Tuesday, August 31, 2010
Viaggio in UK
In occasione della visita di Papa Benedetto XVI nel Regno Unito vi segnalo il sito ufficiale e la pagina ospitata sul sito del Vaticano che conterrà i testi dei saluti e dei discorsi.
Vi ricordo che il Santo Padre il 18 settembre alle 18.15 locali presiederà una veglia di preghiera per la beatificazione del Cardinale John Henry Newman presso l'Hyde Park (City of Westminster). Il 19 settembre sarà a Birmingham, presso il Cofton Park, dove alle 10 locali presiederà la cerimonia di beatificazione. Dopo la recita dell'Angelus visiterà l'oratorio ad Edgbaston.
Friday, August 27, 2010
L’arcivescovo di Dublino spiega perché Newman e B-XVI possono rifondare la fede in occidente
Intervista in esclusiva dal Meeting di Rimini
“L’Inghilterra è uno dei paesi più secolarizzati d’Europa, e Benedetto XVI è molto preoccupato dalla secolarizzazione, di cui lo scollamento tra fede e ragione è una delle dimensioni più significative”. Per questo il Papa ci andrà per beatificare il cardinale Newman. Lo spiega al Foglio monsignor Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, che a Rimini è venuto a parlare proprio di Newman.
Essere arcivescovo di Dublino di questi tempi non è mestiere per gente facilmente impressionabile, né per chi abbia un parlare che non sia l’evangelico “sì sì, no no”. Monsignor Martin ricopre quella carica dal 2004 e ha sempre parlato chiaro sulla situazione della chiesa irlandese anche in relazione agli scandali sulla pedofilia. “Va sottolineato senza ambiguità – ha detto parlando ieri al Meeting – che lo scandalo dell’abuso sessuale di bambini da parte di sacerdoti e religiosi in Irlanda è veramente uno scandalo e non un’invenzione dei media”. Una chiesa irlandese da ricostruire, un paese che “ha bisogno sia di laici e atei maturi che di cristiani maturi”. Martin era a Rimini già da lunedì. Ieri si è seduto sul palco e ha parlato di fede e ragione nell’opera di Newman, il teologo anglicano del XIX secolo convertitosi al cattolicesimo che Benedetto XVI farà beato tra poche settimane.
La sua relazione è stata anche l’occasione per parlare dell’Irlanda di allora (gli anni intorno al 1850, quando John Henry Newman cercò di dirigere la prima Università cattolica di Dublino) e quella di oggi. Newman, chiamato dal cardinale Paul Cullen a essere rettore dell’Ateneo in via di formazione, non riuscì a far decollare il progetto, che fallì pochi anni dopo (tanto che nella cattolica Dublino ancora oggi non c’è un’Università cattolica). Le cause del fallimento furono diverse (la carestia che colpì il paese proprio in quegli anni, la resistenza delle autorità britanniche, il fatto che le lauree di un istituto privato non venissero riconosciute), ma tra queste Martin ne ha sottolineata una in particolare: la mancanza di unità della chiesa irlandese. “Pensate che sia un problema di questi tempi – ha detto – ma come vedete è storia”. Newman lasciò la carica di rettore nel 1858, ma ciò non gli impedì di lasciare la sua idea di Università, secondo lui fondata sul rapporto tra ragione e fede.
Nulla di più vicino al pensiero di Joseph Ratzinger, spiega l’arcivescovo Martin dialogando con il Foglio e commentando anche il prossimo viaggio del Papa nel Regno Unito: “Il bene della società richiede una riflessione sulle questioni di Dio. Purtroppo oggi molte persone non hanno neanche la capacità di porsi questa domanda, non hanno la struttura razionale per farlo”. Qui sta allora l’importanza del pensiero di Newman per Martin, che il Papa andrà a ribadire: “Ci sono cose scritte da Newman 150 anni fa sul dramma della società moderna che sembrano scritte oggi, come un articolo del 1855 in cui il cardinale spiegava che ‘una delle più grandi calamità dell’epoca moderna è la separazione tra religione e scienza’”. Chi sono i veri destinatari del viaggio del Pontefice? “Credo che il Papa voglia spingere la chiesa ad affrontare la questione dell’indifferenza dell’occidente nei confronti della fede”. Una beatificazione che potrebbe essere di esempio soprattutto alle gerarchie ecclesiastiche, dunque. Il pensiero del cardinale Newman, come ha spiegato il professore della Lumsa Onorato Grassi introducendo l’incontro di Martin, “ha sofferto fino a qualche anno fa”. Quasi dimenticato, è stato rilanciato, almeno in Italia, anche grazie all’opera del fondatore di Cl don Luigi Giussani. Prova ne è la grande quantità di scritti del grande convertito inglese presenti sugli scaffali della libreria del Meeting in questi giorni, secondo per titoli forse al solo Giussani. “Sarebbe interessante – ha proseguito Martin parlando al Foglio – capire che cosa rappresenta oggi la sua figura per la chiesa anglicana. Le questioni da lui poste sono attuali per tutti”. Questa beatificazione è un altro sprone di Benedetto XVI al mondo moderno a domandarsi dove stia andando senza Dio, aggiunge Martin, che finisce la sua chiacchierata con il Foglio parlando della paternità del Papa nei confronti degli irlandesi: “La sua è una paternità che ci fa riflettere. E’ un uomo che ci pone delle domande e ci accompagna a trovare le risposte”.
