di Bruno Forte
Che cosa ha da dire alle donne e agli uomini della nostra inquieta post-modernità John Henry Newman, il pensatore inglese che Papa Benedetto XVI ha dichiarato beato oggi a Birmingham? Vorrei evidenziare la forza del suo messaggio attraverso due sottolineature.
La prima è espressa da un testo scritto da Newman poco più che trentenne, quando era ancora soltanto un giovane cercatore della verità, che fosse capace di illuminare il cuore e la vita.
È il 1833 e sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia la nebbia che scorge gli appare una sorta di metafora della condizione umana, figura di tutti noi che nella scarsa visibilità dell'orizzonte cerchiamo un senso alla vita: «Lead Kindly Light... Guidami, luce gentile, tra la nebbia che mi circonda, guidami tu! Buia è la notte, lontana la casa... Guida i miei passi; non voglio vedere l'orizzonte lontano; un passo alla volta è sufficiente per me».
Newman aveva fatto l'esperienza dell'autonomia presuntuosa della ragione, in questo non diverso da tanti di noi e dalle grandi avventure della coscienza moderna. È lui stesso a confessarlo: «Non sempre invocai così la tua guida. Amavo scegliere la mia strada... Amavo il giorno luminoso, l'orgoglio mi guidava... ma ora, guidami tu!».
Per questa sua vicinanza a tutti gli inquieti cercatori del vero Benedetto XVI ha potuto dire di lui, parlando ai giornalisti sull'aereo che lo portava a Edimburgo: «Newman è soprattutto un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche l'agnosticismo, il problema dell'impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita».
Cercatore di Dio, Newman è approdato alla fede e successivamente al "porto" della Chiesa cattolica attraverso un esemplare esercizio di onestà intellettuale.
Intento a scrivere quella che doveva essere un'apologia del suo anglicanesimo, il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, la sua mente fu come rapita dalla forza della verità, che non è il lampo di un'ora estrema o l'illuminazione di una stagione che passa, ma la luce che avvolge la ragione e la conquista nella forza serena della sua permanenza nello spazio e nel tempo: «L'acquisizione della verità non assomiglia in niente all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla... Noi ci fondiamo sulla pienezza cattolica».
Ed è struggente la confessione del senso di libertà e di pace così raggiunto, scritta da Newman vari anni dopo nella Apologia pro vita sua: «Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente.
Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l'impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora a oggi, è rimasta inalterata».
Non fu facile mantenere questa pace: abbandonato da molti degli amici e ammiratori di un tempo, osteggiato e guardato con sospetto da molti fra gli stessi cattolici, Newman dovette tener fede alla luce ricevuta con grande fortezza d'animo. A chi gli chiedeva che cosa lo avesse convinto a divenire e rimanere cattolico, rispondeva senza esitazione: «l'obbedienza alla verità».
Ed è questa la seconda sottolineatura con cui vorrei cogliere l'attualità del suo messaggio: in un'epoca di inquietudini e di incertezze, nella permanente insicurezza della nostra "società liquida", Newman dimostra che è possibile conoscere la verità che rende liberi. È la storia della sua vita a dimostrarlo.
Una sorta di confessione, scritta nei suoi ultimi anni, ce lo rivela con la forza di un'esperienza vissuta, custodita con identica passione dai tempi in cui era un neofita a quelli in cui fu fatto cardinale della Chiesa romana: «O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefici, diffusi sopra di un essere che ne è indegno.
Non ho bisogno della fede per credere alla tua provvidenza verso di me, giacché ne ho fatto lunga esperienza. Tu mi hai condotto d'anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto.
O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandonerai mai! Io posso riposarmi in te con sicurezza».
A chi di noi non parla, almeno nella forma del desiderio, una simile testimonianza?
Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto
IL PROFILO
John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto 1890), che verrà beatificato oggi da Benedetto XVI, è stato un teologo, filosofo e cardinale inglese. Nato in una famiglia anglicana, diventato diacono nel 1824, si convertì al cattolicesimo nel 1845, dopo essersi dedicato a profondi studi filosofici e teologici. È considerato uno dei più grandi prosatori inglesi, e la sua opera è molto apprezzata anche dai non cattolici. È stato definito uno dei "padri assenti" del Concilio Vaticano II per la profondità e l'originalità del suo pensiero teologico e filosofico.
19 settembre 2010
Tuesday, September 28, 2010
Wednesday, September 22, 2010
Omelia del Santo Padre in occasione della beatificazione di John Henry Newman a Cofton Park
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
la giornata odierna che ci ha portati qui insieme a Birmingham è di grande auspicio. In primo luogo, è il giorno del Signore, domenica, il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo risuscitò dai morti e cambiò per sempre il corso della storia umana, offrendo vita e speranza nuove a quanti vivevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. Questa è la ragione per cui i cristiani in tutto il mondo si riuniscono insieme in questo giorno per dar lode e ringraziare Dio per le grandi meraviglie da lui operate per noi. Questa domenica particolare, inoltre, segna un momento significativo nella vita della nazione britannica, poiché è il giorno prescelto per commemorare il 70mo anniversario della “Battle of Britain”. Per me, che ho vissuto e sofferto lungo i tenebrosi giorni del regime nazista in Germania, è profondamente commovente essere qui con voi in tale occasione, e ricordare quanti dei vostri concittadini hanno sacrificato la propria vita, resistendo coraggiosamente alle forze di quella ideologia maligna. Il mio pensiero va in particolare alla vicina Coventry, che ebbe a soffrire un così pesante bombardamento e una grave perdita di vite umane nel novembre del 1940. Settant’anni dopo, ricordiamo con vergogna ed orrore la spaventosa quantità di morte e distruzione che la guerra porta con sé al suo destarsi, e rinnoviamo il nostro proposito di agire per la pace e la riconciliazione in qualunque luogo in cui sorga la minaccia di conflitti. Ma vi è un ulteriore, più gioiosa ragione del perché questo è un giorno fausto per la Gran Bretagna, per le Midlands e per Birmingham. E’ il giorno che vede il Cardinale John Henry Newman formalmente elevato agli altari e dichiarato Beato.
Ringrazio l’Arcivescovo Bernard Longley per il cortese benvenuto rivoltomi questa mattina, all’inizio della Messa. Rendo omaggio a tutti coloro che hanno lavorato così intensamente per molti anni per promuovere la causa del Cardinale Newman, inclusi i Padri dell’Oratorio di Birmingham e i membri della Famiglia spirituale Das Werk. E saluto tutti coloro che sono qui venuti dall’intera Gran Bretagna, dall’Irlanda e da altrove; vi ringrazio per la vostra presenza a questa celebrazione, durante la quale rendiamo gloria e lode a Dio per le virtù eroiche di questo sant’uomo inglese.
L’Inghilterra ha una grande tradizione di Santi martiri, la cui coraggiosa testimonianza ha sostenuto ed ispirato la comunità cattolica locale per secoli. E tuttavia è giusto e conveniente che riconosciamo oggi la santità di un confessore, un figlio di questa Nazione che, pur non essendo chiamato a versare il proprio sangue per il Signore, gli ha tuttavia dato testimonianza eloquente nel corso di una vita lunga dedicata al ministero sacerdotale, specialmente alla predicazione, all’insegnamento e agli scritti. E’ degno di prendere il proprio posto in una lunga scia di Santi e Maestri di queste isole, san Beda, sant’Hilda, san Aelredo, il beato Duns Scoto solo per nominarne alcuni. Nel beato John Henry quella gentile tradizione di insegnamento, di profonda saggezza umana e di intenso amore per il Signore ha dato ricchi frutti quale segno della continua presenza dello Spirito Santo nel profondo del cuore del Popolo di Dio, facendo emergere abbondanti doni di santità.
Il motto del Cardinale Newman, Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, ci permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l’intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio. Egli ci rammenta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gradualmente nell’immagine divina. Come scrisse in uno dei suoi forbiti sermoni: “l’abitudine alla preghiera, che è pratica di rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto naturale nello spiritualizzare ed elevare l’anima. Un uomo non è più ciò che era prima; gradualmente… ha interiorizzato un nuovo sistema di idee ed è divenuto impregnato di freschi principi” (Parochial and plain sermons, IV, 230-231). Il Vangelo odierno ci dice che nessuno può essere servo di due padroni (cfr Lc 16,13), e l’insegnamento del Beato John Henry sulla preghiera spiega come il fedele cristiano si sia posto in maniera definitiva al servizio dell’unico vero Maestro, il quale soltanto ha il diritto alla nostra devozione incondizionata (cfr Mt 23,10). Newman ci aiuta a comprendere cosa significhi questo nella nostra vita quotidiana: ci dice che il nostro divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un “servizio ben definito”, affidato unicamente ad ogni singolo: “io ho la mia missione – scrisse – sono un anello in una catena, un vincolo di connessione fra persone. Egli non mi ha creato per niente. Farò il bene, compirò la sua opera; sarò un angelo di pace, un predicatore di verità proprio nel mio posto… se lo faccio obbedirò ai suoi comandamenti e lo servirò nella mia vocazione” (Meditations and devotions, 301-2).
Lo specifico servizio al quale il Beato John Henry Newman fu chiamato comportò l’applicazione del suo sottile intelletto e della sua prolifica penna a molti dei più urgenti “problemi del giorno”. Le sue intuizioni sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto di importanza profonda per l’Inghilterra vittoriana, ma continuano ancor oggi ad ispirare e ad illuminare molti in tutto il mondo. Desidero rendere onore alla sua visione dell’educazione, che ha fatto così tanto per plasmare l’”ethos” che è la forza sottostante alle scuole ed agli istituti universitari cattolici di oggi. Fermamente contrario ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico, egli cercò di raggiungere un ambiente educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedessero assieme. Il progetto di fondare un’università cattolica in Irlanda gli diede l’opportunità di sviluppare le proprie idee su tale argomento e la raccolta di discorsi da lui pubblicati come The Idea of a University contiene un ideale dal quale possono imparare quanti sono impegnati nella formazione accademica. Ed in verità, quale meta migliore potrebbero proporsi gli insegnanti di religione se non quel famoso appello del Beato John Henry per un laicato intelligente e ben istruito: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere” (The Present Position of Catholics in England, IX, 390). Oggi quando l’autore di queste parole viene innalzato sugli altari, prego che, mediante la sua intercessione ed il suo esempio, quanti sono impegnati nel compito dell’insegnamento e della catechesi siano ispirati ad un più grande sforzo dalla sua visione, che così chiaramente pone davanti a noi.
Mentre il testamento intellettuale di John Henry Newman è stato quello che comprensibilmente ha ricevuto le maggiori attenzioni nella vasta pubblicistica sulla sua vita e la sua opera, preferisco in questa occasione, concludere con una breve riflessione sulla sua vita di sacerdote e di pastore d’anime. Il calore e l’umanità che sottostanno al suo apprezzamento del ministero pastorale vengono magnificamente espressi da un altro dei suoi famosi discorsi: “Se gli angeli fossero stati i vostri sacerdoti, cari fratelli, non avrebbero potuto partecipare alle vostre sofferenze, né compatirvi, né aver compassione per voi, né provare tenerezza nei vostri confronti e trovare motivi per giustificarvi, come possiamo noi; non avrebbero potuto essere modelli e guide per voi, ed avervi condotto dal vostro uomo vecchio a vita nuova, come lo possono quanti vengono dal vostro stesso ambiente (“Men, not Angels: the Priests of the Gospel”, Discourses to mixed congregations, 3). Egli visse quella visione profondamente umana del ministero sacerdotale nella devota cura per la gente di Birmingham durante gli anni spesi nell’Oratorio da lui fondato, visitando i malati ed i poveri, confortando i derelitti, prendendosi cura di quanti erano in prigione. Non meraviglia che alla sua morte molte migliaia di persone si posero in fila per le strade del luogo mentre il suo corpo veniva portato alla sepoltura a mezzo miglio da qui. Cento vent’anni dopo, grandi folle si sono nuovamente qui riunite per rallegrarsi del solenne riconoscimento della Chiesa per l’eccezionale santità di questo amatissimo padre di anime. Quale modo migliore per esprimere la gioia di questo momento se non quella di rivolgerci al nostro Padre celeste in cordiale ringraziamento, pregando con le parole poste dal Beato John Henry Newman sulle labbra dei cori degli angeli in cielo:
Lode a Colui che è Santissimo nell’alto dei cieli
E lode sia nelle profondità;
Bellissimo in tutte le sue parole,
ma ben di più in tutte le sue vie!
(The dream of Gerontius).
la giornata odierna che ci ha portati qui insieme a Birmingham è di grande auspicio. In primo luogo, è il giorno del Signore, domenica, il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo risuscitò dai morti e cambiò per sempre il corso della storia umana, offrendo vita e speranza nuove a quanti vivevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. Questa è la ragione per cui i cristiani in tutto il mondo si riuniscono insieme in questo giorno per dar lode e ringraziare Dio per le grandi meraviglie da lui operate per noi. Questa domenica particolare, inoltre, segna un momento significativo nella vita della nazione britannica, poiché è il giorno prescelto per commemorare il 70mo anniversario della “Battle of Britain”. Per me, che ho vissuto e sofferto lungo i tenebrosi giorni del regime nazista in Germania, è profondamente commovente essere qui con voi in tale occasione, e ricordare quanti dei vostri concittadini hanno sacrificato la propria vita, resistendo coraggiosamente alle forze di quella ideologia maligna. Il mio pensiero va in particolare alla vicina Coventry, che ebbe a soffrire un così pesante bombardamento e una grave perdita di vite umane nel novembre del 1940. Settant’anni dopo, ricordiamo con vergogna ed orrore la spaventosa quantità di morte e distruzione che la guerra porta con sé al suo destarsi, e rinnoviamo il nostro proposito di agire per la pace e la riconciliazione in qualunque luogo in cui sorga la minaccia di conflitti. Ma vi è un ulteriore, più gioiosa ragione del perché questo è un giorno fausto per la Gran Bretagna, per le Midlands e per Birmingham. E’ il giorno che vede il Cardinale John Henry Newman formalmente elevato agli altari e dichiarato Beato.
Ringrazio l’Arcivescovo Bernard Longley per il cortese benvenuto rivoltomi questa mattina, all’inizio della Messa. Rendo omaggio a tutti coloro che hanno lavorato così intensamente per molti anni per promuovere la causa del Cardinale Newman, inclusi i Padri dell’Oratorio di Birmingham e i membri della Famiglia spirituale Das Werk. E saluto tutti coloro che sono qui venuti dall’intera Gran Bretagna, dall’Irlanda e da altrove; vi ringrazio per la vostra presenza a questa celebrazione, durante la quale rendiamo gloria e lode a Dio per le virtù eroiche di questo sant’uomo inglese.
L’Inghilterra ha una grande tradizione di Santi martiri, la cui coraggiosa testimonianza ha sostenuto ed ispirato la comunità cattolica locale per secoli. E tuttavia è giusto e conveniente che riconosciamo oggi la santità di un confessore, un figlio di questa Nazione che, pur non essendo chiamato a versare il proprio sangue per il Signore, gli ha tuttavia dato testimonianza eloquente nel corso di una vita lunga dedicata al ministero sacerdotale, specialmente alla predicazione, all’insegnamento e agli scritti. E’ degno di prendere il proprio posto in una lunga scia di Santi e Maestri di queste isole, san Beda, sant’Hilda, san Aelredo, il beato Duns Scoto solo per nominarne alcuni. Nel beato John Henry quella gentile tradizione di insegnamento, di profonda saggezza umana e di intenso amore per il Signore ha dato ricchi frutti quale segno della continua presenza dello Spirito Santo nel profondo del cuore del Popolo di Dio, facendo emergere abbondanti doni di santità.
Il motto del Cardinale Newman, Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, ci permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l’intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio. Egli ci rammenta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gradualmente nell’immagine divina. Come scrisse in uno dei suoi forbiti sermoni: “l’abitudine alla preghiera, che è pratica di rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto naturale nello spiritualizzare ed elevare l’anima. Un uomo non è più ciò che era prima; gradualmente… ha interiorizzato un nuovo sistema di idee ed è divenuto impregnato di freschi principi” (Parochial and plain sermons, IV, 230-231). Il Vangelo odierno ci dice che nessuno può essere servo di due padroni (cfr Lc 16,13), e l’insegnamento del Beato John Henry sulla preghiera spiega come il fedele cristiano si sia posto in maniera definitiva al servizio dell’unico vero Maestro, il quale soltanto ha il diritto alla nostra devozione incondizionata (cfr Mt 23,10). Newman ci aiuta a comprendere cosa significhi questo nella nostra vita quotidiana: ci dice che il nostro divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un “servizio ben definito”, affidato unicamente ad ogni singolo: “io ho la mia missione – scrisse – sono un anello in una catena, un vincolo di connessione fra persone. Egli non mi ha creato per niente. Farò il bene, compirò la sua opera; sarò un angelo di pace, un predicatore di verità proprio nel mio posto… se lo faccio obbedirò ai suoi comandamenti e lo servirò nella mia vocazione” (Meditations and devotions, 301-2).
