Tuesday, June 8, 2010

John Henry Newman e il sorriso buono di san Filippo


Nel pomeriggio di martedì 8 giugno viene presentato a Genova, nell'Oratorio di San Filippo, il libro che raccoglie gli Scritti oratoriani di John Henry Newman in un'edizione curata da Placid Murray (Siena, Cantagalli, 2010, pagine 504, euro 17). All'incontro parteciperà anche il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana. Anticipiamo stralci della relazione del procuratore generale della Confederazione dell'Oratorio e, in basso, dell'intervento del direttore dell'Ufficio per la cultura dell'arcidiocesi di Genova.


di Edoardo Aldo Cerrato

I testi di Newman sull'Oratorio, che l'edizione presenta, mostrano chiaramente quanto la vocazione oratoriana abbia segnato la vita e l'opera del nuovo Beato e quanto profonda sia stata l'appartenenza all'Oratorio di Padre Filippo di colui che pure "appartiene - affermava Paolo vi - a tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno"; che "appartiene a ogni epoca, luogo e persona", per dirlo con Giovanni Paolo ii; che è il teologo e uomo di Chiesa di cui oggi la Chiesa ha particolarmente bisogno, come ancor recentemente ricordava il Santo Padre Benedetto XVI parlando ai vescovi dell'Inghilterra e del Galles: "Grandi scrittori e comunicatori della sua statura e della sua integrità sono necessari nella Chiesa oggi".
"Amo un vecchio dal dolce aspetto, - scrisse Newman in riferimento a san Filippo - lo ravviso nel suo pronto sorriso, nell'occhio acuto e profondo, nella parola che infiamma uscendo dal suo labbro quando non è rapito in estasi...".
Newman fu oratoriano con la profondità che caratterizzò ogni scelta della sua vita e ogni opera intrapresa. E lo fu fino alla fine dei suoi giorni, anche rivestito della porpora romana di cui Leone xiii, sfidando il giudizio di altri, lo volle onorare. Giunto a Roma per il Concistoro del 1879, in cui sarebbe stato creato cardinale, Newman scriveva al suo vescovo: "Il Santo Padre mi ha accolto molto affettuosamente (...). Mi ha chiesto: "Intende continuare a guidare la Casa di Birmingham?". Risposi: "Dipende dal Santo Padre". Egli riprese: "Bene. Desidero che continuiate a dirigerla", e parlò a lungo di questo".
Non sfuggiva a Leone xiii l'importanza della presenza oratoriana iniziata da Newman in Inghilterra, quando vi fece ritorno, dopo l'ordinazione sacerdotale, portando con sé il Breve Magna nobis semper del 1847, con cui il beato Pio ix istituiva l'Oratorio nel Regno Unito e dava a Newman facoltà di propagarlo in quella Nazione; come non gli sfuggiva la triste situazione dell'Oratorio filippino, falcidiato in Italia dalle vicende storiche e politiche del xix secolo.
"Desidero che continuiate a dirigere (la Casa di Birmingham), e parlò a lungo di questo": quella di Papa Leone non è solo benevola concessione per evitare a un uomo di veneranda età le comprensibili difficoltà di un trasferimento a Roma e i possibili inconvenienti derivanti dal lasciare la congregazione da lui fondata; è la testimonianza che il Papa aveva perfettamente colto ciò che l'Oratorio significava per Newman, il quale gli aveva detto: "Da trent'anni sono vissuto nell'Oratorio, nella pace e nella felicità. Vorrei pregare Vostra Santità di non togliermi a san Filippo, mio padre e patrono, e di lasciarmi morire là dove sono vissuto così a lungo": fervida espressione di amore per la propria vocazione.
L'Oratorio si affacciò sull'orizzonte di John Henry Newman fin dal momento del suo ingresso nella Chiesa cattolica, quando Nicholas Wiseman, vescovo coadiutore del Distretto centrale dell'Inghilterra, lo persuase a ricevere l'ordinazione sacerdotale, suggerendogli pure l'Oratorio di San Filippo Neri come la forma di vita più idonea a lui e ai suoi compagni che lo avevano seguito nel ritiro di Littlemore, mentre Newman, pur esaminando la possibilità di aderire a qualcuno dei grandi ordini religiosi esistenti, abbozzava il progetto di una realtà nuova che tanti elementi possedeva in comune con l'Oratorio filippino.
Sostenuto dalla convinzione che la sua vita doveva svolgersi in una comunità caratterizzata "da un acuto senso della cultura e dal gusto innato per l'umanesimo", accompagnati "dal rispetto verso le persone e dal rifiuto di ogni coazione" - scrive il cardinale Jean Honoré - Newman dedicò un anno abbondante al discernimento sulla propria vocazione.
Giunto a Roma nell'ottobre 1846 con alcuni compagni per frequentare i corsi ecclesiastici in vista dell'ordinazione, questo intenso cammino di ricerca e di riflessione conobbe una illuminazione particolare: Newman comprese chiaramente che l'esperimento di vita comunitaria già intrapreso e l'esperienza della sua vita passata "potevano offrire un punto di partenza per il futuro", mentre la scelta di uno dei grandi ordini religiosi avrebbe comportato la dispersione del gruppo, oltre a non rispondere pienamente a ciò che si andava cercando.