La presidente d’Irlanda, Mary McAleese, domenica al Meeting ha detto che le vittime delle violenze sono state “rubate al Dio che cercavano”. Martin è rimasto colpito da questa frase: “E’ vero. Molti parlano di Dio, ne sentono il bisogno, ma non lo trovano: questo deve fare riflettere innanzitutto la chiesa su come si struttura e come evangelizza”. I giovani irlandesi sono i più catechizzati d’Europa e i meno evangelizzati. “Per questo dico che servono atei e cristiani maturi”. La lettera che Benedetto XVI ha inviato ai cattolici d’Irlanda dopo lo scandalo pedofilia sta dando i suoi frutti? “E’ un punto di partenza, ma solo questo. E’ una lettera che fa parte di un processo in atto, ma i problemi della chiesa d’Irlanda sono problemi creati in Irlanda e che devono essere risolti in Irlanda”.
Il Foglio, 25 luglio 2010.
“L’Inghilterra è uno dei paesi più secolarizzati d’Europa, e Benedetto XVI è molto preoccupato dalla secolarizzazione, di cui lo scollamento tra fede e ragione è una delle dimensioni più significative”. Per questo il Papa ci andrà per beatificare il cardinale Newman. Lo spiega al Foglio monsignor Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, che a Rimini è venuto a parlare proprio di Newman.
Essere arcivescovo di Dublino di questi tempi non è mestiere per gente facilmente impressionabile, né per chi abbia un parlare che non sia l’evangelico “sì sì, no no”. Monsignor Martin ricopre quella carica dal 2004 e ha sempre parlato chiaro sulla situazione della chiesa irlandese anche in relazione agli scandali sulla pedofilia. “Va sottolineato senza ambiguità – ha detto parlando ieri al Meeting – che lo scandalo dell’abuso sessuale di bambini da parte di sacerdoti e religiosi in Irlanda è veramente uno scandalo e non un’invenzione dei media”. Una chiesa irlandese da ricostruire, un paese che “ha bisogno sia di laici e atei maturi che di cristiani maturi”. Martin era a Rimini già da lunedì. Ieri si è seduto sul palco e ha parlato di fede e ragione nell’opera di Newman, il teologo anglicano del XIX secolo convertitosi al cattolicesimo che Benedetto XVI farà beato tra poche settimane.
La sua relazione è stata anche l’occasione per parlare dell’Irlanda di allora (gli anni intorno al 1850, quando John Henry Newman cercò di dirigere la prima Università cattolica di Dublino) e quella di oggi. Newman, chiamato dal cardinale Paul Cullen a essere rettore dell’Ateneo in via di formazione, non riuscì a far decollare il progetto, che fallì pochi anni dopo (tanto che nella cattolica Dublino ancora oggi non c’è un’Università cattolica). Le cause del fallimento furono diverse (la carestia che colpì il paese proprio in quegli anni, la resistenza delle autorità britanniche, il fatto che le lauree di un istituto privato non venissero riconosciute), ma tra queste Martin ne ha sottolineata una in particolare: la mancanza di unità della chiesa irlandese. “Pensate che sia un problema di questi tempi – ha detto – ma come vedete è storia”. Newman lasciò la carica di rettore nel 1858, ma ciò non gli impedì di lasciare la sua idea di Università, secondo lui fondata sul rapporto tra ragione e fede.
Nulla di più vicino al pensiero di Joseph Ratzinger, spiega l’arcivescovo Martin dialogando con il Foglio e commentando anche il prossimo viaggio del Papa nel Regno Unito: “Il bene della società richiede una riflessione sulle questioni di Dio. Purtroppo oggi molte persone non hanno neanche la capacità di porsi questa domanda, non hanno la struttura razionale per farlo”. Qui sta allora l’importanza del pensiero di Newman per Martin, che il Papa andrà a ribadire: “Ci sono cose scritte da Newman 150 anni fa sul dramma della società moderna che sembrano scritte oggi, come un articolo del 1855 in cui il cardinale spiegava che ‘una delle più grandi calamità dell’epoca moderna è la separazione tra religione e scienza’”. Chi sono i veri destinatari del viaggio del Pontefice? “Credo che il Papa voglia spingere la chiesa ad affrontare la questione dell’indifferenza dell’occidente nei confronti della fede”. Una beatificazione che potrebbe essere di esempio soprattutto alle gerarchie ecclesiastiche, dunque. Il pensiero del cardinale Newman, come ha spiegato il professore della Lumsa Onorato Grassi introducendo l’incontro di Martin, “ha sofferto fino a qualche anno fa”. Quasi dimenticato, è stato rilanciato, almeno in Italia, anche grazie all’opera del fondatore di Cl don Luigi Giussani. Prova ne è la grande quantità di scritti del grande convertito inglese presenti sugli scaffali della libreria del Meeting in questi giorni, secondo per titoli forse al solo Giussani. “Sarebbe interessante – ha proseguito Martin parlando al Foglio – capire che cosa rappresenta oggi la sua figura per la chiesa anglicana. Le questioni da lui poste sono attuali per tutti”. Questa beatificazione è un altro sprone di Benedetto XVI al mondo moderno a domandarsi dove stia andando senza Dio, aggiunge Martin, che finisce la sua chiacchierata con il Foglio parlando della paternità del Papa nei confronti degli irlandesi: “La sua è una paternità che ci fa riflettere. E’ un uomo che ci pone delle domande e ci accompagna a trovare le risposte”.
La presidente d’Irlanda, Mary McAleese, domenica al Meeting ha detto che le vittime delle violenze sono state “rubate al Dio che cercavano”. Martin è rimasto colpito da questa frase: “E’ vero. Molti parlano di Dio, ne sentono il bisogno, ma non lo trovano: questo deve fare riflettere innanzitutto la chiesa su come si struttura e come evangelizza”. I giovani irlandesi sono i più catechizzati d’Europa e i meno evangelizzati. “Per questo dico che servono atei e cristiani maturi”. La lettera che Benedetto XVI ha inviato ai cattolici d’Irlanda dopo lo scandalo pedofilia sta dando i suoi frutti? “E’ un punto di partenza, ma solo questo. E’ una lettera che fa parte di un processo in atto, ma i problemi della chiesa d’Irlanda sono problemi creati in Irlanda e che devono essere risolti in Irlanda”.
