi due Beati danno agli uomini e ai fedeli di oggi?

R. - Il messaggio comune che danno è la ricerca della verità, la ricerca della verità a tutti i costi. E la verità per lui non era una realtà intellettuale: la verità è Cristo, la verità è la sua Parola. Questo è il messaggio grande che loro danno.

D. – Una ricerca della verità che accomuna fede e ragione?

R. – Fede e ragione per togliere tutte quelle ambivalenze, tutti quei contrasti che potrebbero esserci. La tesi grande del Newman, nello specifico, è proprio che il problema di fede e ragione viene risolto dalla coscienza. Per cui, la formazione della coscienza è fondamentale, perché è lì, nella coscienza, nel fondo di ogni uomo che c’è la presenza di Dio … Ecco che fede e ragione possono ben confrontarsi sul terreno della coscienza. (bf)