Lo specifico servizio al quale il Beato John Henry Newman fu chiamato comportò l’applicazione del suo sottile intelletto e della sua prolifica penna a molti dei più urgenti “problemi del giorno”. Le sue intuizioni sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto di importanza profonda per l’Inghilterra vittoriana, ma continuano ancor oggi ad ispirare e ad illuminare molti in tutto il mondo. Desidero rendere onore alla sua visione dell’educazione, che ha fatto così tanto per plasmare l’”ethos” che è la forza sottostante alle scuole ed agli istituti universitari cattolici di oggi. Fermamente contrario ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico, egli cercò di raggiungere un ambiente educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedessero assieme. Il progetto di fondare un’università cattolica in Irlanda gli diede l’opportunità di sviluppare le proprie idee su tale argomento e la raccolta di discorsi da lui pubblicati come The Idea of a University contiene un ideale dal quale possono imparare quanti sono impegnati nella formazione accademica. Ed in verità, quale meta migliore potrebbero proporsi gli insegnanti di religione se non quel famoso appello del Beato John Henry per un laicato intelligente e ben istruito: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere” (The Present Position of Catholics in England, IX, 390). Oggi quando l’autore di queste parole viene innalzato sugli altari, prego che, mediante la sua intercessione ed il suo esempio, quanti sono impegnati nel compito dell’insegnamento e della catechesi siano ispirati ad un più grande sforzo dalla sua visione, che così chiaramente pone davanti a noi.
Mentre il testamento intellettuale di John Henry Newman è stato quello che comprensibilmente ha ricevuto le maggiori attenzioni nella vasta pubblicistica sulla sua vita e la sua opera, preferisco in questa occasione, concludere con una breve riflessione sulla sua vita di sacerdote e di pastore d’anime. Il calore e l’umanità che sottostanno al suo apprezzamento del ministero pastorale vengono magnificamente espressi da un altro dei suoi famosi discorsi: “Se gli angeli fossero stati i vostri sacerdoti, cari fratelli, non avrebbero potuto partecipare alle vostre sofferenze, né compatirvi, né aver compassione per voi, né provare tenerezza nei vostri confronti e trovare motivi per giustificarvi, come possiamo noi; non avrebbero potuto essere modelli e guide per voi, ed avervi condotto dal vostro uomo vecchio a vita nuova, come lo possono quanti vengono dal vostro stesso ambiente (“Men, not Angels: the Priests of the Gospel”, Discourses to mixed congregations, 3). Egli visse quella visione profondamente umana del ministero sacerdotale nella devota cura per la gente di Birmingham durante gli anni spesi nell’Oratorio da lui fondato, visitando i malati ed i poveri, confortando i derelitti, prendendosi cura di quanti erano in prigione. Non meraviglia che alla sua morte molte migliaia di persone si posero in fila per le strade del luogo mentre il suo corpo veniva portato alla sepoltura a mezzo miglio da qui. Cento vent’anni dopo, grandi folle si sono nuovamente qui riunite per rallegrarsi del solenne riconoscimento della Chiesa per l’eccezionale santità di questo amatissimo padre di anime. Quale modo migliore per esprimere la gioia di questo momento se non quella di rivolgerci al nostro Padre celeste in cordiale ringraziamento, pregando con le parole poste dal Beato John Henry Newman sulle labbra dei cori degli angeli in cielo:
Lode a Colui che è Santissimo nell’alto dei cieli
E lode sia nelle profondità;
Bellissimo in tutte le sue parole,
ma ben di più in tutte le sue vie!
(The dream of Gerontius).
Discorso del Santo Padre nella veglia di preghiera in Hyde Park
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla Messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa Nazione, il Cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato Beato. Quante persone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momento! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere questa esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole. Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli Apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza.
Ringrazio l’Arcivescovo Peter Smith per le gentili parole di benvenuto pronunciate a vostro nome, e sono particolarmente lieto di vedere molti giovani presenti a questa veglia. Questa sera, nel contesto della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di credenti e per la vita della Chiesa oggi.
Permettetemi di cominciare ricordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza immediata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivelazione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza, al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica. Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale. Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è Lui stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.
Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti alla gloria di Dio e alla diffusione del suo Regno. Newman comprese questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente mediante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis splendor.
La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san Paolo chiede che ci sia dato di conoscere “l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (cfr Ef 3,14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr Ef 3,17) e perché possiamo giungere a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di quell’amore. Mediante la fede giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri passi e luce del nostro cammino (cfr Sal 119, 105). Come innumerevoli santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, Newman insegnò che la “luce gentile” della fede ci conduce a renderci conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul sublime destino che ci attende in cielo. Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo semplicemente un altro “cembalo squillante” (1Cor 13,1) in un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.
Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti. Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr Mt 5,16).
Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari giovani amici: solo Gesù conosce quale “specifico servizio” ha in mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al perseguimento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedienza, e servendoLo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha bisogno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua orazione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini disposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia necessaria per adempiere alla vostra vocazione. Permettetemi di concludere queste poche parole invitandovi ad unirvi a me il prossimo anno a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta sempre di una splendida occasione per crescere nell’amore per Cristo ed essere incoraggiati nella vostra gioiosa vita di fede assieme a migliaia di altri giovani. Spero di vedere là molti di voi!
Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera preparandoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel Santissimo Sacramento dell’Altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazione, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal Cardinale John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.
questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla Messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa Nazione, il Cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato Beato. Quante persone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momento! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere questa esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole. Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli Apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza.
Ringrazio l’Arcivescovo Peter Smith per le gentili parole di benvenuto pronunciate a vostro nome, e sono particolarmente lieto di vedere molti giovani presenti a questa veglia. Questa sera, nel contesto della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di credenti e per la vita della Chiesa oggi.
Permettetemi di cominciare ricordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza immediata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivelazione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza, al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica. Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale. Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è Lui stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.
Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti alla gloria di Dio e alla diffusione del suo Regno. Newman comprese questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente mediante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis splendor.
La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san Paolo chiede che ci sia dato di conoscere “l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (cfr Ef 3,14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr Ef 3,17) e perché possiamo giungere a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di quell’amore. Mediante la fede giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri passi e luce del nostro cammino (cfr Sal 119, 105). Come innumerevoli santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, Newman insegnò che la “luce gentile” della fede ci conduce a renderci conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul sublime destino che ci attende in cielo. Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo semplicemente un altro “cembalo squillante” (1Cor 13,1) in un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.
Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti. Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr Mt 5,16).
Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari giovani amici: solo Gesù conosce quale “specifico servizio” ha in mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al perseguimento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedienza, e servendoLo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha bisogno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua orazione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini disposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia necessaria per adempiere alla vostra vocazione. Permettetemi di concludere queste poche parole invitandovi ad unirvi a me il prossimo anno a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta sempre di una splendida occasione per crescere nell’amore per Cristo ed essere incoraggiati nella vostra gioiosa vita di fede assieme a migliaia di altri giovani. Spero di vedere là molti di voi!
Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera preparandoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel Santissimo Sacramento dell’Altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazione, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal Cardinale John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.
Friday, September 17, 2010
Agenzia SIR
Vi segnale il numero speciale su Newman, che l'agenzia SIR ha preparato. E' sia in italiano che in inglese.
Il Papa e Newman
di Tony Blair
In Inghilterra i santi sono stati davvero pochi negli ultimi tempi, almeno quelli riconosciuti dalla Chiesa. I cattolici inglesi sono quindi molto lieti per la beatificazione di John Henry Newman. Per questo un Papa tornerà nel nostro Paese, e soprattutto un Papa in profonda sintonia con lo spirito e le idee di Newman.
La vita e il pensiero di Newman evidenziano il divario che ci separa dal suo mondo. La fama come teologo, la sollecitudine costante per la verità della religione, il ragionamento scientifico e la profondità degli studi storici che lo portarono a lasciare l'anglicanesimo per Roma, lo scalpore suscitato dal suo abbandono appartengono a un'altra epoca.
Certo, si resta colpiti dal suo assenso intellettuale alla fede cattolica. Alcuni continuano a compiere questo cammino, anche se in modo meno spettacolare. Dovrei saperlo. Ma nel 2010 scrivere di teologia in modo elegante e acuto non ottiene le prime pagine dei giornali. Sono dunque ancora oggi importanti le sue idee?
Newman colloca la verità spirituale al di sopra di tutti gli altri valori. A questa ricerca era disposto a posporre amici vecchi e nuovi. Mentre si preparava ad aderire in modo formale alla Chiesa cattolica scrisse: "Nessuno più di me può avere una visione tanto sfavorevole della situazione attuale dei cattolici". Non è certo l'affermazione più diplomatica. Ma a lui non importava, perché avrebbe fatto comunque ciò che riteneva giusto, per quanto scomodo e impopolare.
Questo coraggio intellettuale è ammirevole. È qualcosa che molti cattolici intravedono in Papa Benedetto xvi.
Le idee di Newman non si possono esprimere facilmente in un breve articolo. "Uomo di coscienza è colui che non acquisisce mai indulgenza, benessere, successo, prestigio pubblico e approvazione dell'opinione pubblica a spese della verità" scrisse. È un parere duro in un mondo in cui, in misura così schiacciante, sono i media a formare l'opinione.
Com'è noto, Newman considerava prima di tutto la coscienza, anche prima del Papa. Ma non riteneva che la voce della coscienza facilitasse la scelta di un cammino vero e giusto, o rendesse tale scelta indipendente dall'autorità del papato. "Il nostro senso del giusto e dell'errato (...) è così delicato, così frammentario che si può confondere, oscurare, pervertire con tanta facilità (...) così influenzato dall'orgoglio e dalla passione". In questo, l'autorità magisteriale della Chiesa subentra con il suo dono di discernimento e definizione per correggere e pronunciare un giudizio. Quindi, sebbene il divario fra noi e il mondo di Newman sia grande, nondimeno le questioni di cui scrisse interpellano ogni cattolico e ogni politico.
Newman fu il primo a introdurre il concetto di sviluppo. La sua idea di come la dottrina si sviluppava si dimostrò straordinariamente influente nella sua epoca. Rese lo sviluppo un'idea chiave sia all'interno sia all'esterno della Chiesa. È probabile che oggi non useremmo le espressioni "obiettivi di sviluppo del millennio" o "sviluppo internazionale" se Newman non avesse utilizzato per primo questa parola nella sua teologia.
È evidente che per la vita della Chiesa oggi le riflessioni di Newman sullo sviluppo delle idee hanno implicazioni non meno profonde. Egli concluse che era impossibile fissare un punto in cui la crescita della dottrina potesse cessare nella Chiesa. Implicitamente tale crescita prosegue ancora oggi. "L'idea non fu mai di quelle che prosperavano e duravano, tuttavia come la verità matematica non incorporava nulla da fonti esterne" scrisse.
Decidere cosa fosse uno sviluppo "vero" fu certo il presupposto dell'insegnamento della Chiesa. Ma Newman definì il consenso dell'intero "corpo dei fedeli" su questioni dottrinali "voce della Chiesa infallibile". Mi chiedo se questa voce venga ancora presa abbastanza sul serio o se abbiamo compreso appieno le implicazioni di queste idee. La tendenza di alcuni capi religiosi a infilare un gran numero di idee diverse in una sola busta con l'etichetta "secolarismo" e considerarla poi come qualcosa di sinistro, crea divisioni nelle società pluraliste. Essa preclude alla Chiesa possibilità di nuovi sviluppi del pensiero. I dialoghi del Papa con importanti pensatori laici sono, invece, un esempio molto diverso.
Penso che Newman sarebbe un alleato forte nella promozione di forme diverse di dialogo tra le religioni proprio grazie alla sua teoria dello sviluppo. Intuitivamente potrebbe sembrare il contrario. Newman, come Papa Benedetto, si opponeva fieramente al relativismo. Ma l'attività interreligiosa della mia Faith Foundation produce proprio il contrario del relativismo, conferma le persone nelle loro diverse fedi, e suscita rispetto e comprensione per la fede degli altri. Collegando scuole e fedi in tutto il mondo, inserendo università in consorzi di corsi interdisciplinari su fede e globalizzazione, operando in modo interreligioso per promuovere gli obiettivi di sviluppo del millennio, quanti condividono la nostra idea vogliono approfondire la conoscenza della loro stessa fede.
Nel corso della mia vita, la crescente comprensione da parte della Chiesa della natura e dell'importanza del dialogo tra le religioni ha prodotto una fioritura di idee, e soprattutto negli ultimi decenni abbiamo assistito a uno sviluppo che incoraggia la Chiesa ad accogliere il significato spirituale di altre religioni. I vescovi dell'Inghilterra e del Galles lo hanno spiegato in modo eloquente nel recente documento Meeting God in Friend and Stranger.
Come prevedibile, sono sorte alcune controversie circa la beatificazione di Newman. Alcuni si chiedono semplicemente se sia questo il modo giusto per rendergli onore. Ma nessuno dubiterà sul serio del fatto che sia stato ed è un Dottore della Chiesa. Verrà il tempo di dichiararlo tale.
(©L'Osservatore Romano - 15 settembre 2010)
In Inghilterra i santi sono stati davvero pochi negli ultimi tempi, almeno quelli riconosciuti dalla Chiesa. I cattolici inglesi sono quindi molto lieti per la beatificazione di John Henry Newman. Per questo un Papa tornerà nel nostro Paese, e soprattutto un Papa in profonda sintonia con lo spirito e le idee di Newman.
La vita e il pensiero di Newman evidenziano il divario che ci separa dal suo mondo. La fama come teologo, la sollecitudine costante per la verità della religione, il ragionamento scientifico e la profondità degli studi storici che lo portarono a lasciare l'anglicanesimo per Roma, lo scalpore suscitato dal suo abbandono appartengono a un'altra epoca.
Certo, si resta colpiti dal suo assenso intellettuale alla fede cattolica. Alcuni continuano a compiere questo cammino, anche se in modo meno spettacolare. Dovrei saperlo. Ma nel 2010 scrivere di teologia in modo elegante e acuto non ottiene le prime pagine dei giornali. Sono dunque ancora oggi importanti le sue idee?
Newman colloca la verità spirituale al di sopra di tutti gli altri valori. A questa ricerca era disposto a posporre amici vecchi e nuovi. Mentre si preparava ad aderire in modo formale alla Chiesa cattolica scrisse: "Nessuno più di me può avere una visione tanto sfavorevole della situazione attuale dei cattolici". Non è certo l'affermazione più diplomatica. Ma a lui non importava, perché avrebbe fatto comunque ciò che riteneva giusto, per quanto scomodo e impopolare.
Questo coraggio intellettuale è ammirevole. È qualcosa che molti cattolici intravedono in Papa Benedetto xvi.
Le idee di Newman non si possono esprimere facilmente in un breve articolo. "Uomo di coscienza è colui che non acquisisce mai indulgenza, benessere, successo, prestigio pubblico e approvazione dell'opinione pubblica a spese della verità" scrisse. È un parere duro in un mondo in cui, in misura così schiacciante, sono i media a formare l'opinione.
Com'è noto, Newman considerava prima di tutto la coscienza, anche prima del Papa. Ma non riteneva che la voce della coscienza facilitasse la scelta di un cammino vero e giusto, o rendesse tale scelta indipendente dall'autorità del papato. "Il nostro senso del giusto e dell'errato (...) è così delicato, così frammentario che si può confondere, oscurare, pervertire con tanta facilità (...) così influenzato dall'orgoglio e dalla passione". In questo, l'autorità magisteriale della Chiesa subentra con il suo dono di discernimento e definizione per correggere e pronunciare un giudizio. Quindi, sebbene il divario fra noi e il mondo di Newman sia grande, nondimeno le questioni di cui scrisse interpellano ogni cattolico e ogni politico.
Newman fu il primo a introdurre il concetto di sviluppo. La sua idea di come la dottrina si sviluppava si dimostrò straordinariamente influente nella sua epoca. Rese lo sviluppo un'idea chiave sia all'interno sia all'esterno della Chiesa. È probabile che oggi non useremmo le espressioni "obiettivi di sviluppo del millennio" o "sviluppo internazionale" se Newman non avesse utilizzato per primo questa parola nella sua teologia.
È evidente che per la vita della Chiesa oggi le riflessioni di Newman sullo sviluppo delle idee hanno implicazioni non meno profonde. Egli concluse che era impossibile fissare un punto in cui la crescita della dottrina potesse cessare nella Chiesa. Implicitamente tale crescita prosegue ancora oggi. "L'idea non fu mai di quelle che prosperavano e duravano, tuttavia come la verità matematica non incorporava nulla da fonti esterne" scrisse.