Il Foglio, 25 luglio 2010.
Thursday, August 19, 2010
John Henry Newman e l'abito mentale filosofico
Angelo Bottone
JOHN HENRY NEWMAN E LʼABITO MENTALE FILOSOFICO
Retorica e persona negli Scritti Dublinesi
Prefazione di Mons. Bruno Forte
Edizioni Studium
Collana "La dialettica''
pp. 206 - € 15,00
ISBN 978-88-382-4122-2
Le riflessioni formulate da John Henry Newman durante la sua permanenza a Dublino (1851-1859) sono qui considerate per la prima volta nella loro totalità e nel loro pieno significato, nel tentativo di dimostrare come la loro unità non sia solo meramente cronologica ma anche concettuale.
Lʼanalisi dei volumi, degli articoli e dei sermoni, oltre a ricostruire lo sfondo storico e le ragioni che portarono alla decisione di erigere una Università cattolica in Irlanda, consente unʼoriginale comparazione del pensiero di Newman con quello di tre autorevoli figure discusse negli Scritti Dublinesi:
Aristotele, Cicerone e Locke; lʼinfluenza del primo viene presentata in una nuova luce e accostata alla retorica ciceroniana e allʼutilitarismo di Locke e dei suoi seguaci.
Vengono inoltre analizzate le differenti dimensioni della persona umana che si evincono dagli Scritti, il concetto di unità della conoscenza e di abito mentale filosofico, offrendo così unʼampia considerazione critica sulla relazione tra moralità e sapere, sulla difesa della conoscenza liberale, sulla dimensione artistica e morale dellʼessere umano, in opposizione a tendenze dellʼetica moderna quali lʼutilitarismo, il deontologismo e il sentimentalismo. Non manca unʼinteressante riflessione sullʼattualità delle questioni sollevate dagli Scritti Dublinesi con riferimento allʼinquieto evolversi del mondo universitario e ad alcuni grandi autori del pensiero contemporaneo.
Tuesday, August 17, 2010
Un padre assente del concilio vaticano II
Pubblichiamo stralci di un articolo apparso nel 2009 sulla rivista "Vita e Pensiero" a firma del presidente emerito della Repubblica italiana, morto martedì 17 agosto a Roma.
di Francesco Cossiga
Il pensiero di John Henry Newman era ben conosciuto a padri e periti conciliari: e tra questi anche al già ben noto teologo tedesco Joseph Ratzinger. Durante il concilio vaticano II, ci si riferì a Newman - come a un altro originale filosofo e teologo, Antonio Rosmini - come a un ispiratore e "padre assente" del concilio. Dire esaustivamente quanto le decisioni conciliari debbano ai suoi insegnamenti esigerebbe un oratore molto, ma molto più ferrato di me, che non ho coltivato né la filosofia né la teologia, ma ho soltanto "razzolato" in esse!
In un articolo scritto su "L'Osservatore Romano" nel 1964, il filosofo cattolico Jean Guitton scriveva: "I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. È come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati: così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman".
Le dichiarazioni del concilio hanno statuito sulla libertà della coscienza e sul primato della coscienza nel campo del pensiero e dell'etica, anche se - come notò in un suo studio il teologo Joseph Ratzinger - non senza qualche ambiguità e indeterminatezza. Il concetto di libertà e di primato della coscienza è al centro del Decreto sulla libertà religiosa. Questo concetto è caratteristico del pensiero di Newman che lo espose in modo brillante nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, nella quale confutò le gravi osservazioni sulla libertà dei sudditi cattolici della Corona di osservare le leggi del Regno e di servire lealmente la Corona stessa, dopo la proclamazione, da parte del concilio Vaticano i, del dogma dell'infallibilità; dogma contro la sostanza del quale Newman, a differenza del suo grande amico cattolico napoletano-bavarese-inglese, lo storico della libertà, regius professor dell'università di Cambridge, il cattolico-liberale lord Acton, non aveva scritto, ma solo si era interrogato pubblicamente sull'opportunità di proclamarlo in quel momento storico (ma subito dopo obbedendo silenziosamente).
Lo stesso Papa che lo aveva proclamato, di fronte alla dura reazione del cancelliere germanico von Bismarck, sentì la necessità di scrivere una lettera ai vescovi tedeschi, in risposta a una lettera che essi gli avevano scritto, chiarendo il contenuto e i limiti dell'infallibilità papale. Proprio nella già citata Lettera al Duca di Norfolk Newman conclude il capitolo sulla coscienza con le celebri parole: "Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa".
Per spiegare che cosa fosse la coscienza, nel suo saggio appunto a essa dedicato, forse quasi temerariamente e con parole che a suo tempo scandalizzarono molti, specie tra gli ultramontani, affermava: "Sembra (...) che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita". E ancora: la coscienza "non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti". E addirittura: "La coscienza è l'originario vicario di Cristo". Ma Newman più oltre aggiunge: "Per timore di non venire fraintesi, debbo ripetere che, quando io parlo di coscienza, intendo quella coscienza intesa nel suo vero significato. Per avere il diritto di opporsi all'autorità suprema, benché non infallibile, del Papa, essa dev'essere qualcosa ben maggiore di quell'infelice contraffazione che (...) viene ora popolarmente intesa".