La visita del gennaio 1847 all'Oratorio Romano in Santa Maria in Vallicella suscitò in Newman un profondo interesse, anche perché gli richiamò l'esperienza dei college universitari inglesi: "i membri - scrisse - conservano i loro beni e la loro abitazione, vi sono poche leggi (...) e una splendida biblioteca".
Dal 17 al 25 di quello stesso mese Newman e il fedele amico Ambrose St. John chiesero luce sulla loro vocazione davanti al sepolcro di san Pietro e si dedicarono a studiare le costituzioni e la storia dell'Oratorio. All'inizio di febbraio la decisione era presa: dopo l'ordinazione sarebbero stati iniziati alla vita oratoriana dai padri della Chiesa Nuova.
La figura di san Filippo Neri, di cui già nel periodo anglicano Newman aveva qualche conoscenza, si fece a lui più familiare: "Mi ricorda in molte cose Keble - scrisse alla sorella Jemima - I due condividono la stessa totale avversione all'ipocrisia, il carattere gioviale e quasi eccentrico, un tenero amore agli altri e il rigore con se stessi".
Il 14 febbraio, anche a nome dei compagni, Newman presentava al cardinale Giacomo Filippo Fransoni, prefetto di Propaganda Fide, il progetto del futuro Oratorio inglese: "Abbiamo scoperto - scriveva - un cammino intermedio tra la vita religiosa e una vita completamente secolare; il che si adatta perfettamente a ciò di cui sentiamo il bisogno". E il 21 febbraio, come amabile dono di compleanno per Newman, giungeva l'approvazione di Pio ix al progetto.
I sermoni predicati alla comunità in gennaio e febbraio del 1848 - Newman era giunto a Maryvale il 2 febbraio e di lì si sarebbe trasferito a Birmingham l'anno seguente - tracciano, attraverso la ricostruzione storica del cammino della congregazione e la presentazione delle caratteristiche interne dell'Oratorio, una magnifica panoramica della vocazione oratoriana, non superata, in molti aspetti, neppure dalle acquisizioni future e sono il frutto immediato, ma sorprendentemente maturo, delle letture e delle riflessioni romane.
Filippo Neri vi è colto da Newman nella sua originalità di vir prisci temporis, uomo del tempo antico nel quale rivive la "forma primitiva del cristianesimo", caratterizzata dalla semplicità e dalla spontaneità, espressioni privilegiate della carità cristiana che è "vincolo di perfezione" (Colossesi, 3, 14): "dodici preti che lavorano insieme: ecco ciò che desidero - dirà Newman ancora nel 1878, alla vigilia del cardinalato - Un Oratorio è una famiglia e una casa".
San Filippo Neri e l'Oratorio facilitarono, senza dubbio, a Newman la felice sintesi tra pietà e cultura di cui egli trovò altissima espressione nell'"umanesimo devoto" di san Francesco di Sales, fondatore dell'Oratorio di Thonon.
Rimarcando la "influenza decisiva" di san Filippo Neri sulla spiritualità di Newman, Jean Honoré arriva a parlare di una "terza conversione" dopo la prima del quindicenne John Henry e la seconda, costituita dall'ingresso nella Chiesa cattolica. Essa si situa particolarmente negli anni oscuri della sua vita di cattolico, quando, al contrario di quanto gli accadeva da anglicano, la sua preghiera era "serena", ma la sua vita "triste".
Newman, che nei suoi scritti autobiografici confessava di amare, già nel periodo anglicano, di essere ignorato, come padre Filippo consigliava ai suoi discepoli (ama nesciri), ora chiedeva a Filippo che gli insegnasse a spernere se sperni, a disprezzar d'essere disprezzato.
La "mortificazione della rationale" - tanto insistitamente proposta da padre Filippo ai suoi - non è rifiuto della coltivazione dell'intelligenza, che può estendersi a tutti gli ambiti del sapere, né agli affetti umani, dal momento che è indispensabile l'amicizia tra i membri della Casa, e neppure dei beni temporali: è la rinuncia alla "voluta propria" al fine di essere liberi ma non indipendenti, e solidali nella comune responsabilità.
Il secolo diciannovesimo aveva bisogno di una sintesi nuova tra "devozione" e "ragione" che solo una intelligenza poderosa e una spiritualità profonda come quelle di Newman potevano conseguire.
L'Oratorio di san Filippo Neri - scrisse l'oratoriano di Francia Louis Bouyer - "nasce dall'incontro, in san Filippo, tra un'anima eccezionalmente interiore e una mente eccezionalmente aperta": sta qui la vocazione a cui Newman si sentì chiamato e alla quale rispose, per il resto della sua vita, con dedizione generosa e fedeltà creativa.