Decidere cosa fosse uno sviluppo "vero" fu certo il presupposto dell'insegnamento della Chiesa. Ma Newman definì il consenso dell'intero "corpo dei fedeli" su questioni dottrinali "voce della Chiesa infallibile". Mi chiedo se questa voce venga ancora presa abbastanza sul serio o se abbiamo compreso appieno le implicazioni di queste idee. La tendenza di alcuni capi religiosi a infilare un gran numero di idee diverse in una sola busta con l'etichetta "secolarismo" e considerarla poi come qualcosa di sinistro, crea divisioni nelle società pluraliste. Essa preclude alla Chiesa possibilità di nuovi sviluppi del pensiero. I dialoghi del Papa con importanti pensatori laici sono, invece, un esempio molto diverso.
Penso che Newman sarebbe un alleato forte nella promozione di forme diverse di dialogo tra le religioni proprio grazie alla sua teoria dello sviluppo. Intuitivamente potrebbe sembrare il contrario. Newman, come Papa Benedetto, si opponeva fieramente al relativismo. Ma l'attività interreligiosa della mia Faith Foundation produce proprio il contrario del relativismo, conferma le persone nelle loro diverse fedi, e suscita rispetto e comprensione per la fede degli altri. Collegando scuole e fedi in tutto il mondo, inserendo università in consorzi di corsi interdisciplinari su fede e globalizzazione, operando in modo interreligioso per promuovere gli obiettivi di sviluppo del millennio, quanti condividono la nostra idea vogliono approfondire la conoscenza della loro stessa fede.
Nel corso della mia vita, la crescente comprensione da parte della Chiesa della natura e dell'importanza del dialogo tra le religioni ha prodotto una fioritura di idee, e soprattutto negli ultimi decenni abbiamo assistito a uno sviluppo che incoraggia la Chiesa ad accogliere il significato spirituale di altre religioni. I vescovi dell'Inghilterra e del Galles lo hanno spiegato in modo eloquente nel recente documento Meeting God in Friend and Stranger.
Come prevedibile, sono sorte alcune controversie circa la beatificazione di Newman. Alcuni si chiedono semplicemente se sia questo il modo giusto per rendergli onore. Ma nessuno dubiterà sul serio del fatto che sia stato ed è un Dottore della Chiesa. Verrà il tempo di dichiararlo tale.
(©L'Osservatore Romano - 15 settembre 2010)
Thursday, September 16, 2010
BENEDETTO XVI E NEWMAN - Il filo della coscienza
Uniti dalla forte passione per la verità
La decisione di presiedere personalmente alla cerimonia di beatificazione del cardinale Newman conferma la stima che il Santo Padre ha sempre nutrito nei confronti del celebre convertito inglese. Papa Benedetto XVI ha cominciato ad apprezzare Newman nel 1946 quando, da studente di teologia nel seminario della Diocesi di Frisinga, ebbe come prefetto Alfred Laepple che in quel periodo stava lavorando su una dissertazione dedicata alla teologia della coscienza in Newman. Erano gli anni successivi alla dittatura nazista ed il giovane Ratzinger racconta che l’amicizia con Laepple gli permise di scoprire gli insegnamenti di Newman sul primato della coscienza del singolo. Ratzinger leggeva Newman nelle traduzioni tedesche di Theodor Haecker, anch’egli convertito, le stesse traduzioni che qualche anno prima avevano influenzato i membri della Rosa Bianca nella loro opposizione al nazismo.
Newman intende la coscienza sia come senso morale, ossia ciò che ci fa distinguere il bene dal male, che senso del dovere, ossia ciò che ci spinge a fare il bene. In diverse sue opere egli descrive con insuperabile suggestione la voce del foro interiore che ci guida, ci induce a scegliere alcune cose e ad evitarne altre. Newman era così convinto del potere autorevole della coscienza da considerarla la migliore prova dell’esistenza di Dio poiché una legge interna testimonia un legislatore esterno. In uno dei sermoni predicati a Dublino egli afferma: “Questa Parola a noi interna, non solo ci istruisce fino ad un certo punto, ma fa sorgere necessariamente nei nostri animi l’idea di un Maestro, un Maestro invisibile e nella misura in cui ascoltiamo quella Parola, e la utilizziamo, non solo impariamo di più da essa, non solo i suoi dettati ci appaiono più chiari e le sue lezioni più ampie e i suoi principi più coerenti, ma il suo stesso tono diventa più forte e più autorevole ed obbligante.”
La legge morale rimanda ad un ordine che ci precede, che non creiamo noi stessi e che pertanto richiede un autore. Questo autore non è un principio astratto ma una persona, è un maestro che ci parla nel segreto del cuore. Ciò che ci è più intimo è anche ciò che ci apre alla trascendenza. La coscienza pertanto possiede secondo Newman un valore inestimabile, essa è infatti il legame tra la creatura ed il Creatore. Nel discorso introduttivo ad un simposio su Newman del 1990 l’allora cardinale Ratzinger, ricordando gli anni della sua formazione teologica, scrive: “Era un fatto per noi liberante ed essenziale sapere che il «noi» della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame con la coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario.” Nello stesso testo Ratzinger sottolinea come la coscienza spinga ad obbedire alla verità oggettiva e, proprio perché uomo della coscienza, Newman seguì i suoi dettami fino alla difficoltosa scelta della conversione, “dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo”.
La questione particolarmente delicata del rapporto tra coscienza ed autorità venne trattata da Newman in uno dei suoi ultimi lavori, la Lettera al duca di Norfolk pubblicata nel 1875 come risposta alle accuse di William Gladstone, un importante politico liberale che fu più volte primo ministro. Gladstone sosteneva che, particolarmente dopo la dichiarazione del Concilio Vaticano I riguardante l’infallibilità papale, i cattolici inglesi si trovavano ad essere fedeli a due autorità tra loro incompatibili, ossia al Papa e alla regina. I cattolici erano diventati cittadini inaffidabili perché guidati da una potenza straniera e avevano rinunciato alla loro coscienza in quanto obbligati dalle scelte di un singolo.
Newman rispose spiegando qual è l’uso appropriato dell’autorità papale, chiarendone i limiti e anche le forme di dissenso ammesse dalla dottrina cattolica in circostanze eccezionali. Uno dei capitoli della lettera è dedicato proprio ad una dettagliata analisi delle caratteristiche della coscienza secondo la tradizione cattolica. Newman parla di quello che oggi chiameremmo relativismo morale: “La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri; ma al giorno d'oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell’ignorare il Legislatore e Giudice, nell’essere indipendenti da obblighi che non si vedono. … La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto ad agire a proprio piacimento.”
Newman mostra poi che secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa nessuno può essere obbligato ad agire contro la propria coscienza. Risponderà a Dio chi è colpevole dell’errore che avrebbe potuto evitare ma, se ritiene sinceramente che quella sia la verità, deve operare di conseguenza. La coscienza però non è una semplice opinione personale ma la doverosa obbedienza alla voce divina che parla in noi. In tal senso va interpretata un’espressione tanto celebre quanto fraintesa che appare alla fine della Lettera al duca di Norfolk: “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il papa. Ma prima per la coscienza e poi per il papa”.
A fondamento dell’autorità c’è l’obbedienza alla verità oggettiva e, quando il senso morale viene meno, l’autorità stessa diventa tirannia perché si fonda sull’opinione e non su un ordine che ci precede. Nel proporre questo ipotetico brindisi Newman sfidava Gladstone a brindare a sua volta prima per la coscienza e poi per la regina, ossia mostrava che i cattolici inglesi potevano essere fedeli tanto al Papa quanto alla corona perché la loro obbedienza riguardava innanzitutto la voce divina che si esprime nella coscienza, senza la quale verrebbero meno tanto i doveri civici che quelli religiosi.
Nel discorso già ricordato il cardinale Ratzinger scriveva: “Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza non si identifica affatto col diritto di «sbarazzarsi della coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri che non si vedono». In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e «la sua raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza»”.
In Newman, quindi, il futuro papa trovò alcuni principi che ancora oggi rappresentano i cardini del suo insegnamento: la critica al relativismo e la coscienza come fondamento dell’autorità politica e religiosa.
Angelo Bottone
docente di filosofia allo University College Dublin e alla Dublin Business School
autore per le “Edizioni Studium” di “John Henry Newman e l’abito mentale filosofico”
(SIR Europa, 14 settembre 2010)
La decisione di presiedere personalmente alla cerimonia di beatificazione del cardinale Newman conferma la stima che il Santo Padre ha sempre nutrito nei confronti del celebre convertito inglese. Papa Benedetto XVI ha cominciato ad apprezzare Newman nel 1946 quando, da studente di teologia nel seminario della Diocesi di Frisinga, ebbe come prefetto Alfred Laepple che in quel periodo stava lavorando su una dissertazione dedicata alla teologia della coscienza in Newman. Erano gli anni successivi alla dittatura nazista ed il giovane Ratzinger racconta che l’amicizia con Laepple gli permise di scoprire gli insegnamenti di Newman sul primato della coscienza del singolo. Ratzinger leggeva Newman nelle traduzioni tedesche di Theodor Haecker, anch’egli convertito, le stesse traduzioni che qualche anno prima avevano influenzato i membri della Rosa Bianca nella loro opposizione al nazismo.
Newman intende la coscienza sia come senso morale, ossia ciò che ci fa distinguere il bene dal male, che senso del dovere, ossia ciò che ci spinge a fare il bene. In diverse sue opere egli descrive con insuperabile suggestione la voce del foro interiore che ci guida, ci induce a scegliere alcune cose e ad evitarne altre. Newman era così convinto del potere autorevole della coscienza da considerarla la migliore prova dell’esistenza di Dio poiché una legge interna testimonia un legislatore esterno. In uno dei sermoni predicati a Dublino egli afferma: “Questa Parola a noi interna, non solo ci istruisce fino ad un certo punto, ma fa sorgere necessariamente nei nostri animi l’idea di un Maestro, un Maestro invisibile e nella misura in cui ascoltiamo quella Parola, e la utilizziamo, non solo impariamo di più da essa, non solo i suoi dettati ci appaiono più chiari e le sue lezioni più ampie e i suoi principi più coerenti, ma il suo stesso tono diventa più forte e più autorevole ed obbligante.”
La legge morale rimanda ad un ordine che ci precede, che non creiamo noi stessi e che pertanto richiede un autore. Questo autore non è un principio astratto ma una persona, è un maestro che ci parla nel segreto del cuore. Ciò che ci è più intimo è anche ciò che ci apre alla trascendenza. La coscienza pertanto possiede secondo Newman un valore inestimabile, essa è infatti il legame tra la creatura ed il Creatore. Nel discorso introduttivo ad un simposio su Newman del 1990 l’allora cardinale Ratzinger, ricordando gli anni della sua formazione teologica, scrive: “Era un fatto per noi liberante ed essenziale sapere che il «noi» della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame con la coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario.” Nello stesso testo Ratzinger sottolinea come la coscienza spinga ad obbedire alla verità oggettiva e, proprio perché uomo della coscienza, Newman seguì i suoi dettami fino alla difficoltosa scelta della conversione, “dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo”.
La questione particolarmente delicata del rapporto tra coscienza ed autorità venne trattata da Newman in uno dei suoi ultimi lavori, la Lettera al duca di Norfolk pubblicata nel 1875 come risposta alle accuse di William Gladstone, un importante politico liberale che fu più volte primo ministro. Gladstone sosteneva che, particolarmente dopo la dichiarazione del Concilio Vaticano I riguardante l’infallibilità papale, i cattolici inglesi si trovavano ad essere fedeli a due autorità tra loro incompatibili, ossia al Papa e alla regina. I cattolici erano diventati cittadini inaffidabili perché guidati da una potenza straniera e avevano rinunciato alla loro coscienza in quanto obbligati dalle scelte di un singolo.
Newman rispose spiegando qual è l’uso appropriato dell’autorità papale, chiarendone i limiti e anche le forme di dissenso ammesse dalla dottrina cattolica in circostanze eccezionali. Uno dei capitoli della lettera è dedicato proprio ad una dettagliata analisi delle caratteristiche della coscienza secondo la tradizione cattolica. Newman parla di quello che oggi chiameremmo relativismo morale: “La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri; ma al giorno d'oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell’ignorare il Legislatore e Giudice, nell’essere indipendenti da obblighi che non si vedono. … La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto ad agire a proprio piacimento.”
Newman mostra poi che secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa nessuno può essere obbligato ad agire contro la propria coscienza. Risponderà a Dio chi è colpevole dell’errore che avrebbe potuto evitare ma, se ritiene sinceramente che quella sia la verità, deve operare di conseguenza. La coscienza però non è una semplice opinione personale ma la doverosa obbedienza alla voce divina che parla in noi. In tal senso va interpretata un’espressione tanto celebre quanto fraintesa che appare alla fine della Lettera al duca di Norfolk: “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il papa. Ma prima per la coscienza e poi per il papa”.
A fondamento dell’autorità c’è l’obbedienza alla verità oggettiva e, quando il senso morale viene meno, l’autorità stessa diventa tirannia perché si fonda sull’opinione e non su un ordine che ci precede. Nel proporre questo ipotetico brindisi Newman sfidava Gladstone a brindare a sua volta prima per la coscienza e poi per la regina, ossia mostrava che i cattolici inglesi potevano essere fedeli tanto al Papa quanto alla corona perché la loro obbedienza riguardava innanzitutto la voce divina che si esprime nella coscienza, senza la quale verrebbero meno tanto i doveri civici che quelli religiosi.
Nel discorso già ricordato il cardinale Ratzinger scriveva: “Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza non si identifica affatto col diritto di «sbarazzarsi della coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri che non si vedono». In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e «la sua raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza»”.
In Newman, quindi, il futuro papa trovò alcuni principi che ancora oggi rappresentano i cardini del suo insegnamento: la critica al relativismo e la coscienza come fondamento dell’autorità politica e religiosa.
Angelo Bottone
docente di filosofia allo University College Dublin e alla Dublin Business School
autore per le “Edizioni Studium” di “John Henry Newman e l’abito mentale filosofico”
(SIR Europa, 14 settembre 2010)
Alla vigilia della beatificazione
Newman e il Vaticano II
di Robert P. Imbelli
La beatificazione di John Henry Newman promette di essere motivo di gioia e di grazia per tutta la Chiesa. Sarà, però, una grazia particolare per i pastori e i teologi della Chiesa, soprattutto in preparazione del cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II.
Come è noto, circa cento anni prima che Giovanni xXIII indicesse il concilio, Newman lo aveva previsto. Inoltre, alcuni documenti del concilio, in particolare la Dei verbum (la costituzione dogmatica sulla rivelazione divina) e la Lumen gentium (la costituzione dogmatica sulla Chiesa) riflettono la lungimiranza e l'influenza di Newman.
Oltre a prevedere il Vaticano II, John Henry Newman può essere una guida privilegiata per la ricezione e l'assimilazione permanenti del concilio. Infatti Newman è un rappresentante eccezionale della visione e dell'idea specificatamente cattolica. I suoi scritti rivelano una generosità di spirito che procede per inclusione invece che per riduzione: un'apertura alla presenza e alla promessa multiformi di Dio. Newman incarna l'esortazione di san Paolo ai Filippesi: "Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri" (4, 8).
Tuttavia, questa apertura e questa inclusività non sono mai indiscriminate. Newman combina, con una modalità molto particolare, generosità di spirito e sagacia. La sua prosa accorta e cristallina è espressione felice di una mente abituata a differenziare e a distinguere per evitare una sintesi superficiale e affrettata. La visione intellettuale e spirituale di Newman non costringe la grazia e non canonizza la natura.
In questo modo egli celebra la "coscienza" come "eco della voce di Dio" e, nello stesso tempo, riconosce quanto siamo disposti a smorzare quell'eco a seconda delle nostre preferenze e dei nostri pregiudizi. Afferma che "a nessuno è stata negata una rivelazione di Dio": la grazia è davvero ovunque, ma Newman ci avverte del fatto che solo "una parte del mondo ha goduto di un'autentica rivelazione". Non tutto è grazia.
Nel corso della sua lunga vita, dalla conversione negli anni dell'adolescenza al discorso del "biglietto" in occasione del ricevimento della notifica formale della sua nomina cardinalizia, non ci fu che un unico criterio personale dello spirito generoso e del raffinato discernimento di Newman: il Signore incarnato, Gesù Cristo. La prima Lettera di Giovanni ammonisce: "Carissimi, non prestate fede a ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio ...ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio" (4, 1 e 2). Tutti gli aneliti umani a Dio, che sono veramente pieni di grazia, trovano in Cristo fonte e compimento. Come dichiara Newman nella sua grande opera A Grammar of Assent: "tutta la Provvidenza di Dio è incentrata su Lui".