Newman ricorda anche quella sentenza, propria oltre che di Tommaso d'Aquino anche dei teologi e canonisti della Scuola Salmaticense e dei gesuiti del XVII secolo, secondo cui la coscienza va sempre seguita anche se erronea, e anche se l'errore sia frutto della propria colpa. La coscienza di cui Newman invoca il primato è la tuta et informata conscientia dei più certi moralisti, una coscienza che anche se erronea - perché l'uomo non è perfetto e poche sono le così dette "rivelazioni personali" - sia frutto di preghiera, di onesta informazione e di meditazione. Questo primato della coscienza invocarono non con dichiarazioni, ma con fatti, coloro che non condivisero la conclusione del concordato tra la Santa Sede e il Terzo Reich e il conseguente ordine impartito attraverso i vescovi ai cattolici tedeschi di sciogliere il partito del Centro Cattolico e il Partito cristiano-sociale bavarese.
Non si tratterebbe di ingiusto appello al primato della coscienza disattendere l'insegnamento del Papa in materia di aborto, eutanasia, così detti patti di solidarietà sociale, se si ritenesse di approvare leggi civili secondo il criterio del "male minore", se a esempio, qualora i deputati e senatori cattolici dichiarassero di volere votare contro siffatti provvedimenti e il governo minacciasse per ritorsione di denunziare il concordato o di abolire l'insegnamento della religione, il giudizio sul "che fare" sarebbe di competenza dei politici per quanto attiene alla credibilità della minaccia, ma del Papa e dei vescovi, per quanto attiene alla ponderazione degli interessi.
Grande influenza ha poi avuto John Henry Newman nell'esaltazione del laicato, e nella definizione della sua posizione e della sua funzione nella Chiesa. Già nel suo famoso saggio sugli ariani o precisamente sull'arianesimo, dottrina cristologica elaborata da Ario e condannata come eresia dal primo concilio di Nicea - saggio nel quale cominciò a esternare i suoi dubbi sull'adesione di tutta la Chiesa d'Inghilterra ai principi stabiliti dagli antichi concili - egli aveva messo in luce come di fronte all'imperatore e alla stessa grande maggioranza dei vescovi che avevano aderito alla dottrina di Ario o che tacevano, furono i laici, i semplici fedeli, che tennero salda la retta fede e rimasero nell'ortodossia e a essa assicurarono la fedeltà della Chiesa. Questa dottrina della funzione del laicato John Henry Newman sviluppò, poi, da cattolico, nel saggio pubblicato nell'ultimo numero del periodico cattolico inglese "The Rambler", fondato da lord Acton e di cui questi gli aveva ceduto la direzione nella speranza di evitare che i vescovi inglesi ne ordinassero la chiusura. Di fronte a monsignor Talbot, che affermava che i laici cattolici dovevano limitarsi ad andare a caccia e a pesca, giocare a cricket, sostentare la Chiesa, organizzare banchetti e fare figli, nel saggio intitolato Sulla consultazione dei fedeli laici in materia di fede, egli spiegò come il popolo di Dio, tutto il popolo di Dio e quindi anche i laici, sia soggetto di infallibilità e come quindi sia non soltanto lecito ma doveroso "sentire i laici in materia di fede".
A conferma della sua tesi, egli ricordò come Pio IX, prima di proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, avesse chiesto ai vescovi non solo cosa essi pensassero, ma cosa pensasse il popolo di Dio. Questo saggio fece precipitare la situazione, perché da alcuni fu considerato eretico o almeno apud haeresim. Già, perché fino a quando - nonostante l'opposizione di un altro convertito, il cardinale Manning, il vescovo ultramontano - Leone xiii lo fece cardinale, John Henry Newman fu spesso sospettato di eterodossia e molto soffrì non solo pro Ecclesia, ma anche propter Ecclesiam!
Il terzo per così dire "spazio conciliare" nel quale fu grande l'influenza del pensiero di John Henry Newman - giustamente definito, dopo la sua morte, "un profeta e un genio" - fu quello del ritorno dello studio teologico e della stessa catechesi alla Bibbia e ai Padri della Chiesa, cui ampiamente si riferirono i padri conciliari: sul ritorno alla Bibbia si sono fatti molti passi avanti (pensiamo all'ultimo Sinodo dei vescovi).
L'originale dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, dottrina che non vuole certo contraddire quanto sempre affermato dalla Chiesa (essersi la Rivelazione chiusa e conclusa con la predicazione degli apostoli), ha posto in luce, cosa ormai pacificamente accettata, che la storia, la storia dell'uomo, nella quale si è manifestata la Rivelazione e si svolge la storia della sua salvezza, questa storia con le ricerche e l'esperienza umana dilata e precisa il significato del dogma, ne amplia gli orizzonti, lo sviluppa, insomma. E questo vale anche per l'insegnamento ordinario del Papa e dei vescovi. Così, la storia, la storia della libertà, la storia della libertà dei popoli, ha dato un diverso significato a quanto nell'insegnamento di Pio IX, particolarmente nel Sillabo, sembrava - e forse nell'intenzione privata del Papa era davvero - la condanna del concetto di sovranità popolare, la "inaudita pretesa dei governati a scegliersi i propri governanti" - principio della sovranità popolare invero già affermato e teorizzato dai teologi e dai giuristi gesuiti del XVII secolo, tra i quali il sommo padre Francisco Suarez -, dovendo essere interpretato invece nel senso che "la maggioranza dei voti non fa del falso il vero né dell'ingiusto il giusto".
Così la vittoria dell'Unione antischiavista contro la Confederazione schiavista nella Guerra Civile americana servì a illuminare quei vescovi cattolici del Sud che difendevano la schiavitù dei neri, argomentando che la loro cattura in Africa, il loro trasporto nelle Americhe, nazioni cristiane, in quanto utile al loro indottrinamento cristiano e alla loro salvezza eterna, poteva se non giustificare, controbilanciare la loro riduzione in schiavitù al servizio di bianchi.