La sintesi equilibrata e gustosa dell'Oratorio

di Mauro De Gioia

Nessuno dei grandi temi del pensiero di Newman è argomento del volume che presentiamo, e questo può far sorgere il rischio di considerarci davanti a un "Newman minore", la cui conoscenza sia utile agli specialisti, ma di cui il lettore comune possa tranquillamente fare a meno. Due elementi emergono però immediatamente per la loro attualità.
La "persistenza dei tratti" caratteristici del ministero anglicano di Newman "nel suo ministero cattolico denota - scrive il curatore nell'introduzione - come anche i valori spirituali acquisiti fuori dell'ovile cattolico possano trovare una collocazione legittima all'interno della Chiesa". Inoltre, il volume, che esce proprio alla conclusione dell'anno sacerdotale, presenta una spiritualità che molto ha da offrire ai sacerdoti in generale".
Credo infine che la scoperta di quanto profonda sia la dimensione "filippina" di Newman favorisca una comprensione più ampia ed equilibrata della sua vicenda biografica e, conseguentemente, anche del suo pensiero.
È certo ben noto agli studiosi di Newman come lo stile dell'Oratorio filippino gli fosse certamente congeniale da un punto di vista pratico e psico-affettivo. Dagli scritti qui raccolti emerge però con chiarezza che la scelta dell'Oratorio fu risposta a una vera vocazione: per Newman la congregazione non è semplicemente una soluzione pratica per trovare un modo di conciliare la vita comunitaria con i suoi amici e l'insofferenza per più rigide e regolamentate forme di vita religiosa.
L'incontro di Newman con l'Oratorio non è semplice incontro con una istituzione, ma con la persona di san Filippo Neri.
Il rapporto tra Newman e san Filippo è la prospettiva spirituale nella quale inquadrare i testi sull'Oratorio e capire quale fosse l'autocomprensione che Newman avesse della sua propria vocazione.
In una sua riflessione sulla storia della Chiesa il nostro considera tre grandi periodi: "l'antico, il medievale e il moderno, e in quei tre periodi ci sono rispettivamente tre ordini religiosi che si succedono sulla pubblica scena l'uno all'altro". I tre grandi ordini sono il benedettino, il domenicano e il gesuita: "Benedetto ha ricevuto la formazione intellettuale antica, san Domenico quella medievale e sant'Ignazio quella moderna".
Potremmo sindacare sulla scelta di Newman di identificare le tre grandi ere della Chiesa col carisma di questi tre grandi santi, ma a noi interessa sottolineare come queste tre figure, Benedetto, Domenico e Ignazio, siano poste in relazione con Filippo Neri. Nei due Sermoni sulla missione di san Filippo Neri tenuti a Birmingham nel 1850, Newman lega infatti le tre tappe fondamentali della formazione della vocazione di Padre Filippo all'incontro con queste tre figure.
La prima educazione avvenuta a Firenze nel convento di san Marco collega Filippo col carisma domenicano. La svolta vocazionale avvenuta durante il giovanile soggiorno a San Germano viene messa in relazione con l'incontro col carisma benedettino. Infine a Roma il giovane Filippo conosce personalmente Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù. E così conclude: "Erano rifulse in Lui le vedute di san Domenico, la poesia di san Benedetto, l'intelligenza di sant'Ignazio, tutto accompagnato da una incomparabile grazia e da una avvincente dolcezza. Saremmo noi suoi figli di quest'Oratorio (...) saremmo noi capaci di tanto! Prendiamolo almeno come nostro modello".
Per Newman Filippo Neri è quindi una sintesi equilibrata e gustosa (parla di "incomparabile grazia" e "avvincente dolcezza") di quelle che considera le tre fondamentali correnti spirituali della storia della Chiesa. Se questa è stata la sua missione tale è anche la missione dell'Oratorio, e quindi la sua propria vocazione, la sua vita di cattolico, di sacerdote, di oratoriano.

(©L'Osservatore Romano - 9 giugno 2010)

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