In un'epoca in cui la teologia della rivelazione era prevalentemente considerata in termini "proporzionali", Newman fu fermo nel rivendicare una modalità "personalistica" alla rivelazione divina, compiuta in Cristo. In The Influence of natural and Revealed Religion Respectively, il secondo dei suoi grandi Sermoni all'Università di Oxford, parla dell'economia divina della rivelazione quale "metodo di concretizzazione". Per esempio afferma che principi filosofici astratti quali Parola, Luce, Vita, Verità, Saggezza, si concretizzano in Cristo. Ciò che altrimenti rimarrebbe "nozionistico", diventa "reale" in Lui, affetto concreto, vivido, entusiasmante e imitazione ispiratrice. Newman riassume il suo convincimento con queste parole: "È l'incarnazione del Figlio di Dio piuttosto che qualsiasi dottrina ricavata da una visione parziale della Scrittura (per quanto possa essere vera e importante) il fondamento della vita o del crollo della Chiesa".
È degno di nota che il testo scritturale, ovvero il punto di partenza di questo magnifico sermone, che serve a orientare tutta l'esposizione di Newman, sia l'inizio della prima Lettera di Giovanni. Questi sono esattamente gli stessi versetti che i padri del concilio Vaticano II proclamarono nel proemio alla Dei Verbum, esponendo, in tal modo, la loro visione profondamente concreta della rivelazione: "Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col padre e col Figlio suo Gesù Cristo".
Egualmente degno di nota è il fatto che fra coloro che si impegnarono maggiormente nella elaborazione della Dei Verbum c'era il giovane teologo Joseph Ratzinger, la cui conoscenza e il cui apprezzamento di Newman sono stati ampiamente dimostrati. Quindi, considerare Newman come uno dei padri del concilio non significa soltanto attribuirgli un titolo "onorifico", ma celebrare il ruolo che svolse nel doppio compito del concilio di ressourcement e aggiornamento.
Sebbene, per Newman, il "metodo di personalizzazione" trovi espressione e incarnazione normativa massime in Cristo, esso si estende anche al "corpo dei fedeli, o chiesa, considerati dimora dell'unico Spirito Santo: perché la Chiesa, il Corpo di Cristo, è investita di una responsabilità metaforica ed è tenuta ad agire come unità, ai fini pratici di influenzare e orientare la condotta umana". In questo si riconoscono chiare anticipazioni della comprensione da parte del concilio Vaticano II del fatto che la Chiesa è "in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
Nel cercare, dunque, di recepire e di fare nuovamente nostro il concilio, John Henry Newman può aiutarci a proposito del significato cruciale dell'espressione "in Cristo". La sua generosità di spirito e il discernimento sensibile sono sempre stati ancorati alla dedizione totale del cuore e della mente a Cristo, che ha vivificato la sua preghiera e illuminato il suo cammino. La sua visione e il suo pensiero potrebbero essere generosamente inclusivi, perché sono profondamente radicati nell'unico Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Sia Newman sia il concilio Vaticano II proclamano con gioia Cristo come Lumen gentium, luce delle nazioni. La loro inclusività cattolica deriva dal proprio credo cristologico.
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
di Robert P. Imbelli
La beatificazione di John Henry Newman promette di essere motivo di gioia e di grazia per tutta la Chiesa. Sarà, però, una grazia particolare per i pastori e i teologi della Chiesa, soprattutto in preparazione del cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II.
Come è noto, circa cento anni prima che Giovanni xXIII indicesse il concilio, Newman lo aveva previsto. Inoltre, alcuni documenti del concilio, in particolare la Dei verbum (la costituzione dogmatica sulla rivelazione divina) e la Lumen gentium (la costituzione dogmatica sulla Chiesa) riflettono la lungimiranza e l'influenza di Newman.
Oltre a prevedere il Vaticano II, John Henry Newman può essere una guida privilegiata per la ricezione e l'assimilazione permanenti del concilio. Infatti Newman è un rappresentante eccezionale della visione e dell'idea specificatamente cattolica. I suoi scritti rivelano una generosità di spirito che procede per inclusione invece che per riduzione: un'apertura alla presenza e alla promessa multiformi di Dio. Newman incarna l'esortazione di san Paolo ai Filippesi: "Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri" (4, 8).
Tuttavia, questa apertura e questa inclusività non sono mai indiscriminate. Newman combina, con una modalità molto particolare, generosità di spirito e sagacia. La sua prosa accorta e cristallina è espressione felice di una mente abituata a differenziare e a distinguere per evitare una sintesi superficiale e affrettata. La visione intellettuale e spirituale di Newman non costringe la grazia e non canonizza la natura.
In questo modo egli celebra la "coscienza" come "eco della voce di Dio" e, nello stesso tempo, riconosce quanto siamo disposti a smorzare quell'eco a seconda delle nostre preferenze e dei nostri pregiudizi. Afferma che "a nessuno è stata negata una rivelazione di Dio": la grazia è davvero ovunque, ma Newman ci avverte del fatto che solo "una parte del mondo ha goduto di un'autentica rivelazione". Non tutto è grazia.
Nel corso della sua lunga vita, dalla conversione negli anni dell'adolescenza al discorso del "biglietto" in occasione del ricevimento della notifica formale della sua nomina cardinalizia, non ci fu che un unico criterio personale dello spirito generoso e del raffinato discernimento di Newman: il Signore incarnato, Gesù Cristo. La prima Lettera di Giovanni ammonisce: "Carissimi, non prestate fede a ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio ...ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio" (4, 1 e 2). Tutti gli aneliti umani a Dio, che sono veramente pieni di grazia, trovano in Cristo fonte e compimento. Come dichiara Newman nella sua grande opera A Grammar of Assent: "tutta la Provvidenza di Dio è incentrata su Lui".
In un'epoca in cui la teologia della rivelazione era prevalentemente considerata in termini "proporzionali", Newman fu fermo nel rivendicare una modalità "personalistica" alla rivelazione divina, compiuta in Cristo. In The Influence of natural and Revealed Religion Respectively, il secondo dei suoi grandi Sermoni all'Università di Oxford, parla dell'economia divina della rivelazione quale "metodo di concretizzazione". Per esempio afferma che principi filosofici astratti quali Parola, Luce, Vita, Verità, Saggezza, si concretizzano in Cristo. Ciò che altrimenti rimarrebbe "nozionistico", diventa "reale" in Lui, affetto concreto, vivido, entusiasmante e imitazione ispiratrice. Newman riassume il suo convincimento con queste parole: "È l'incarnazione del Figlio di Dio piuttosto che qualsiasi dottrina ricavata da una visione parziale della Scrittura (per quanto possa essere vera e importante) il fondamento della vita o del crollo della Chiesa".
È degno di nota che il testo scritturale, ovvero il punto di partenza di questo magnifico sermone, che serve a orientare tutta l'esposizione di Newman, sia l'inizio della prima Lettera di Giovanni. Questi sono esattamente gli stessi versetti che i padri del concilio Vaticano II proclamarono nel proemio alla Dei Verbum, esponendo, in tal modo, la loro visione profondamente concreta della rivelazione: "Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col padre e col Figlio suo Gesù Cristo".
Egualmente degno di nota è il fatto che fra coloro che si impegnarono maggiormente nella elaborazione della Dei Verbum c'era il giovane teologo Joseph Ratzinger, la cui conoscenza e il cui apprezzamento di Newman sono stati ampiamente dimostrati. Quindi, considerare Newman come uno dei padri del concilio non significa soltanto attribuirgli un titolo "onorifico", ma celebrare il ruolo che svolse nel doppio compito del concilio di ressourcement e aggiornamento.
Sebbene, per Newman, il "metodo di personalizzazione" trovi espressione e incarnazione normativa massime in Cristo, esso si estende anche al "corpo dei fedeli, o chiesa, considerati dimora dell'unico Spirito Santo: perché la Chiesa, il Corpo di Cristo, è investita di una responsabilità metaforica ed è tenuta ad agire come unità, ai fini pratici di influenzare e orientare la condotta umana". In questo si riconoscono chiare anticipazioni della comprensione da parte del concilio Vaticano II del fatto che la Chiesa è "in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
Nel cercare, dunque, di recepire e di fare nuovamente nostro il concilio, John Henry Newman può aiutarci a proposito del significato cruciale dell'espressione "in Cristo". La sua generosità di spirito e il discernimento sensibile sono sempre stati ancorati alla dedizione totale del cuore e della mente a Cristo, che ha vivificato la sua preghiera e illuminato il suo cammino. La sua visione e il suo pensiero potrebbero essere generosamente inclusivi, perché sono profondamente radicati nell'unico Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Sia Newman sia il concilio Vaticano II proclamano con gioia Cristo come Lumen gentium, luce delle nazioni. La loro inclusività cattolica deriva dal proprio credo cristologico.
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2010)
Tuesday, September 14, 2010
Il cardinale inglese e il cammino verso la santità
Difficile cammino di un ipersensibile
di Inos Biffi
Qualche anno prima che John Henry Newman morisse, il vescovo di Birmingham, nome Ullathorne, dopo averlo incontrato, commentava: "Mi sono sentito rimpicciolito davanti alla sua presenza. Dentro quest'uomo c'è un santo". Era una persuasione diffusa, riconosciuta persino dal cardinale Manning, che in precedenza non aveva nutrito sentimenti di eccessiva simpatia per Newman, per non dire che, con padre nome Faber, lo aveva fortemente avversato ed era stato - sono parole di Newman - ingiusto verso di lui.
Dichiarava il cardinale nell'elogio funebre: "A nostra memoria, nessun inglese è stato oggetto di una venerazione così viva e sincera. Fu centro di numerose anime, che erano andate da lui, come maestro, guida e consigliere durante molti anni. Una vita bella e nobile". Lo si potrebbe dire per la sua santità: "bella e nobile" e avvolta dalla discrezione e dal velo del silenzio.
Non troviamo in Newman forme "impressionanti" o manifestazioni eccessive nella sua concezione e nella sua esperienza della vita cristiana, ma un senso vivo e sereno della "misura", un equilibrio lontano da ogni esasperazione, un innato distacco dalle cose di questo mondo e un chiaro tratto di humour, ora più dolce ora più amaro, che sono probabilmente tra le ragioni della sua simpatia per Filippo Neri e della scelta di essere suo discepolo.
Del fondatore dell'Oratorio egli era, infatti, un ammiratore sconfinato e devotissimo, come rivelano le sue riflessioni e orazioni nella Novena di san Filippo Neri, o le Litanie di san Filippo, che invocava come: "Eroe nascosto", "Santo amabile", "Padre soavissimo", "Cuore di fuoco", "Luce di gioia santa".
Per la sua intercessione implorava: "Ottienimi la grazia della perfetta rassegnazione alla volontà di Dio, dell'indifferenza alle cose di questo mondo, e di tenere gli occhi rivolti continuamente al cielo, di modo che io non dispiaccia mai alla divina provvidenza, non mi perda d'animo, non sia mai triste". E in una sua meditazione chiedeva: "Mio Signore, mio unico Dio, Deus meus et omnia, non permettere che io corra dietro a ciò che è vano. Tutto è ombra e vanità quaggiù - lo reciterà anche la sua epigrafe -. Conserva il mio cuore fragilissimo e la mia anima debole sotto la divina protezione. Attirami a te al mattino, a mezzogiorno e alla sera".
Si potrebbe dire che la santità di Newman sia stata segnata dalla "raffinatezza", che, a suo giudizio - come spiegava ai suoi oratoriani -, "mette in evidenza e rende attraente la santità interiore, allo stesso modo in cui il dono dell'eloquenza esalta il ragionamento logico".
Ma nobiltà e raffinatezza della santità non significano facilità o assenza di difficoltà. Newman, come ogni discepolo del Signore, ha percorso, infatti, un cammino disseminato di difficoltà e segnato da svolte fondamentali e dolorose di "conversione".
Vi era anzitutto il suo temperamento. Egli doveva purificare un'ipersensibilità facilmente vulnerabile e appuntita, una suscettibilità facile a offendersi, una "fermezza d'acciaio" (Bouyer) penetrante, inclinata a reagire con pungente ironia, oltre al difetto comune agli intellettuali di un eccessivo gusto per la sottile discussione.
E qui possiamo osservare che non esistono temperamenti avvantaggiati o svantaggiati nei confronti della santità, ma una chiamata identica per tutti a trasformare la natura con l'ausilio della grazia, e viene in mente quanto lo stesso Newman diceva di Cirillo d'Alessandria: "Cirillo, lo so, è un santo; ma non vuol dire che fosse un santo nel 412. Fra i più grandi santi si trovano anche quelli che nella prima parte della vita hanno commesso delle azioni tutt'altro che sante. Non penso che a Cirillo possa piacere che i suoi atti storici siano presi a misura della sua santità interiore".
Quanto alle tappe del cammino di Newman alla santità - in ogni caso immediatamente sono aperte solo allo sguardo infallibile di Dio - possiamo discernere come prima quella del "grande rivolgimento di pensieri" che lo toccò, quindicenne, nell'autunno del 1816. Egli fu allora pervaso dall'evidenza luminosa, che non si spegnerà più, di "due e solo due esseri assoluti", il suo "io" e il suo "Creatore", il quale "gli si impose, in modo intimo, senza intermediari", non come un'idea astratta, ma nella consistenza di un Essere vivo, così come fatti vivi erano per lui i misteri della fede o i grandi dogmi quali la Trinità, l'incarnazione, la redenzione. Sempre nel tempo della sua prima conversione, lo aveva colpito un'espressione di Walter Scott, che divenne un programma: "La santità più che la pace".
Un'altra tappa decisiva nell'itinerario spirituale di Newman fu il superamento del liberalismo che incominciava a fargli preferire "l'eccellenza intellettuale a quella morale" e furono provvidenziali il viaggio nel Mediterraneo, la malattia in Sicilia, la scoperta del suo orgoglio, l'implorazione della Luce e il proposito di camminare sotto la sua guida. La santità di Newman appare come il crescere perseverante e senza strepito della puntuale corrispondenza a questa Luce.
Poi venne la "conversione" alla Chiesa cattolica, dove, con tutto lo strazio del distacco dall'antica Chiesa, dagli amici e dai familiari, risalta la fedeltà eroica alla coscienza e insieme alla volontà di Dio che in essa vedeva riflessa.
Ma proprio dopo questa conversione incomincia "la sua così lunga e spesso penosa vita", lungo la quale non sarebbero mancate situazioni difficili e profondi motivi di sofferenza, di fronte a chiari segni di sfiducia, a manovre non limpide, ad anni di emarginazione e di isolamento.
Possiamo seguire queste prove particolarmente negli Scritti autobiografici. Nel 1860 constatava e scriveva nel suo diario: "Non ho nessun amico a Roma, ho lavorato in Inghilterra dove non sono stato capito e dove mi hanno attaccato e disprezzato. Pare che sia incorso in molti fallimenti", e aggiungerà: "Credo di dire tutto questo senza amarezza". E ancora annotava: "Quanto è stata triste e solitaria la mia vita da quando sono diventato cattolico (...), da quando ho fatto il grande sacrificio al quale Dio mi chiamava. Egli mi ha compensato in mille modi, e tanto largamente. Ma ha segnato il mio cammino di mortificazioni quasi ininterrotte. La sua volontà benedetta non mi ha accordato molto successo nella vita. Da quando sono cattolico mi sembra di non aver avuto che degli insuccessi personali".
E aggiungeva nel gennaio del 1863 - Newman aveva 62 anni -: "Non mi stupisco delle prove, che sono il nostro retaggio quaggiù; ciò che mi amareggia è che, per quanto possa vedere, ho fatto così poco, in mezzo a tutte queste mie prove. La mia vita è stata triste perché, se guardo indietro, essa è stata un gran fallimento". Nel 1867, riconoscendo il lungo tempo in cui il Signore lo aveva abbandonato alla dimenticanza e alla calunnia, annotava: "Mi metterò sotto l'immagine del patriarca Giobbe, senza la pretesa di paragonarmi a lui", ma aggiungeva, sentendosi distaccato da tutto: "Ora sono in uno stato di quiete. Niente di quello che mi è capitato impedisce la mia gioia interiore, o piuttosto queste vicissitudini esteriori vi hanno magnificamente contribuito"; e due anni dopo riconosceva: "La Provvidenza di Dio è stata mirabile verso di me attraverso tutta la mia vita".
La santità di Newman è maturata in modo particolare per la fede, la speranza e la carità con cui egli ha saputo a lungo e pazientemente accogliere questa forma di croce, tanto più dolorosa quanto più viva era la sensibilità del suo animo e il suo amore per la verità e la giustizia.
Ma non solo leggendo il suo Diario, noi possiamo avvertire la sua passione per la santità: tutti i suoi scritti, anche quelli più teoretici, rivelano con trasparenza questo anelito. Pensiamo ai suoi pacati e tersi Sermoni Parrocchiali - in cui si ritrova tutto il suo ininterrotto ascolto della Parola di Dio -, alle composizioni liriche, in cui si fondono santità e poesia, alle Meditazioni e Preghiere, e a quegli avvincenti profili dei Padri, la cui compagnia lo affascinava.