E così la persecuzione degli ebrei culminata con la Shoah modificò radicalmente non solo l'atteggiamento, ma lo stesso pensiero non dico teologico, ma per così dire pratico, di gran parte della Chiesa nei confronti degli ebrei, in particolare per la testimonianza di fede culminata nel martirio di sante come Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, o la testimonianza di vescovi come quello di Münster, il beato Graf von Galen, o di Berlino, Konrad von Preysing.
Svolta epocale nel rapporto con l'ebraismo, inoltre, è quella costituita dall'insegnamento e dalla prassi di Giovanni Paolo II che, per primo, visitò una sinagoga in Roma, sua sede episcopale e capitale della cristianità, là ove un tempo i giudei erano stati rinchiusi nel ghetto da Papi precedenti, di cui uno, Pio IX, è stato peraltro da lui stesso proclamato beato, e chiamò coloro che per secoli erano stati definiti nella stessa liturgia del Venerdì Santo come i "deicidi", addirittura "nostri fratelli maggiori". Per questo sbaglia chi, abbagliato da sole parvenze, considera il concilio vaticano II come un "concilio di rottura" rispetto agli altri concili, in particolare il concilio di Trento e il concilio Vaticano i, e non invece il "concilio del rinnovamento nella continuità", un concilio che ha annunziato verità, come la collegialità episcopale, che erano già comprese nella Rivelazione, Nuovo Testamento e Tradizione, che si sono venute disvelando nella storia e che sono state per così dire "illuminate" nella storia della Chiesa che è parte, o meglio, comprende la storia per così dire "profana", la storia della Città dell'uomo, attraverso la ricerca, lo studio, la meditazione, la preghiera e la testimonianza non solo di vescovi e teologi, ma anche dell'intero popolo di Dio. Può certo considerarsi un miracolo intellettuale che John Henry Newman avesse compreso e formulato questa legge di sviluppo della Chiesa nella, attraverso e grazie alla storia, che è sempre, in un Suo misterioso disegno, la storia di Dio.
Per quanto attiene all'ecumenismo, fu sempre John Henry Newman che pose in evidenza, da anglicano e da cattolico, ciò che univa le Chiese cristiane, pur non sottacendo cosa le divideva. Nel suo Tract 90, l'ultimo dei famosi Tracts for The Times - la collezione di saggi anonimi pubblicata dai grandi autori del Movimento di Oxford per combattere l'ispirazione liberaleggiante e protestante di parte della Chiesa d'Inghilterra, della quale essi volevano esaltare invece i tratti di cattolicità e di apostolicità -, Newman, per avvicinare le Chiese di Canterbury e di York alla Chiesa di Roma, tentò di dare un'interpretazione dei famosi Trentanove Articoli di Fede della Chiesa d'Inghilterra che fosse conforme all'insegnamento del Concilio di Trento: venne subito la condanna prima da parte del vescovo anglicano di Oxford e poi di tutti i vescovi della Chiesa d'Inghilterra, e fu la fine sia dei Tracts sia del Movimento di Oxford, e l'inizio di quel cammino che doveva portare nella Chiesa cattolica romana l'allievo del Trinity College, il fellow e tutor dell'Oriel College e parroco della Chiesa universitaria anglicana di Saint Mary the Virgin e della Chiesa di Littlemore - piccolo centro nel quale egli poi si ritirò per tre anni con alcuni suoi amici per studiare, meditare e pregare -; e tra poco, infine, alla sua proclamazione come beato.
John Henry Newman è stato il grande ispiratore dell'ecumenismo. Da teologo anglicano egli fu un sostenitore della cosiddetta Via Media, una terza via tra protestantesimo luterano e calvinista e cattolicesimo romano; ma in questa sua visione egli pensava di creare un ponte di dialogo tra le varie confessioni cristiane. E anche quando scrisse il Tract 90 pensava di gettare un ponte tra la "sua Chiesa", la Chiesa d'Inghilterra, e quella che cominciava a sentire parimenti "sua", la Chiesa cattolica di Roma: Chiese che riteneva già unite dai caratteri dell'universalità e dell'apostolicità.
©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010
PS.
Il Foglio pubblica oggi la versione completa di questo articolo.
di Francesco Cossiga
Il pensiero di John Henry Newman era ben conosciuto a padri e periti conciliari: e tra questi anche al già ben noto teologo tedesco Joseph Ratzinger. Durante il concilio vaticano II, ci si riferì a Newman - come a un altro originale filosofo e teologo, Antonio Rosmini - come a un ispiratore e "padre assente" del concilio. Dire esaustivamente quanto le decisioni conciliari debbano ai suoi insegnamenti esigerebbe un oratore molto, ma molto più ferrato di me, che non ho coltivato né la filosofia né la teologia, ma ho soltanto "razzolato" in esse!
In un articolo scritto su "L'Osservatore Romano" nel 1964, il filosofo cattolico Jean Guitton scriveva: "I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. È come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati: così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman".
Le dichiarazioni del concilio hanno statuito sulla libertà della coscienza e sul primato della coscienza nel campo del pensiero e dell'etica, anche se - come notò in un suo studio il teologo Joseph Ratzinger - non senza qualche ambiguità e indeterminatezza. Il concetto di libertà e di primato della coscienza è al centro del Decreto sulla libertà religiosa. Questo concetto è caratteristico del pensiero di Newman che lo espose in modo brillante nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, nella quale confutò le gravi osservazioni sulla libertà dei sudditi cattolici della Corona di osservare le leggi del Regno e di servire lealmente la Corona stessa, dopo la proclamazione, da parte del concilio Vaticano i, del dogma dell'infallibilità; dogma contro la sostanza del quale Newman, a differenza del suo grande amico cattolico napoletano-bavarese-inglese, lo storico della libertà, regius professor dell'università di Cambridge, il cattolico-liberale lord Acton, non aveva scritto, ma solo si era interrogato pubblicamente sull'opportunità di proclamarlo in quel momento storico (ma subito dopo obbedendo silenziosamente).
Lo stesso Papa che lo aveva proclamato, di fronte alla dura reazione del cancelliere germanico von Bismarck, sentì la necessità di scrivere una lettera ai vescovi tedeschi, in risposta a una lettera che essi gli avevano scritto, chiarendo il contenuto e i limiti dell'infallibilità papale. Proprio nella già citata Lettera al Duca di Norfolk Newman conclude il capitolo sulla coscienza con le celebri parole: "Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa".
Per spiegare che cosa fosse la coscienza, nel suo saggio appunto a essa dedicato, forse quasi temerariamente e con parole che a suo tempo scandalizzarono molti, specie tra gli ultramontani, affermava: "Sembra (...) che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita". E ancora: la coscienza "non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti". E addirittura: "La coscienza è l'originario vicario di Cristo". Ma Newman più oltre aggiunge: "Per timore di non venire fraintesi, debbo ripetere che, quando io parlo di coscienza, intendo quella coscienza intesa nel suo vero significato. Per avere il diritto di opporsi all'autorità suprema, benché non infallibile, del Papa, essa dev'essere qualcosa ben maggiore di quell'infelice contraffazione che (...) viene ora popolarmente intesa".
Newman ricorda anche quella sentenza, propria oltre che di Tommaso d'Aquino anche dei teologi e canonisti della Scuola Salmaticense e dei gesuiti del XVII secolo, secondo cui la coscienza va sempre seguita anche se erronea, e anche se l'errore sia frutto della propria colpa. La coscienza di cui Newman invoca il primato è la tuta et informata conscientia dei più certi moralisti, una coscienza che anche se erronea - perché l'uomo non è perfetto e poche sono le così dette "rivelazioni personali" - sia frutto di preghiera, di onesta informazione e di meditazione. Questo primato della coscienza invocarono non con dichiarazioni, ma con fatti, coloro che non condivisero la conclusione del concordato tra la Santa Sede e il Terzo Reich e il conseguente ordine impartito attraverso i vescovi ai cattolici tedeschi di sciogliere il partito del Centro Cattolico e il Partito cristiano-sociale bavarese.
Non si tratterebbe di ingiusto appello al primato della coscienza disattendere l'insegnamento del Papa in materia di aborto, eutanasia, così detti patti di solidarietà sociale, se si ritenesse di approvare leggi civili secondo il criterio del "male minore", se a esempio, qualora i deputati e senatori cattolici dichiarassero di volere votare contro siffatti provvedimenti e il governo minacciasse per ritorsione di denunziare il concordato o di abolire l'insegnamento della religione, il giudizio sul "che fare" sarebbe di competenza dei politici per quanto attiene alla credibilità della minaccia, ma del Papa e dei vescovi, per quanto attiene alla ponderazione degli interessi.
Grande influenza ha poi avuto John Henry Newman nell'esaltazione del laicato, e nella definizione della sua posizione e della sua funzione nella Chiesa. Già nel suo famoso saggio sugli ariani o precisamente sull'arianesimo, dottrina cristologica elaborata da Ario e condannata come eresia dal primo concilio di Nicea - saggio nel quale cominciò a esternare i suoi dubbi sull'adesione di tutta la Chiesa d'Inghilterra ai principi stabiliti dagli antichi concili - egli aveva messo in luce come di fronte all'imperatore e alla stessa grande maggioranza dei vescovi che avevano aderito alla dottrina di Ario o che tacevano, furono i laici, i semplici fedeli, che tennero salda la retta fede e rimasero nell'ortodossia e a essa assicurarono la fedeltà della Chiesa. Questa dottrina della funzione del laicato John Henry Newman sviluppò, poi, da cattolico, nel saggio pubblicato nell'ultimo numero del periodico cattolico inglese "The Rambler", fondato da lord Acton e di cui questi gli aveva ceduto la direzione nella speranza di evitare che i vescovi inglesi ne ordinassero la chiusura. Di fronte a monsignor Talbot, che affermava che i laici cattolici dovevano limitarsi ad andare a caccia e a pesca, giocare a cricket, sostentare la Chiesa, organizzare banchetti e fare figli, nel saggio intitolato Sulla consultazione dei fedeli laici in materia di fede, egli spiegò come il popolo di Dio, tutto il popolo di Dio e quindi anche i laici, sia soggetto di infallibilità e come quindi sia non soltanto lecito ma doveroso "sentire i laici in materia di fede".
A conferma della sua tesi, egli ricordò come Pio IX, prima di proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, avesse chiesto ai vescovi non solo cosa essi pensassero, ma cosa pensasse il popolo di Dio. Questo saggio fece precipitare la situazione, perché da alcuni fu considerato eretico o almeno apud haeresim. Già, perché fino a quando - nonostante l'opposizione di un altro convertito, il cardinale Manning, il vescovo ultramontano - Leone xiii lo fece cardinale, John Henry Newman fu spesso sospettato di eterodossia e molto soffrì non solo pro Ecclesia, ma anche propter Ecclesiam!