Bremond osserva che Newman sceglieva i Padri anzitutto come amici: amici santi, così che le ore dedicate ad essi fossero "una specie di preghiera". E lo si avverte subito: l'intimità con Basilio, Gregorio di Nazianzo, Crisostomo, Agostino, e altri ancora, erano una scuola concreta e intensa di santità, ed effettivamente concorrevano a crearla in chi ne ricostruiva le peripezie e ne condivideva la vita interiore. Diceva sempre Bremond: "Chi non ama la santità, non ama i santi".
Newman mostra di amare sia i santi sia la santità.
(©L'Osservatore Romano - 13-14 settembre 2010)
di Inos Biffi
Qualche anno prima che John Henry Newman morisse, il vescovo di Birmingham, nome Ullathorne, dopo averlo incontrato, commentava: "Mi sono sentito rimpicciolito davanti alla sua presenza. Dentro quest'uomo c'è un santo". Era una persuasione diffusa, riconosciuta persino dal cardinale Manning, che in precedenza non aveva nutrito sentimenti di eccessiva simpatia per Newman, per non dire che, con padre nome Faber, lo aveva fortemente avversato ed era stato - sono parole di Newman - ingiusto verso di lui.
Dichiarava il cardinale nell'elogio funebre: "A nostra memoria, nessun inglese è stato oggetto di una venerazione così viva e sincera. Fu centro di numerose anime, che erano andate da lui, come maestro, guida e consigliere durante molti anni. Una vita bella e nobile". Lo si potrebbe dire per la sua santità: "bella e nobile" e avvolta dalla discrezione e dal velo del silenzio.
Non troviamo in Newman forme "impressionanti" o manifestazioni eccessive nella sua concezione e nella sua esperienza della vita cristiana, ma un senso vivo e sereno della "misura", un equilibrio lontano da ogni esasperazione, un innato distacco dalle cose di questo mondo e un chiaro tratto di humour, ora più dolce ora più amaro, che sono probabilmente tra le ragioni della sua simpatia per Filippo Neri e della scelta di essere suo discepolo.
Del fondatore dell'Oratorio egli era, infatti, un ammiratore sconfinato e devotissimo, come rivelano le sue riflessioni e orazioni nella Novena di san Filippo Neri, o le Litanie di san Filippo, che invocava come: "Eroe nascosto", "Santo amabile", "Padre soavissimo", "Cuore di fuoco", "Luce di gioia santa".
Per la sua intercessione implorava: "Ottienimi la grazia della perfetta rassegnazione alla volontà di Dio, dell'indifferenza alle cose di questo mondo, e di tenere gli occhi rivolti continuamente al cielo, di modo che io non dispiaccia mai alla divina provvidenza, non mi perda d'animo, non sia mai triste". E in una sua meditazione chiedeva: "Mio Signore, mio unico Dio, Deus meus et omnia, non permettere che io corra dietro a ciò che è vano. Tutto è ombra e vanità quaggiù - lo reciterà anche la sua epigrafe -. Conserva il mio cuore fragilissimo e la mia anima debole sotto la divina protezione. Attirami a te al mattino, a mezzogiorno e alla sera".
Si potrebbe dire che la santità di Newman sia stata segnata dalla "raffinatezza", che, a suo giudizio - come spiegava ai suoi oratoriani -, "mette in evidenza e rende attraente la santità interiore, allo stesso modo in cui il dono dell'eloquenza esalta il ragionamento logico".
Ma nobiltà e raffinatezza della santità non significano facilità o assenza di difficoltà. Newman, come ogni discepolo del Signore, ha percorso, infatti, un cammino disseminato di difficoltà e segnato da svolte fondamentali e dolorose di "conversione".
Vi era anzitutto il suo temperamento. Egli doveva purificare un'ipersensibilità facilmente vulnerabile e appuntita, una suscettibilità facile a offendersi, una "fermezza d'acciaio" (Bouyer) penetrante, inclinata a reagire con pungente ironia, oltre al difetto comune agli intellettuali di un eccessivo gusto per la sottile discussione.
E qui possiamo osservare che non esistono temperamenti avvantaggiati o svantaggiati nei confronti della santità, ma una chiamata identica per tutti a trasformare la natura con l'ausilio della grazia, e viene in mente quanto lo stesso Newman diceva di Cirillo d'Alessandria: "Cirillo, lo so, è un santo; ma non vuol dire che fosse un santo nel 412. Fra i più grandi santi si trovano anche quelli che nella prima parte della vita hanno commesso delle azioni tutt'altro che sante. Non penso che a Cirillo possa piacere che i suoi atti storici siano presi a misura della sua santità interiore".
Quanto alle tappe del cammino di Newman alla santità - in ogni caso immediatamente sono aperte solo allo sguardo infallibile di Dio - possiamo discernere come prima quella del "grande rivolgimento di pensieri" che lo toccò, quindicenne, nell'autunno del 1816. Egli fu allora pervaso dall'evidenza luminosa, che non si spegnerà più, di "due e solo due esseri assoluti", il suo "io" e il suo "Creatore", il quale "gli si impose, in modo intimo, senza intermediari", non come un'idea astratta, ma nella consistenza di un Essere vivo, così come fatti vivi erano per lui i misteri della fede o i grandi dogmi quali la Trinità, l'incarnazione, la redenzione. Sempre nel tempo della sua prima conversione, lo aveva colpito un'espressione di Walter Scott, che divenne un programma: "La santità più che la pace".
Un'altra tappa decisiva nell'itinerario spirituale di Newman fu il superamento del liberalismo che incominciava a fargli preferire "l'eccellenza intellettuale a quella morale" e furono provvidenziali il viaggio nel Mediterraneo, la malattia in Sicilia, la scoperta del suo orgoglio, l'implorazione della Luce e il proposito di camminare sotto la sua guida. La santità di Newman appare come il crescere perseverante e senza strepito della puntuale corrispondenza a questa Luce.
Poi venne la "conversione" alla Chiesa cattolica, dove, con tutto lo strazio del distacco dall'antica Chiesa, dagli amici e dai familiari, risalta la fedeltà eroica alla coscienza e insieme alla volontà di Dio che in essa vedeva riflessa.
Ma proprio dopo questa conversione incomincia "la sua così lunga e spesso penosa vita", lungo la quale non sarebbero mancate situazioni difficili e profondi motivi di sofferenza, di fronte a chiari segni di sfiducia, a manovre non limpide, ad anni di emarginazione e di isolamento.
Possiamo seguire queste prove particolarmente negli Scritti autobiografici. Nel 1860 constatava e scriveva nel suo diario: "Non ho nessun amico a Roma, ho lavorato in Inghilterra dove non sono stato capito e dove mi hanno attaccato e disprezzato. Pare che sia incorso in molti fallimenti", e aggiungerà: "Credo di dire tutto questo senza amarezza". E ancora annotava: "Quanto è stata triste e solitaria la mia vita da quando sono diventato cattolico (...), da quando ho fatto il grande sacrificio al quale Dio mi chiamava. Egli mi ha compensato in mille modi, e tanto largamente. Ma ha segnato il mio cammino di mortificazioni quasi ininterrotte. La sua volontà benedetta non mi ha accordato molto successo nella vita. Da quando sono cattolico mi sembra di non aver avuto che degli insuccessi personali".
E aggiungeva nel gennaio del 1863 - Newman aveva 62 anni -: "Non mi stupisco delle prove, che sono il nostro retaggio quaggiù; ciò che mi amareggia è che, per quanto possa vedere, ho fatto così poco, in mezzo a tutte queste mie prove. La mia vita è stata triste perché, se guardo indietro, essa è stata un gran fallimento". Nel 1867, riconoscendo il lungo tempo in cui il Signore lo aveva abbandonato alla dimenticanza e alla calunnia, annotava: "Mi metterò sotto l'immagine del patriarca Giobbe, senza la pretesa di paragonarmi a lui", ma aggiungeva, sentendosi distaccato da tutto: "Ora sono in uno stato di quiete. Niente di quello che mi è capitato impedisce la mia gioia interiore, o piuttosto queste vicissitudini esteriori vi hanno magnificamente contribuito"; e due anni dopo riconosceva: "La Provvidenza di Dio è stata mirabile verso di me attraverso tutta la mia vita".
La santità di Newman è maturata in modo particolare per la fede, la speranza e la carità con cui egli ha saputo a lungo e pazientemente accogliere questa forma di croce, tanto più dolorosa quanto più viva era la sensibilità del suo animo e il suo amore per la verità e la giustizia.
Ma non solo leggendo il suo Diario, noi possiamo avvertire la sua passione per la santità: tutti i suoi scritti, anche quelli più teoretici, rivelano con trasparenza questo anelito. Pensiamo ai suoi pacati e tersi Sermoni Parrocchiali - in cui si ritrova tutto il suo ininterrotto ascolto della Parola di Dio -, alle composizioni liriche, in cui si fondono santità e poesia, alle Meditazioni e Preghiere, e a quegli avvincenti profili dei Padri, la cui compagnia lo affascinava.
Bremond osserva che Newman sceglieva i Padri anzitutto come amici: amici santi, così che le ore dedicate ad essi fossero "una specie di preghiera". E lo si avverte subito: l'intimità con Basilio, Gregorio di Nazianzo, Crisostomo, Agostino, e altri ancora, erano una scuola concreta e intensa di santità, ed effettivamente concorrevano a crearla in chi ne ricostruiva le peripezie e ne condivideva la vita interiore. Diceva sempre Bremond: "Chi non ama la santità, non ama i santi".
Newman mostra di amare sia i santi sia la santità.
(©L'Osservatore Romano - 13-14 settembre 2010)
Monday, September 13, 2010
Da Avvenire del 10 settembre
Newman, quell’italiano!
di Lorenzo Fazzini
Si era lui stesso addirittura tradotto in «Giovanni Enrico Neandri». Tanto grande sentiva il suo debito ammaliante con l’Italia e i suoi abitanti, prima e dopo la conversione al cattolicesimo. Il teologo John Henry Newman vanta un fecondissimo rapporto con il Belpaese e alcuni dei suoi esponenti, illustri e meno celebri, determinati nel cammino che rese il pensatore di Oxford uno dei più grandi apologeti della Chiesa contemporanea. E in vista dell’imminente beatificazione di Newman, che Benedetto XVI presiederà a Birmingham il prossimo 19 settembre durante la visita in Gran Bretagna, riemergono i legami tra la «casa» della Chiesa cattolica, l’Italia, e il futuro beato.
Anzitutto, i retaggi culturali: già in una lettera da quindicenne citava le tragedie di Vittorio Alfieri, mentre da adolescente si era innamorato della musica di Nicolò Paganini, tanto da volersi cambiare cognome appunto in «Neandri» in onore dell’amato musicista.
Quindi, la presenza: Newman fu in Italia in tre occasione: un primo viaggio nel 1833, all’insegna della tradizione del «grand tour» degli intellettuali del Nord Europa, che guardavano alla Penisola come la sede della grande cultura classica.
Soprattutto è la Sicilia, con le rovine di Segesta, a toccarlo: qui, tra l’altro, contrae una malattia, che gli fa sperimentare un «Provviden za divina» manzoniana ante litteram (e vedremo perché). «In Italia egli ha visto una vibrane e viva Chiesa cattolica con tradizioni che esistono da secoli» commenta Jo Anne Cammarata Sylva, autrice del recente How Italy and Her People Shaped Cardinal Newman, il cui sottotitolo – «Influenze italiane su una mente inglese» – spiegano il senso di questa monografia uscita per le edizioni americane Newman House Press (pp. 190, 10$). Il 2 marzo seguente Newman è nella Città eterna: «E ora cosa posso dire di Roma se non che è la prima del le città? È possibile che un luogo così sereno e nobile sia la gabbia di creature immonde? Mi sono sentito quasi in imbarazzo, confuso per la grandezza unita all’estrema cura e grazia». Così scriveva l’anglicano (e antipapista) in una lettera citata in John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, biografia edita da Ares a firma di Lina Callegari (pp. 424, euro 23).
Il secondo passaggio in Italia avviene nel 1846, a conversione già avvenuta: Newman visita Milano, città a lui cara perché terra dei grandi padri della fede, Ambrogio e Agostino. Infine, l’ultima venuta data al 1856 quando visita alcuni oratori di San Filippo Neri, di cui è membro, ad esempio giungendo in inverno a Verona, presso l’abate filippino Carlo Zamboni, cui voleva porre alcune domande sulla regola dell’ordine. Fondamentale è l’episodio «italico» quando Newman divenne cattolico per mano di un missionario di Viterbo, trasferitosi in Inghilterra dove voleva rinverdire la morente tradizionale cattolica. Parliamo del beato Domenico Barberi, nato nel 1792, che invece della Cina e dell’America scelse la terra di Shakespeare come missione (nel 1963 Paolo VI lo proclamerà beato). Ebbene, è la Cammarata a ricordarci come quel 9 ottobre 1845 fu proprio padre Barbarini,venuto in contatto con Newman in precedenza, ad accoglierne la confessione e l’ingresso nella Chiesa cattolica. Racconterà Barbarini: «Arrivammo a Littlemore un’ora prima di mezzanotte. Mi misi davanti al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e che spettacolo fu per me ve dere ai miei piedi Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua con fessione, con straordinaria umiltà e devozione». Commenta Cammarata: «Che cosa curiosa che il 'Papa dei protestanti' sia stato con vertito da un piccolo prete italiano». Quasi per riconoscenza Newman cercò di imparare l’idioma di Dante tanto che nel suo viaggio l’anno successivo (1846) poté ri volgersi nella nostra lingua al cardinale Fransoni, prefetto del Collegio di Propaganda Fide.
Alfonso Maria de’ Liguori fu un altro apporto italico al cammino del teologo verso la Chiesa. Il santo napoletano, con i suoi Sermoni, aiutò Newman a comprendere la reale portata dell’importanza della figura di Maria nella vita cristiana, così da sopire la freddezza del pensatore inglese verso la figura della Madonna.
Ancora: il fecondo legame Newman-Italia si esplica nella devozione del teologo per Alessandro Manzoni e i suoi Promessi sposi,
nonché la simpatia di Antonio Rosmini per l’autore di Oxford. Il beato roveretano infatti era venuto in contatto con Newman tramite padre Luigi Gentili, cappellano di un benestante cattolico inglese. Il loro rapporto intellettuale – i due non si conobbero mai di persona – era così intenso che nel 1849 addirit tura dal cardinale Wiseman venne chiesto a Newman di leggere le Cinque piaghe della Chiesa di Rosmini, sul quale non ebbe niente da dire in termini dottrinali. E probabilmente tale giudizio influenzò anche la decisione vaticana di non censurare l’opera dello studioso di Rovereto.
Ancora più interessante il rapporto tra Manzoni e il cardinale dell’Oratorio: nel 1837 Newman scriveva di «aver letto il suo romanzo, che mi è decisamente piaciuto. Non ha la ricchezza o il vigore di un Walter Scott, ma mi sembra pieno di na turalità e dispiega una profondo senso religioso che non compare nelle composizioni di Scott, per quanto belle siano». La Cammarata ipotizza anche che nella figura letteraria di fra Cristoforo Newman abbia trovato il proprio ideale di sacerdote. E quando venne in Italia nel 1846 – sia Callegari che la Cammarata lo ricordano – Newman voleva incontrare Manzoni («mi propongo di andare da lui», scrisse in una coeva lettera a Edward Badeley). Solo l’assenza del romanziere da Milano non fa vorirò un incontro che sarebbe passato di certo agli annali della storia della cultura.
IL LIBRO
In ateneo con Aristotele
Non solo celebre teologo e grande apologeta. John H. Newman fu anche un inventore di università, visto che per otto anni fu impegnato nella costruzione e direzione dell’ateneo cattolico di Dublino, in Irlanda. In questo periodo produsse gli «Scritti Dublinesi» che ora vengono messi sotto la lente di ingrandimento di Angelo Bottone in «John Henry Newman e l’abito mentale filosofico» (Edizioni Studium, pp. 202, euro 15). Come scrive nella prefazione Bruno Forte, teologo e arcivescovo di Chieti, la capacità di Bottone (fondatore della Società Newmaniana italiana) è quella di recuperare alcune fonti non molto conosciute nella formulazione del pensiero teologico del cardinale inglese, tra i quali spicca Aristotele ma anche Cicerone. «Newman è anticipatore profetico riguardo al rapporto fra fede e ragione, cultura e spiritualità», scrive Forte.
di Lorenzo Fazzini
Si era lui stesso addirittura tradotto in «Giovanni Enrico Neandri». Tanto grande sentiva il suo debito ammaliante con l’Italia e i suoi abitanti, prima e dopo la conversione al cattolicesimo. Il teologo John Henry Newman vanta un fecondissimo rapporto con il Belpaese e alcuni dei suoi esponenti, illustri e meno celebri, determinati nel cammino che rese il pensatore di Oxford uno dei più grandi apologeti della Chiesa contemporanea. E in vista dell’imminente beatificazione di Newman, che Benedetto XVI presiederà a Birmingham il prossimo 19 settembre durante la visita in Gran Bretagna, riemergono i legami tra la «casa» della Chiesa cattolica, l’Italia, e il futuro beato.