Il terzo per così dire "spazio conciliare" nel quale fu grande l'influenza del pensiero di John Henry Newman - giustamente definito, dopo la sua morte, "un profeta e un genio" - fu quello del ritorno dello studio teologico e della stessa catechesi alla Bibbia e ai Padri della Chiesa, cui ampiamente si riferirono i padri conciliari: sul ritorno alla Bibbia si sono fatti molti passi avanti (pensiamo all'ultimo Sinodo dei vescovi).
L'originale dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, dottrina che non vuole certo contraddire quanto sempre affermato dalla Chiesa (essersi la Rivelazione chiusa e conclusa con la predicazione degli apostoli), ha posto in luce, cosa ormai pacificamente accettata, che la storia, la storia dell'uomo, nella quale si è manifestata la Rivelazione e si svolge la storia della sua salvezza, questa storia con le ricerche e l'esperienza umana dilata e precisa il significato del dogma, ne amplia gli orizzonti, lo sviluppa, insomma. E questo vale anche per l'insegnamento ordinario del Papa e dei vescovi. Così, la storia, la storia della libertà, la storia della libertà dei popoli, ha dato un diverso significato a quanto nell'insegnamento di Pio IX, particolarmente nel Sillabo, sembrava - e forse nell'intenzione privata del Papa era davvero - la condanna del concetto di sovranità popolare, la "inaudita pretesa dei governati a scegliersi i propri governanti" - principio della sovranità popolare invero già affermato e teorizzato dai teologi e dai giuristi gesuiti del XVII secolo, tra i quali il sommo padre Francisco Suarez -, dovendo essere interpretato invece nel senso che "la maggioranza dei voti non fa del falso il vero né dell'ingiusto il giusto".
Così la vittoria dell'Unione antischiavista contro la Confederazione schiavista nella Guerra Civile americana servì a illuminare quei vescovi cattolici del Sud che difendevano la schiavitù dei neri, argomentando che la loro cattura in Africa, il loro trasporto nelle Americhe, nazioni cristiane, in quanto utile al loro indottrinamento cristiano e alla loro salvezza eterna, poteva se non giustificare, controbilanciare la loro riduzione in schiavitù al servizio di bianchi.
E così la persecuzione degli ebrei culminata con la Shoah modificò radicalmente non solo l'atteggiamento, ma lo stesso pensiero non dico teologico, ma per così dire pratico, di gran parte della Chiesa nei confronti degli ebrei, in particolare per la testimonianza di fede culminata nel martirio di sante come Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, o la testimonianza di vescovi come quello di Münster, il beato Graf von Galen, o di Berlino, Konrad von Preysing.
Svolta epocale nel rapporto con l'ebraismo, inoltre, è quella costituita dall'insegnamento e dalla prassi di Giovanni Paolo II che, per primo, visitò una sinagoga in Roma, sua sede episcopale e capitale della cristianità, là ove un tempo i giudei erano stati rinchiusi nel ghetto da Papi precedenti, di cui uno, Pio IX, è stato peraltro da lui stesso proclamato beato, e chiamò coloro che per secoli erano stati definiti nella stessa liturgia del Venerdì Santo come i "deicidi", addirittura "nostri fratelli maggiori". Per questo sbaglia chi, abbagliato da sole parvenze, considera il concilio vaticano II come un "concilio di rottura" rispetto agli altri concili, in particolare il concilio di Trento e il concilio Vaticano i, e non invece il "concilio del rinnovamento nella continuità", un concilio che ha annunziato verità, come la collegialità episcopale, che erano già comprese nella Rivelazione, Nuovo Testamento e Tradizione, che si sono venute disvelando nella storia e che sono state per così dire "illuminate" nella storia della Chiesa che è parte, o meglio, comprende la storia per così dire "profana", la storia della Città dell'uomo, attraverso la ricerca, lo studio, la meditazione, la preghiera e la testimonianza non solo di vescovi e teologi, ma anche dell'intero popolo di Dio. Può certo considerarsi un miracolo intellettuale che John Henry Newman avesse compreso e formulato questa legge di sviluppo della Chiesa nella, attraverso e grazie alla storia, che è sempre, in un Suo misterioso disegno, la storia di Dio.
Per quanto attiene all'ecumenismo, fu sempre John Henry Newman che pose in evidenza, da anglicano e da cattolico, ciò che univa le Chiese cristiane, pur non sottacendo cosa le divideva. Nel suo Tract 90, l'ultimo dei famosi Tracts for The Times - la collezione di saggi anonimi pubblicata dai grandi autori del Movimento di Oxford per combattere l'ispirazione liberaleggiante e protestante di parte della Chiesa d'Inghilterra, della quale essi volevano esaltare invece i tratti di cattolicità e di apostolicità -, Newman, per avvicinare le Chiese di Canterbury e di York alla Chiesa di Roma, tentò di dare un'interpretazione dei famosi Trentanove Articoli di Fede della Chiesa d'Inghilterra che fosse conforme all'insegnamento del Concilio di Trento: venne subito la condanna prima da parte del vescovo anglicano di Oxford e poi di tutti i vescovi della Chiesa d'Inghilterra, e fu la fine sia dei Tracts sia del Movimento di Oxford, e l'inizio di quel cammino che doveva portare nella Chiesa cattolica romana l'allievo del Trinity College, il fellow e tutor dell'Oriel College e parroco della Chiesa universitaria anglicana di Saint Mary the Virgin e della Chiesa di Littlemore - piccolo centro nel quale egli poi si ritirò per tre anni con alcuni suoi amici per studiare, meditare e pregare -; e tra poco, infine, alla sua proclamazione come beato.