Anzitutto, i retaggi culturali: già in una lettera da quindicenne citava le tragedie di Vittorio Alfieri, mentre da adolescente si era innamorato della musica di Nicolò Paganini, tanto da volersi cambiare cognome appunto in «Neandri» in onore dell’amato musicista.
Quindi, la presenza: Newman fu in Italia in tre occasione: un primo viaggio nel 1833, all’insegna della tradizione del «grand tour» degli intellettuali del Nord Europa, che guardavano alla Penisola come la sede della grande cultura classica.
Soprattutto è la Sicilia, con le rovine di Segesta, a toccarlo: qui, tra l’altro, contrae una malattia, che gli fa sperimentare un «Provviden za divina» manzoniana ante litteram (e vedremo perché). «In Italia egli ha visto una vibrane e viva Chiesa cattolica con tradizioni che esistono da secoli» commenta Jo Anne Cammarata Sylva, autrice del recente How Italy and Her People Shaped Cardinal Newman, il cui sottotitolo – «Influenze italiane su una mente inglese» – spiegano il senso di questa monografia uscita per le edizioni americane Newman House Press (pp. 190, 10$). Il 2 marzo seguente Newman è nella Città eterna: «E ora cosa posso dire di Roma se non che è la prima del le città? È possibile che un luogo così sereno e nobile sia la gabbia di creature immonde? Mi sono sentito quasi in imbarazzo, confuso per la grandezza unita all’estrema cura e grazia». Così scriveva l’anglicano (e antipapista) in una lettera citata in John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, biografia edita da Ares a firma di Lina Callegari (pp. 424, euro 23).
Il secondo passaggio in Italia avviene nel 1846, a conversione già avvenuta: Newman visita Milano, città a lui cara perché terra dei grandi padri della fede, Ambrogio e Agostino. Infine, l’ultima venuta data al 1856 quando visita alcuni oratori di San Filippo Neri, di cui è membro, ad esempio giungendo in inverno a Verona, presso l’abate filippino Carlo Zamboni, cui voleva porre alcune domande sulla regola dell’ordine. Fondamentale è l’episodio «italico» quando Newman divenne cattolico per mano di un missionario di Viterbo, trasferitosi in Inghilterra dove voleva rinverdire la morente tradizionale cattolica. Parliamo del beato Domenico Barberi, nato nel 1792, che invece della Cina e dell’America scelse la terra di Shakespeare come missione (nel 1963 Paolo VI lo proclamerà beato). Ebbene, è la Cammarata a ricordarci come quel 9 ottobre 1845 fu proprio padre Barbarini,venuto in contatto con Newman in precedenza, ad accoglierne la confessione e l’ingresso nella Chiesa cattolica. Racconterà Barbarini: «Arrivammo a Littlemore un’ora prima di mezzanotte. Mi misi davanti al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e che spettacolo fu per me ve dere ai miei piedi Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua con fessione, con straordinaria umiltà e devozione». Commenta Cammarata: «Che cosa curiosa che il 'Papa dei protestanti' sia stato con vertito da un piccolo prete italiano». Quasi per riconoscenza Newman cercò di imparare l’idioma di Dante tanto che nel suo viaggio l’anno successivo (1846) poté ri volgersi nella nostra lingua al cardinale Fransoni, prefetto del Collegio di Propaganda Fide.
Alfonso Maria de’ Liguori fu un altro apporto italico al cammino del teologo verso la Chiesa. Il santo napoletano, con i suoi Sermoni, aiutò Newman a comprendere la reale portata dell’importanza della figura di Maria nella vita cristiana, così da sopire la freddezza del pensatore inglese verso la figura della Madonna.
Ancora: il fecondo legame Newman-Italia si esplica nella devozione del teologo per Alessandro Manzoni e i suoi Promessi sposi,
nonché la simpatia di Antonio Rosmini per l’autore di Oxford. Il beato roveretano infatti era venuto in contatto con Newman tramite padre Luigi Gentili, cappellano di un benestante cattolico inglese. Il loro rapporto intellettuale – i due non si conobbero mai di persona – era così intenso che nel 1849 addirit tura dal cardinale Wiseman venne chiesto a Newman di leggere le Cinque piaghe della Chiesa di Rosmini, sul quale non ebbe niente da dire in termini dottrinali. E probabilmente tale giudizio influenzò anche la decisione vaticana di non censurare l’opera dello studioso di Rovereto.
Ancora più interessante il rapporto tra Manzoni e il cardinale dell’Oratorio: nel 1837 Newman scriveva di «aver letto il suo romanzo, che mi è decisamente piaciuto. Non ha la ricchezza o il vigore di un Walter Scott, ma mi sembra pieno di na turalità e dispiega una profondo senso religioso che non compare nelle composizioni di Scott, per quanto belle siano». La Cammarata ipotizza anche che nella figura letteraria di fra Cristoforo Newman abbia trovato il proprio ideale di sacerdote. E quando venne in Italia nel 1846 – sia Callegari che la Cammarata lo ricordano – Newman voleva incontrare Manzoni («mi propongo di andare da lui», scrisse in una coeva lettera a Edward Badeley). Solo l’assenza del romanziere da Milano non fa vorirò un incontro che sarebbe passato di certo agli annali della storia della cultura.
IL LIBRO
In ateneo con Aristotele
Non solo celebre teologo e grande apologeta. John H. Newman fu anche un inventore di università, visto che per otto anni fu impegnato nella costruzione e direzione dell’ateneo cattolico di Dublino, in Irlanda. In questo periodo produsse gli «Scritti Dublinesi» che ora vengono messi sotto la lente di ingrandimento di Angelo Bottone in «John Henry Newman e l’abito mentale filosofico» (Edizioni Studium, pp. 202, euro 15). Come scrive nella prefazione Bruno Forte, teologo e arcivescovo di Chieti, la capacità di Bottone (fondatore della Società Newmaniana italiana) è quella di recuperare alcune fonti non molto conosciute nella formulazione del pensiero teologico del cardinale inglese, tra i quali spicca Aristotele ma anche Cicerone. «Newman è anticipatore profetico riguardo al rapporto fra fede e ragione, cultura e spiritualità», scrive Forte.
Thursday, September 9, 2010
La traversata di Newman
La conversione del cardinale che il papa beatificherà in Gran Bretagna
Quando, fra qualche giorno, il 19 settembre, Benedetto XVI beatificherà John Henry Newman, il papa non renderà soltanto il dovuto omaggio della Chiesa cattolica a un uomo che in vita, a causa della sua ricerca della fede vera, affrontò tante tribolazioni. Indicherà anche un modello di vita cristiana e di slancio pastorale valido per l’oggi.
Nato nel 1801 e morto nel 1890, fervente anglicano e poi ministro della Chiesa d’Inghilterra, Newman nel 1845 si converte al cattolicesimo, due anni dopo è ordinato prete cattolico e nel 1879 è creato cardinale. Ma dietro l’apparente linearità di questo percorso ci sono tante curve difficili, tanti ostacoli, tante incomprensioni.
Fin dall’inizio la vita del futuro cardinale è segnata dall’imprevisto e dal contrasto. È uno studente brillante, ma a causa del troppo studio i suoi esami finali sono un mezzo fallimento. Il voto è molto basso, ma dopo circa un anno dà nuovi esami e questa volta diventa insegnante all’Oriel College di Oxford. Il suo ruolo è quello di tutor, con l’incarico di seguire un gruppo ristretto di studenti, ma ecco che Newman, poco più che ventenne, non si limita a trasmettere nozioni. Per lui l’insegnamento può essere concepito solo come una parte dell’educazione, che è in primo luogo morale e spirituale. Secondo la visione allora dominante si tratta di uno scandalo, e così gli studenti gli vengono sottratti.
Nel 1825 diventa pastore anglicano, si dedica alla parrocchia universitaria, tiene sermoni, e intanto incomincia a interrogarsi: è proprio nella Chiesa anglicana la strada giusta per raggiungere Dio e vivere da santi? Una prima risposta è positiva: la Chiesa d’Inghilterra, dice, è una sorta di “via media” tra il protestantesimo e la cattolicità, un giusto mezzo. Ma nel corso degli anni si rende conto che questa via, nella pratica, non esiste, avverte che le interferenze dello Stato nella vita della Chiesa sono indebite e inammissibili. Piano piano si avvicina alla Chiesa cattolica. Il suo “traghettatore” è un prete italiano, il passionista Domenico Barberi. La conversione è il frutto di questo lento cammino, come la traversata, dice, di un mare in tempesta. Non volta le spalle agli anglicani, non rinnega nulla del passato, ma per gli ex confratelli è un traditore. Lascia le certezze condivise per entrare in una minoranza disprezzata. Abbandona la comodità e la reputazione per abbracciare la verità.
Continua qui.
Quando, fra qualche giorno, il 19 settembre, Benedetto XVI beatificherà John Henry Newman, il papa non renderà soltanto il dovuto omaggio della Chiesa cattolica a un uomo che in vita, a causa della sua ricerca della fede vera, affrontò tante tribolazioni. Indicherà anche un modello di vita cristiana e di slancio pastorale valido per l’oggi.
Nato nel 1801 e morto nel 1890, fervente anglicano e poi ministro della Chiesa d’Inghilterra, Newman nel 1845 si converte al cattolicesimo, due anni dopo è ordinato prete cattolico e nel 1879 è creato cardinale. Ma dietro l’apparente linearità di questo percorso ci sono tante curve difficili, tanti ostacoli, tante incomprensioni.
Fin dall’inizio la vita del futuro cardinale è segnata dall’imprevisto e dal contrasto. È uno studente brillante, ma a causa del troppo studio i suoi esami finali sono un mezzo fallimento. Il voto è molto basso, ma dopo circa un anno dà nuovi esami e questa volta diventa insegnante all’Oriel College di Oxford. Il suo ruolo è quello di tutor, con l’incarico di seguire un gruppo ristretto di studenti, ma ecco che Newman, poco più che ventenne, non si limita a trasmettere nozioni. Per lui l’insegnamento può essere concepito solo come una parte dell’educazione, che è in primo luogo morale e spirituale. Secondo la visione allora dominante si tratta di uno scandalo, e così gli studenti gli vengono sottratti.
Nel 1825 diventa pastore anglicano, si dedica alla parrocchia universitaria, tiene sermoni, e intanto incomincia a interrogarsi: è proprio nella Chiesa anglicana la strada giusta per raggiungere Dio e vivere da santi? Una prima risposta è positiva: la Chiesa d’Inghilterra, dice, è una sorta di “via media” tra il protestantesimo e la cattolicità, un giusto mezzo. Ma nel corso degli anni si rende conto che questa via, nella pratica, non esiste, avverte che le interferenze dello Stato nella vita della Chiesa sono indebite e inammissibili. Piano piano si avvicina alla Chiesa cattolica. Il suo “traghettatore” è un prete italiano, il passionista Domenico Barberi. La conversione è il frutto di questo lento cammino, come la traversata, dice, di un mare in tempesta. Non volta le spalle agli anglicani, non rinnega nulla del passato, ma per gli ex confratelli è un traditore. Lascia le certezze condivise per entrare in una minoranza disprezzata. Abbandona la comodità e la reputazione per abbracciare la verità.
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Una vita segnata dall'impegno instancabile contro il liberalismo religioso
di Hermann Geissler
Il 19 settembre 2010 il Papa proclamerà beato uno dei più grandi pensatori cristiani dell'epoca moderna: John Henry Newman.
Il grande teologo inglese previde molte delle sfide del nostro tempo e si impegnò con coraggio e umiltà a servire la causa della verità.
Quando ricevette il "biglietto" per la nomina cardinalizia nel 1879, Newman indirizzò ai presenti nel palazzo del cardinale Howard, a Roma, un'allocuzione che è divenuta famosa. Dopo aver ringraziato il Pontefice per un onore così grande, egli confessa innanzitutto di aver fatto "molti sbagli" nella sua vita e di non avere "nulla dell'alta perfezione propria degli scritti dei santi", aggiungendo però di aver agito sempre con "l'intenzione onesta, l'assenza di fini personali, la disposizione all'obbedienza, la volontà di farsi correggere, la paura dell'errore, il desiderio di servire la santa Chiesa e una buona speranza di successo". Poi il cardinale eletto riassume l'impegno fondamentale della sua vita da teologo e pastore: "Gioisco nell'affermare che fin dall'inizio mi sono opposto a un grande male. Per 30, 40, 50 anni ho resistito con tutte le forze allo spirito del liberalismo.
Mai la santa Chiesa ha avuto bisogno di essere difesa da esso come in questi tempi nei quali è diventato un errore diffuso come un'insidia su tutta la terra; e in questa grande occasione, essendo naturale per chi si trovi al mio posto dare uno sguardo al mondo, alla Chiesa e al suo avvenire, non sarà inopportuno, io spero, se rinnovo la protesta contro di esso, protesta che ho fatto così di frequente".
Nel suo impegno contro il liberalismo religioso, Newman non si presentava come puro apologeta e ancora di meno come rigido conservatore, mirava invece con forza a dare ragione alla verità, valorizzando il ricco patrimonio della tradizione e tenendo conto delle nuove sfide del suo tempo.
Per mettere in luce la personalità di Newman, conviene ricordare brevemente alcune tappe della sua vita, perché, come disse il cardinale Joseph Ratzinger, "il segno caratteristico del grande dottore della Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita (...) Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".
Newman nacque il 21 febbraio 1801 a Londra. Il padre, anglicano liberale, lavorava come banchiere; la madre, casalinga, si impegnava a introdurre i suoi figli alla lettura della Bibbia secondo la tradizione anglicana, praticando però una religiosità dei sentimenti. Perciò Newman disse più tardi che nell'infanzia non aveva convinzioni religiose precise. La Sacra Scrittura gli diede regole morali elevate, ma le sue potenzialità intellettuali necessitavano di un qualcosa di più chiaro e definito. Ben presto, a soli quattordici anni, subì la tentazione dell'incredulità e dell'autosufficienza. Copiava certi versi di Voltaire, dove si negava l'immortalità dell'anima, e si diceva: "Quanto è terribile, ma quanto è verosimile". Voleva essere un gentleman, ma non credere in Dio: "Mi ricordo che volevo essere virtuoso, ma non religioso; non avevo capito che senso avrebbe amare Dio".
Mentre lottava con questi pensieri, Dio bussò al cuore del giovane studente. Nelle vacanze del 1816 egli leggeva il libro La forza della verità di Thomas Scott, un fervido calvinista, e fu profondamente colpito dal suo contenuto. Di seguito sperimentava la sua "prima conversione", che egli stesso considerò come una delle più importanti grazie della sua vita: si trattava di una acuta consapevolezza dell'esistenza di Dio, suo Creatore, e della vanità delle cose materiali. Nell'Apologia pro vita sua confessò che quest'esperienza ebbe un grande influsso sulla sua persona "isolandomi, cioè, dalle cose che mi circondavano, confermandomi nella mia sfiducia nella realtà dei fenomeni materiali e facendomi riposare nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore".
Sin da questa prima conversione, Newman cercò di amare Dio sopra ogni cosa e di seguire la luce della verità: "Quando avevo quindici anni (nell'autunno del 1816) si verificò in me un grande cambiamento di idee. Subii l'influenza di un credo definito, e accettai nella mia mente alcune impressioni del dogma che, per la misericordia di Dio, non si sono mai più cancellate od oscurate". Cominciò quindi a rendersi conto dell'importanza delle grandi verità cristiane: l'incarnazione del Figlio di Dio, l'opera della redenzione, il dono dello Spirito che abita nell'anima del battezzato, la fede che non può rimanere una semplice teoria, ma deve tradursi in un programma di vita.
Dopo gli studi nel Trinity College a Oxford, Newman fu eletto professore dell'Oriel College e divenne ministro anglicano e più tardi vicario di Saint Mary's, la chiesa dell'Università di Oxford. Nell'Oriel College fece conoscenza di alcuni rappresentanti della High Church dell'anglicanesimo e cominciava a occuparsi dei padri della Chiesa, nei quali scopriva la freschezza della Chiesa antica che doveva affermarsi in mezzo a un mondo pagano. Nel contempo fu sempre più insoddisfatto della situazione spirituale della sua confessione e preoccupato dall'influsso crescente del liberalismo a Oxford e in tutta l'Inghilterra.
Per combattere questi sviluppi, nel 1833 Newman iniziò, insieme con alcuni amici, il cosiddetto Movimento di Oxford. I suoi promotori denunciavano il distacco della nazione inglese dalla pratica della fede e lottavano per un ritorno al cristianesimo antico, attraverso una solida riforma dogmatica, liturgica e spirituale. Newman riassume il principio fondamentale del movimento, quello dogmatico, con queste parole: "Ciò che combattevo era il liberalismo, e per liberalismo intendo il principio antidogmatico con tutte le sue conseguenze (...) Dall'età di quindici anni il dogma è stato il principio fondamentale della mia religione: non conosco altra religione; non riesco a capire nessun'altra specie di religione; una religione ridotta a un semplice sentimento per me è un sogno e un inganno. Come non ci può essere amore filiale senza l'esistenza di un padre, così non ci può essere devozione senza la realtà di un Essere Supremo".
Con la pubblicazione di trattati di facile divulgazione, il Movimento di Oxford cercava di penetrare nella coscienza degli ecclesiastici e dei laici, posta fra due estremi: da una parte il sentimentalismo, che riduceva la fede a puro sentimento, e dall'altra il razionalismo, che negava le realtà soprannaturali della fede. Newman si rendeva conto che la polemica contro il liberalismo religioso aveva bisogno di un saldo fondamento dottrinale. Fu convinto di aver trovato questo fondamento negli scritti dei Padri i quali ammirava come i veri araldi della verità, i rappresentanti di quella fede che, secondo Newman, "era pressoché scomparsa dalla terra e che deve essere ripristinata". Mentre il Movimento di Oxford si diffondeva, Newman sviluppava la teoria della via media. Con essa intendeva dimostrare che la Comunione anglicana era l'erede legittima della prima cristianità, in quanto non presentava né gli errori dottrinali dei protestanti né le corruzioni e gli abusi che pensava di vedere nella Chiesa di Roma.
Ma studiando la storia della Chiesa del iv secolo, Newman fece una grande scoperta: trovò rispecchiata nei tre gruppi di allora la cristianità del suo secolo - negli ariani i protestanti, nei romani la Chiesa di Roma, nei semi-ariani gli anglicani. Poco dopo lesse un articolo in cui si paragonava la posizione dei donatisti africani al tempo di Agostino con quella degli anglicani. Newman non poteva più dimenticare la frase Securus iudicat orbem terrarum, citata dal vescovo di Ippona, ovvero, nella traduzione dello stesso Newman: "La Chiesa universale, nei suoi giudizi, è sicura della verità". Egli capiva che nella Chiesa antica i conflitti dottrinali venivano risolti non soltanto in base al principio dell'antichità, ma anche in base alla cattolicità: il giudizio della Chiesa intera è decreto infallibile. Di conseguenza, "la teoria della via media era assolutamente polverizzata".
Fedele al principio di conformarsi alla verità, Newman decise di ritirarsi a Littlemore, un piccolo villaggio vicino a Oxford, per alcuni anni di preghiera e di studio. Iniziava a tirare le fila di una riflessione che lo accompagnava già da anni: se la Chiesa cattolica romana era nella continuità apostolica, come giustificare quelle dottrine che non sembravano far parte del patrimonio di fede dell'antica cristianità? Il principio dell'autentico sviluppo, che egli poi elaborò, gli permise di rendere ragione dei vari "nuovi" insegnamenti della Chiesa cattolica: i dogmi più tardi erano sviluppi autentici della Rivelazione originale. Questo argomento, decisivo per il suo futuro, egli ha illustrato nel suo famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana.
In questo capolavoro teologico si trova un passo in cui Newman, rigettando l'idea secondo la quale la verità e l'errore in materia di religione sarebbero solo questioni opinabili, riafferma la sua convinzione di fondo: "Vi è una verità; vi è una sola verità; l'errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell'errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l'errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l'acquisizione della verità non assomiglia in nulla all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla; la verità e l'errore sono posti davanti a noi per prova dei nostri cuori; scegliere fra l'una e l'altro è un terribile gettar le sorti da cui dipende la nostra salvezza o la nostra dannazione (...) Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza".
Mentre Newman procedeva con lo studio sullo sviluppo della dottrina cristiana, comprese che la Chiesa di Roma era la Chiesa dei padri. Nell'Apologia scrive in proposito: "Ero indotto a esaminare più attentamente un'idea che senza dubbio era nel mio pensiero da molto tempo, e cioè la concatenazione degli argomenti, mediante la quale la mente ascende dalla sua prima idea religiosa a quella finale; e arrivai alla conclusione che, in una vera filosofia, non vi era via di mezzo tra l'ateismo e il cattolicesimo, e che uno spirito pienamente coerente, nelle circostanze in cui si trova quaggiù, deve abbracciare o l'uno o l'altro". Il 9 ottobre 1845 egli abbracciò la fede cattolica e fu ricevuto dal beato Domenico Barberi, un passionista italiano, nella piena comunione della Chiesa cattolica, che definì allora "l'unico ovile di Cristo".
Ordinato sacerdote cattolico nel 1847, dopo un breve tempo di studio a Propaganda Fide in Roma, Newman fondò l'Oratorio di San Filippo Neri a Birmingham. Nelle sue molteplici attività pastorali e teologiche si impegnava soprattutto per la formazione intellettuale e spirituale dei fedeli. Fu convinto che il confronto con gli sviluppi culturali e sociali del tempo richiede una fede che sa esibire i motivi della speranza. In mezzo a infinite difficoltà e incomprensioni - ricordiamo solo il suo tentativo, purtroppo fallito, di fondare un'università cattolica a Dublino, preparato con alcune conferenze pubblicate successivamente nel volume L'idea di università, altro capolavoro di Newman - egli lavorava per una formazione di laici colti, "uomini del mondo per il mondo", guidati da una fede illuminata e capaci di testimoniare e difendere le proprie convinzioni.
Nel 1870 uscì il Saggio per una grammatica dell'assenso. In questo libro, anch'esso un classico, Newman analizza filosoficamente l'atto dell'assenso della mente umana alla verità, cercando di difendere il diritto dell'uomo semplice alla certezza su argomenti di fede, anche se questi non è in grado di dimostrarla scientificamente. Nella parte conclusiva di tale volume, Newman ci ha lasciato una pagina bellissima in cui riassume le "prove" per la verità in un confronto con la religione naturale, con le promesse fatte al popolo di Israele e con le diverse religioni diffuse nell'impero romano.
Citiamo questo passo che è di particolare rilievo nel mondo di oggi, in cui il cristianesimo è chiamato ad affermarsi e a diffondersi in mezzo a una società sempre più pluralista: "La religione naturale si basa sul senso del peccato; riconosce il male, ma non può trovare il rimedio, può solo cercarlo. Quel rimedio, sia per quanto riguarda la colpa che l'impotenza morale, si trova nella dottrina centrale della rivelazione: la mediazione di Cristo. Così accade che il cristianesimo sia il compimento della promessa fatta ad Abramo e delle rivelazioni mosaiche; questo è il modo in cui ha saputo fin dall'inizio occupare il mondo e guadagnare credito in ogni classe della società umana che i suoi predicatori raggiungevano; questa è la ragione per cui il potere romano e la moltitudine di religioni che esso comprendeva non potevano resistergli; questo è il segreto della sua prolungata energia e dei suoi martiri che mai cedettero; questo è il modo in cui oggi è così misteriosamente potente, malgrado i nuovi e minacciosi avversari che ne cospargono la via. Ha dalla sua quel dono di tamponare e di sanare l'unica profonda ferita della natura umana, che per il suo successo ha più valore di un'intera enciclopedia di conoscenza scientifica e di un'intera biblioteca di dispute, e per questo deve durare finché dura la natura umana.
Si tratta di una verità viva che non può mai invecchiare. Alcuni ne parlano come se fosse una cosa della storia, con un'influenza solo indiretta sui tempi moderni; non posso ammettere che sia una mera religione storica. Certamente ha i suoi fondamenti nel passato e in memorie gloriose, ma il suo potere è nel presente.
Non si tratta di squallida materia di antiquariato; non la contempliamo nelle conclusioni tratte da documenti muti e da eventi morti, ma dalla fede che si esercita in oggetti sempre vivi e dall'appropriazione e dall'uso di doni sempre presenti. La nostra comunione con esso è nell'invisibile, non nell'obsoleto.
In questo stesso tempo i suoi riti e comandamenti suscitano di continuo l'attivo intervento di quell'Onnipotenza in cui la religione iniziò molto tempo fa. Prima e al di sopra di tutto è la Santa Messa, in cui Colui che una volta morì per noi sulla croce, richiama alla memoria e, con la Sua letterale presenza in essa, perpetua quel medesimo sacrificio che non si può ripetere.
In secondo luogo, c'è la Sua effettiva presenza, in anima e corpo, e divinità, nell'anima e nel corpo di ogni fedele che giunge a Lui per averne il dono, un privilegio più intimo che se noi avessimo vissuto con Lui nel Suo remoto passaggio terreno. E poi, inoltre, c'è il Suo personale dimorare nelle nostre chiese, che innalza il servizio terreno fino ad essere un acconto del cielo. Tale è la professione del cristianesimo e, ripeto, la sua stessa divinazione dei nostri bisogni è in sé una prova che ne è realmente il rifornimento".
La forza della Chiesa, quindi, non sta nella perfezione dei suoi membri - che spesso sono purtroppo lontani dall'ideale cristiano, sebbene i santi non mancano mai - ma nella verità divina che essa è chiamata a custodire, annunciare e comunicare a tutti e che offre il rimedio per la natura di ogni uomo, ferita dal peccato e bisognosa di guarigione e di rinnovamento.
In conclusione ritorniamo all'allocuzione che Newman tenne in occasione del ricevimento del "biglietto" per la nomina al cardinalato. In tale circostanza, rinnovando la sua protesta contro il liberalismo religioso, egli offrì una precisa descrizione del medesimo: "Il liberalismo (in religione) è la dottrina secondo la quale non esiste verità positiva in religione, ma un credo vale l'altro; e tale dottrina va acquistando vigore di giorno in giorno. Esso non vuole riconoscere come vera alcuna religione. Insegna che tutte devono essere tollerate e che tutte sono materia di opinione. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e un gusto; non è un fatto oggettivo, né miracoloso ed è diritto di ogni individuo di seguire quello che vuole la sua fantasia. La devozione non è fondata necessariamente sulla fede. Gli uomini possono frequentare la Chiesa cattolica o la Chiesa protestante, prendere quello che è buono da tutte e due senza dover appartenere a nessuna delle due. Essi possono fraternizzare insieme nei pensieri e nei sentimenti spirituali, senza avere nessuna idea in comune delle dottrine, o sentire la necessità di queste. E poiché la religione è un affare personale e una proprietà privata, noi la dobbiamo necessariamente ignorare nei rapporti tra uomo e uomo; se un uomo inventa una nuova religione ogni mattina, a te cosa importa? Non è bene intromettersi nella religione di un altro così come non è bene intromettersi nelle fonti del suo reddito o nella sua maniera di condurre la famiglia. In nessun senso la religione è un obbligo della società".
Oggi siamo testimoni di una mentalità che sostiene idee molto simili, con gravi conseguenze per tutti gli ambiti della vita. Il cardinale Newman può ricordare a tutti, ecclesiastici e laici, che la verità è un prezioso dono da accogliere con fede, da vivere con amore, da proclamare con gioia, da difendere con forza. Senza la luce della verità, l'uomo è privo di un punto sicuro di riferimento, la morale si riduce a un puro soggettivismo, la vita pubblica si deforma in un gioco di poteri. Se, invece, impariamo di nuovo a cercare e a seguire umilmente la verità, ci si apre una via verso un futuro in cui si potrà vivere una vita buona e serena. Con il suo esempio incoraggiante e il suo magistero illuminante, Papa Benedetto XVI ci precede su questa via, che, infine, è la via di Gesù, del Dio con il volto umano. "La Chiesa - così Newman conclude il suo "biglietto speech" - non deve fare altro che proseguire nei suoi doveri, nella confidenza e nella pace; rimanere calma e aspettare la salvezza di Dio".
(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2010)
Il 19 settembre 2010 il Papa proclamerà beato uno dei più grandi pensatori cristiani dell'epoca moderna: John Henry Newman.
Il grande teologo inglese previde molte delle sfide del nostro tempo e si impegnò con coraggio e umiltà a servire la causa della verità.
Quando ricevette il "biglietto" per la nomina cardinalizia nel 1879, Newman indirizzò ai presenti nel palazzo del cardinale Howard, a Roma, un'allocuzione che è divenuta famosa. Dopo aver ringraziato il Pontefice per un onore così grande, egli confessa innanzitutto di aver fatto "molti sbagli" nella sua vita e di non avere "nulla dell'alta perfezione propria degli scritti dei santi", aggiungendo però di aver agito sempre con "l'intenzione onesta, l'assenza di fini personali, la disposizione all'obbedienza, la volontà di farsi correggere, la paura dell'errore, il desiderio di servire la santa Chiesa e una buona speranza di successo". Poi il cardinale eletto riassume l'impegno fondamentale della sua vita da teologo e pastore: "Gioisco nell'affermare che fin dall'inizio mi sono opposto a un grande male. Per 30, 40, 50 anni ho resistito con tutte le forze allo spirito del liberalismo.
Mai la santa Chiesa ha avuto bisogno di essere difesa da esso come in questi tempi nei quali è diventato un errore diffuso come un'insidia su tutta la terra; e in questa grande occasione, essendo naturale per chi si trovi al mio posto dare uno sguardo al mondo, alla Chiesa e al suo avvenire, non sarà inopportuno, io spero, se rinnovo la protesta contro di esso, protesta che ho fatto così di frequente".
Nel suo impegno contro il liberalismo religioso, Newman non si presentava come puro apologeta e ancora di meno come rigido conservatore, mirava invece con forza a dare ragione alla verità, valorizzando il ricco patrimonio della tradizione e tenendo conto delle nuove sfide del suo tempo.
Per mettere in luce la personalità di Newman, conviene ricordare brevemente alcune tappe della sua vita, perché, come disse il cardinale Joseph Ratzinger, "il segno caratteristico del grande dottore della Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita (...) Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".
Newman nacque il 21 febbraio 1801 a Londra. Il padre, anglicano liberale, lavorava come banchiere; la madre, casalinga, si impegnava a introdurre i suoi figli alla lettura della Bibbia secondo la tradizione anglicana, praticando però una religiosità dei sentimenti. Perciò Newman disse più tardi che nell'infanzia non aveva convinzioni religiose precise. La Sacra Scrittura gli diede regole morali elevate, ma le sue potenzialità intellettuali necessitavano di un qualcosa di più chiaro e definito. Ben presto, a soli quattordici anni, subì la tentazione dell'incredulità e dell'autosufficienza. Copiava certi versi di Voltaire, dove si negava l'immortalità dell'anima, e si diceva: "Quanto è terribile, ma quanto è verosimile". Voleva essere un gentleman, ma non credere in Dio: "Mi ricordo che volevo essere virtuoso, ma non religioso; non avevo capito che senso avrebbe amare Dio".
Mentre lottava con questi pensieri, Dio bussò al cuore del giovane studente. Nelle vacanze del 1816 egli leggeva il libro La forza della verità di Thomas Scott, un fervido calvinista, e fu profondamente colpito dal suo contenuto. Di seguito sperimentava la sua "prima conversione", che egli stesso considerò come una delle più importanti grazie della sua vita: si trattava di una acuta consapevolezza dell'esistenza di Dio, suo Creatore, e della vanità delle cose materiali. Nell'Apologia pro vita sua confessò che quest'esperienza ebbe un grande influsso sulla sua persona "isolandomi, cioè, dalle cose che mi circondavano, confermandomi nella mia sfiducia nella realtà dei fenomeni materiali e facendomi riposare nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore".
Sin da questa prima conversione, Newman cercò di amare Dio sopra ogni cosa e di seguire la luce della verità: "Quando avevo quindici anni (nell'autunno del 1816) si verificò in me un grande cambiamento di idee. Subii l'influenza di un credo definito, e accettai nella mia mente alcune impressioni del dogma che, per la misericordia di Dio, non si sono mai più cancellate od oscurate". Cominciò quindi a rendersi conto dell'importanza delle grandi verità cristiane: l'incarnazione del Figlio di Dio, l'opera della redenzione, il dono dello Spirito che abita nell'anima del battezzato, la fede che non può rimanere una semplice teoria, ma deve tradursi in un programma di vita.
Dopo gli studi nel Trinity College a Oxford, Newman fu eletto professore dell'Oriel College e divenne ministro anglicano e più tardi vicario di Saint Mary's, la chiesa dell'Università di Oxford. Nell'Oriel College fece conoscenza di alcuni rappresentanti della High Church dell'anglicanesimo e cominciava a occuparsi dei padri della Chiesa, nei quali scopriva la freschezza della Chiesa antica che doveva affermarsi in mezzo a un mondo pagano. Nel contempo fu sempre più insoddisfatto della situazione spirituale della sua confessione e preoccupato dall'influsso crescente del liberalismo a Oxford e in tutta l'Inghilterra.