John Henry Newman è stato il grande ispiratore dell'ecumenismo. Da teologo anglicano egli fu un sostenitore della cosiddetta Via Media, una terza via tra protestantesimo luterano e calvinista e cattolicesimo romano; ma in questa sua visione egli pensava di creare un ponte di dialogo tra le varie confessioni cristiane. E anche quando scrisse il Tract 90 pensava di gettare un ponte tra la "sua Chiesa", la Chiesa d'Inghilterra, e quella che cominciava a sentire parimenti "sua", la Chiesa cattolica di Roma: Chiese che riteneva già unite dai caratteri dell'universalità e dell'apostolicità.
©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010
PS.
Il Foglio pubblica oggi la versione completa di questo articolo.
Da Oxford una scossa alla fede di sua Maestà
di Paolo Gulisano
L'ormai imminente viaggio in Gran Bretagna di Benedetto XVI non sarà una visita pastorale come tante altre: sarà un evento di portata storica, non solo per il mondo anglo-sassone.
Questo viaggio, dove non mancheranno attacchi, polemiche, vivaci dibattiti, avrà il suo culmine nella beatificazione di John Henry Newman, un professore di Oxford, un pilastro della Chiesa Anglicana, il quale nell'800 positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio fu un segno di contraddizione che diede una forte scossa all'Inghilterra - sia cattolica che protestante - e all'Europa tutta. Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica, che è la teologia del tempo in cui la Chiesa era ancora una e indivisa, e a confrontarsi con le sfide della modernità. Anticipò riflessioni teologiche ed orientamenti di pensiero che risuonarono un secolo dopo, nel Concilio Ecumenico Vaticano II, tanto da far guardare a lui come a un possibile moderno "Dottore della Chiesa"
Di fatto John Henry Newman è uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, che fu protagonista di una commovente, clamorosa conversione al Cattolicesimo.
John Henry Newman, nato in Inghilterra nel 1801 e morto nel 1890, sarà quindi presto annoverato tra i beati della Chiesa Cattolica. Si tratta di un avvenimento che lascerà il segno, e non solo nella Chiesa che è in Inghilterra, ma per tutta la Cristianità. Il grande convertito dall'anglicanesimo sarà il primo beato inglese nato non cattolico dai tempi della Riforma. La sua instancabile ricerca della verità lo aveva fatto infatti approdare, quarantenne, al cattolicesimo. Un distacco, quello dall'anglicanesimo a vantaggio di Roma, che fece scalpore. Peraltro, divenuto cattolico, non mancarono a Newman altre contrarietà se non ostilità. Il suo genio teologico, la sua grande libertà con cui anteponeva il primato della coscienza ad ogni semplicistico dogmatismo suscitarono invidie e sospetti.
Continua qui.
L'ormai imminente viaggio in Gran Bretagna di Benedetto XVI non sarà una visita pastorale come tante altre: sarà un evento di portata storica, non solo per il mondo anglo-sassone.
Questo viaggio, dove non mancheranno attacchi, polemiche, vivaci dibattiti, avrà il suo culmine nella beatificazione di John Henry Newman, un professore di Oxford, un pilastro della Chiesa Anglicana, il quale nell'800 positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio fu un segno di contraddizione che diede una forte scossa all'Inghilterra - sia cattolica che protestante - e all'Europa tutta. Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica, che è la teologia del tempo in cui la Chiesa era ancora una e indivisa, e a confrontarsi con le sfide della modernità. Anticipò riflessioni teologiche ed orientamenti di pensiero che risuonarono un secolo dopo, nel Concilio Ecumenico Vaticano II, tanto da far guardare a lui come a un possibile moderno "Dottore della Chiesa"
Di fatto John Henry Newman è uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, che fu protagonista di una commovente, clamorosa conversione al Cattolicesimo.
John Henry Newman, nato in Inghilterra nel 1801 e morto nel 1890, sarà quindi presto annoverato tra i beati della Chiesa Cattolica. Si tratta di un avvenimento che lascerà il segno, e non solo nella Chiesa che è in Inghilterra, ma per tutta la Cristianità. Il grande convertito dall'anglicanesimo sarà il primo beato inglese nato non cattolico dai tempi della Riforma. La sua instancabile ricerca della verità lo aveva fatto infatti approdare, quarantenne, al cattolicesimo. Un distacco, quello dall'anglicanesimo a vantaggio di Roma, che fece scalpore. Peraltro, divenuto cattolico, non mancarono a Newman altre contrarietà se non ostilità. Il suo genio teologico, la sua grande libertà con cui anteponeva il primato della coscienza ad ogni semplicistico dogmatismo suscitarono invidie e sospetti.
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Friday, August 13, 2010
Angli o Angeli al meeting di Rimini
Dal nostro amico Paolo Gulisano, autore del volume Newman, profilo di un cercatore di verità.
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Wednesday, August 11, 2010
Sunday, August 8, 2010
Conversazione sulla figura del card. J.H. Newman
Il 20 agosto presso la piazzetta dei pescatori di Ortona (CH) alle ore 21 si terrà una conversazione sulla figura intellettuale e sull'impegno ecclesiastico del cardinale John Henry Newman. L’occasione per la conferenza è sopraggiunta per una serie di motivazioni, tra cui la recente pubblicazione in lingua italiana di un libro di Angelo Bottone (University College Dublin), studioso di origini ortonesi, e la prossima beatificazione del Cardinale.
Interverranno:
*Andrea Fiamma (presidente dell’Associazione Culturale “Officina Ortona”)
*Angelo Bottone (University College Dublin)
*S.E. Carlo Ghidelli (Vescovo diocesi Lanciano - Ortona)
Interverranno:
*Andrea Fiamma (presidente dell’Associazione Culturale “Officina Ortona”)
*Angelo Bottone (University College Dublin)
*S.E. Carlo Ghidelli (Vescovo diocesi Lanciano - Ortona)
Monday, August 2, 2010
La presunta omosessualità di Newman
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