Per combattere questi sviluppi, nel 1833 Newman iniziò, insieme con alcuni amici, il cosiddetto Movimento di Oxford. I suoi promotori denunciavano il distacco della nazione inglese dalla pratica della fede e lottavano per un ritorno al cristianesimo antico, attraverso una solida riforma dogmatica, liturgica e spirituale. Newman riassume il principio fondamentale del movimento, quello dogmatico, con queste parole: "Ciò che combattevo era il liberalismo, e per liberalismo intendo il principio antidogmatico con tutte le sue conseguenze (...) Dall'età di quindici anni il dogma è stato il principio fondamentale della mia religione: non conosco altra religione; non riesco a capire nessun'altra specie di religione; una religione ridotta a un semplice sentimento per me è un sogno e un inganno. Come non ci può essere amore filiale senza l'esistenza di un padre, così non ci può essere devozione senza la realtà di un Essere Supremo".
Con la pubblicazione di trattati di facile divulgazione, il Movimento di Oxford cercava di penetrare nella coscienza degli ecclesiastici e dei laici, posta fra due estremi: da una parte il sentimentalismo, che riduceva la fede a puro sentimento, e dall'altra il razionalismo, che negava le realtà soprannaturali della fede. Newman si rendeva conto che la polemica contro il liberalismo religioso aveva bisogno di un saldo fondamento dottrinale. Fu convinto di aver trovato questo fondamento negli scritti dei Padri i quali ammirava come i veri araldi della verità, i rappresentanti di quella fede che, secondo Newman, "era pressoché scomparsa dalla terra e che deve essere ripristinata". Mentre il Movimento di Oxford si diffondeva, Newman sviluppava la teoria della via media. Con essa intendeva dimostrare che la Comunione anglicana era l'erede legittima della prima cristianità, in quanto non presentava né gli errori dottrinali dei protestanti né le corruzioni e gli abusi che pensava di vedere nella Chiesa di Roma.
Ma studiando la storia della Chiesa del iv secolo, Newman fece una grande scoperta: trovò rispecchiata nei tre gruppi di allora la cristianità del suo secolo - negli ariani i protestanti, nei romani la Chiesa di Roma, nei semi-ariani gli anglicani. Poco dopo lesse un articolo in cui si paragonava la posizione dei donatisti africani al tempo di Agostino con quella degli anglicani. Newman non poteva più dimenticare la frase Securus iudicat orbem terrarum, citata dal vescovo di Ippona, ovvero, nella traduzione dello stesso Newman: "La Chiesa universale, nei suoi giudizi, è sicura della verità". Egli capiva che nella Chiesa antica i conflitti dottrinali venivano risolti non soltanto in base al principio dell'antichità, ma anche in base alla cattolicità: il giudizio della Chiesa intera è decreto infallibile. Di conseguenza, "la teoria della via media era assolutamente polverizzata".
Fedele al principio di conformarsi alla verità, Newman decise di ritirarsi a Littlemore, un piccolo villaggio vicino a Oxford, per alcuni anni di preghiera e di studio. Iniziava a tirare le fila di una riflessione che lo accompagnava già da anni: se la Chiesa cattolica romana era nella continuità apostolica, come giustificare quelle dottrine che non sembravano far parte del patrimonio di fede dell'antica cristianità? Il principio dell'autentico sviluppo, che egli poi elaborò, gli permise di rendere ragione dei vari "nuovi" insegnamenti della Chiesa cattolica: i dogmi più tardi erano sviluppi autentici della Rivelazione originale. Questo argomento, decisivo per il suo futuro, egli ha illustrato nel suo famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana.
In questo capolavoro teologico si trova un passo in cui Newman, rigettando l'idea secondo la quale la verità e l'errore in materia di religione sarebbero solo questioni opinabili, riafferma la sua convinzione di fondo: "Vi è una verità; vi è una sola verità; l'errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell'errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l'errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l'acquisizione della verità non assomiglia in nulla all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla; la verità e l'errore sono posti davanti a noi per prova dei nostri cuori; scegliere fra l'una e l'altro è un terribile gettar le sorti da cui dipende la nostra salvezza o la nostra dannazione (...) Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza".
Mentre Newman procedeva con lo studio sullo sviluppo della dottrina cristiana, comprese che la Chiesa di Roma era la Chiesa dei padri. Nell'Apologia scrive in proposito: "Ero indotto a esaminare più attentamente un'idea che senza dubbio era nel mio pensiero da molto tempo, e cioè la concatenazione degli argomenti, mediante la quale la mente ascende dalla sua prima idea religiosa a quella finale; e arrivai alla conclusione che, in una vera filosofia, non vi era via di mezzo tra l'ateismo e il cattolicesimo, e che uno spirito pienamente coerente, nelle circostanze in cui si trova quaggiù, deve abbracciare o l'uno o l'altro". Il 9 ottobre 1845 egli abbracciò la fede cattolica e fu ricevuto dal beato Domenico Barberi, un passionista italiano, nella piena comunione della Chiesa cattolica, che definì allora "l'unico ovile di Cristo".
Ordinato sacerdote cattolico nel 1847, dopo un breve tempo di studio a Propaganda Fide in Roma, Newman fondò l'Oratorio di San Filippo Neri a Birmingham. Nelle sue molteplici attività pastorali e teologiche si impegnava soprattutto per la formazione intellettuale e spirituale dei fedeli. Fu convinto che il confronto con gli sviluppi culturali e sociali del tempo richiede una fede che sa esibire i motivi della speranza. In mezzo a infinite difficoltà e incomprensioni - ricordiamo solo il suo tentativo, purtroppo fallito, di fondare un'università cattolica a Dublino, preparato con alcune conferenze pubblicate successivamente nel volume L'idea di università, altro capolavoro di Newman - egli lavorava per una formazione di laici colti, "uomini del mondo per il mondo", guidati da una fede illuminata e capaci di testimoniare e difendere le proprie convinzioni.
Nel 1870 uscì il Saggio per una grammatica dell'assenso. In questo libro, anch'esso un classico, Newman analizza filosoficamente l'atto dell'assenso della mente umana alla verità, cercando di difendere il diritto dell'uomo semplice alla certezza su argomenti di fede, anche se questi non è in grado di dimostrarla scientificamente. Nella parte conclusiva di tale volume, Newman ci ha lasciato una pagina bellissima in cui riassume le "prove" per la verità in un confronto con la religione naturale, con le promesse fatte al popolo di Israele e con le diverse religioni diffuse nell'impero romano.
Citiamo questo passo che è di particolare rilievo nel mondo di oggi, in cui il cristianesimo è chiamato ad affermarsi e a diffondersi in mezzo a una società sempre più pluralista: "La religione naturale si basa sul senso del peccato; riconosce il male, ma non può trovare il rimedio, può solo cercarlo. Quel rimedio, sia per quanto riguarda la colpa che l'impotenza morale, si trova nella dottrina centrale della rivelazione: la mediazione di Cristo. Così accade che il cristianesimo sia il compimento della promessa fatta ad Abramo e delle rivelazioni mosaiche; questo è il modo in cui ha saputo fin dall'inizio occupare il mondo e guadagnare credito in ogni classe della società umana che i suoi predicatori raggiungevano; questa è la ragione per cui il potere romano e la moltitudine di religioni che esso comprendeva non potevano resistergli; questo è il segreto della sua prolungata energia e dei suoi martiri che mai cedettero; questo è il modo in cui oggi è così misteriosamente potente, malgrado i nuovi e minacciosi avversari che ne cospargono la via. Ha dalla sua quel dono di tamponare e di sanare l'unica profonda ferita della natura umana, che per il suo successo ha più valore di un'intera enciclopedia di conoscenza scientifica e di un'intera biblioteca di dispute, e per questo deve durare finché dura la natura umana.
Si tratta di una verità viva che non può mai invecchiare. Alcuni ne parlano come se fosse una cosa della storia, con un'influenza solo indiretta sui tempi moderni; non posso ammettere che sia una mera religione storica. Certamente ha i suoi fondamenti nel passato e in memorie gloriose, ma il suo potere è nel presente.
Non si tratta di squallida materia di antiquariato; non la contempliamo nelle conclusioni tratte da documenti muti e da eventi morti, ma dalla fede che si esercita in oggetti sempre vivi e dall'appropriazione e dall'uso di doni sempre presenti. La nostra comunione con esso è nell'invisibile, non nell'obsoleto.
In questo stesso tempo i suoi riti e comandamenti suscitano di continuo l'attivo intervento di quell'Onnipotenza in cui la religione iniziò molto tempo fa. Prima e al di sopra di tutto è la Santa Messa, in cui Colui che una volta morì per noi sulla croce, richiama alla memoria e, con la Sua letterale presenza in essa, perpetua quel medesimo sacrificio che non si può ripetere.
In secondo luogo, c'è la Sua effettiva presenza, in anima e corpo, e divinità, nell'anima e nel corpo di ogni fedele che giunge a Lui per averne il dono, un privilegio più intimo che se noi avessimo vissuto con Lui nel Suo remoto passaggio terreno. E poi, inoltre, c'è il Suo personale dimorare nelle nostre chiese, che innalza il servizio terreno fino ad essere un acconto del cielo. Tale è la professione del cristianesimo e, ripeto, la sua stessa divinazione dei nostri bisogni è in sé una prova che ne è realmente il rifornimento".
La forza della Chiesa, quindi, non sta nella perfezione dei suoi membri - che spesso sono purtroppo lontani dall'ideale cristiano, sebbene i santi non mancano mai - ma nella verità divina che essa è chiamata a custodire, annunciare e comunicare a tutti e che offre il rimedio per la natura di ogni uomo, ferita dal peccato e bisognosa di guarigione e di rinnovamento.
In conclusione ritorniamo all'allocuzione che Newman tenne in occasione del ricevimento del "biglietto" per la nomina al cardinalato. In tale circostanza, rinnovando la sua protesta contro il liberalismo religioso, egli offrì una precisa descrizione del medesimo: "Il liberalismo (in religione) è la dottrina secondo la quale non esiste verità positiva in religione, ma un credo vale l'altro; e tale dottrina va acquistando vigore di giorno in giorno. Esso non vuole riconoscere come vera alcuna religione. Insegna che tutte devono essere tollerate e che tutte sono materia di opinione. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e un gusto; non è un fatto oggettivo, né miracoloso ed è diritto di ogni individuo di seguire quello che vuole la sua fantasia. La devozione non è fondata necessariamente sulla fede. Gli uomini possono frequentare la Chiesa cattolica o la Chiesa protestante, prendere quello che è buono da tutte e due senza dover appartenere a nessuna delle due. Essi possono fraternizzare insieme nei pensieri e nei sentimenti spirituali, senza avere nessuna idea in comune delle dottrine, o sentire la necessità di queste. E poiché la religione è un affare personale e una proprietà privata, noi la dobbiamo necessariamente ignorare nei rapporti tra uomo e uomo; se un uomo inventa una nuova religione ogni mattina, a te cosa importa? Non è bene intromettersi nella religione di un altro così come non è bene intromettersi nelle fonti del suo reddito o nella sua maniera di condurre la famiglia. In nessun senso la religione è un obbligo della società".
Oggi siamo testimoni di una mentalità che sostiene idee molto simili, con gravi conseguenze per tutti gli ambiti della vita. Il cardinale Newman può ricordare a tutti, ecclesiastici e laici, che la verità è un prezioso dono da accogliere con fede, da vivere con amore, da proclamare con gioia, da difendere con forza. Senza la luce della verità, l'uomo è privo di un punto sicuro di riferimento, la morale si riduce a un puro soggettivismo, la vita pubblica si deforma in un gioco di poteri. Se, invece, impariamo di nuovo a cercare e a seguire umilmente la verità, ci si apre una via verso un futuro in cui si potrà vivere una vita buona e serena. Con il suo esempio incoraggiante e il suo magistero illuminante, Papa Benedetto XVI ci precede su questa via, che, infine, è la via di Gesù, del Dio con il volto umano. "La Chiesa - così Newman conclude il suo "biglietto speech" - non deve fare altro che proseguire nei suoi doveri, nella confidenza e nella pace; rimanere calma e aspettare la salvezza di Dio".
(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2010)
Wednesday, September 8, 2010
Lo affascinò la 'gentilezza'
Domenica 19 settembre, nel corso della celebrazione da lui presieduta nell'arcidiocesi di Birmingham, Benedetto XVI procederà al rito di beatificazione del venerabile card. John Henry Newman (1801-1890). Pastore e teologo anglicano, Newman si convertì al cattolicesimo, nel 1848 venne ordinato sacerdote ed entrò nell'Oratorio di san Filippo Neri dove visse fino alla morte. A lui si deve la fondazione del primo Oratorio in Inghilterra, a Maryvale, poi trasferito a Birmingham. Di questa sua scelta il SIR ha parlato con padre Edoardo Aldo Cerrato, dal 1994 procuratore generale della Confederazione Oratoriana.
Quali motivi spinsero il neoconvertito Newman alla scelta oratoriana?
"L'istituzione fondata da san Filippo Neri si affacciò al suo orizzonte quando il card. Nicholas Wiseman lo persuase a ricevere l'ordinazione sacerdotale e gli suggerì l'Oratorio come la forma di vita più idonea a lui e ai compagni. Sostenuto dalla convinzione che doveva vivere in una comunità caratterizzata 'da un acuto senso della cultura e dal gusto innato per l'umanesimo', giunto a Roma nell'ottobre 1846 per prepararsi all'ordinazione, già nel gennaio 1847 Newman si mise in contatto con l'Oratorio. 'Abbiamo scoperto - scriveva il 14 febbraio al card. Luigi Fransoni - un cammino intermedio tra la vita religiosa e una vita completamente secolare; il che si adatta perfettamente a ciò di cui sentiamo il bisogno'. Il 21 febbraio giunse l'approvazione di Pio IX al progetto di fondazione oratoriana in Inghilterra. I testi sull'Oratorio mostrano l'importanza che ebbe per Newman la vocazione oratoriana e la profondità con cui egli la visse; come lo mostrano le scelte quotidiane: quella di chiedere a Leone XIII di poter restare nella sua Comunità di Birmingham anche dopo la nomina cardinalizia, e quella di voler essere sepolto nel cimitero dei Padri a Rednal, in una fossa uguale a tutte le altre".
Furono la "gentilezza" e la libertà di spirito di san Filippo Neri ad ispirare tale scelta?
"Filippo Neri è colto da Newman nella sua originalità di 'uomo del tempo antico', nella cui persona e nella cui proposta rivive la forma primitiva del cristianesimo, la carità vincolo di perfezione: 'Dodici preti che lavorano insieme: ecco ciò che desidero. Un Oratorio è una famiglia e una casa'. Del fondatore lo affascinò l'elemento della 'gentilezza' che mi pare esprimere il mondo interiore del Neri. Una caratteristica che nel santo fu dote temperamentale ma, al tempo stesso, sintesi di alti valori acquisiti in un rapporto forte e dolce con la presenza viva di Cristo: singolare libertà di spirito, amore per una vita autenticamente comunitaria normata da leggi di discrezione, rispetto delle doti di ognuno, sapiente semplicità che fece della gioia di Filippo 'una gioia pensosa', come scrisse Goethe nel diario del suo Viaggio in Italia".
Continua qui.
Quali motivi spinsero il neoconvertito Newman alla scelta oratoriana?
"L'istituzione fondata da san Filippo Neri si affacciò al suo orizzonte quando il card. Nicholas Wiseman lo persuase a ricevere l'ordinazione sacerdotale e gli suggerì l'Oratorio come la forma di vita più idonea a lui e ai compagni. Sostenuto dalla convinzione che doveva vivere in una comunità caratterizzata 'da un acuto senso della cultura e dal gusto innato per l'umanesimo', giunto a Roma nell'ottobre 1846 per prepararsi all'ordinazione, già nel gennaio 1847 Newman si mise in contatto con l'Oratorio. 'Abbiamo scoperto - scriveva il 14 febbraio al card. Luigi Fransoni - un cammino intermedio tra la vita religiosa e una vita completamente secolare; il che si adatta perfettamente a ciò di cui sentiamo il bisogno'. Il 21 febbraio giunse l'approvazione di Pio IX al progetto di fondazione oratoriana in Inghilterra. I testi sull'Oratorio mostrano l'importanza che ebbe per Newman la vocazione oratoriana e la profondità con cui egli la visse; come lo mostrano le scelte quotidiane: quella di chiedere a Leone XIII di poter restare nella sua Comunità di Birmingham anche dopo la nomina cardinalizia, e quella di voler essere sepolto nel cimitero dei Padri a Rednal, in una fossa uguale a tutte le altre".
Furono la "gentilezza" e la libertà di spirito di san Filippo Neri ad ispirare tale scelta?
"Filippo Neri è colto da Newman nella sua originalità di 'uomo del tempo antico', nella cui persona e nella cui proposta rivive la forma primitiva del cristianesimo, la carità vincolo di perfezione: 'Dodici preti che lavorano insieme: ecco ciò che desidero. Un Oratorio è una famiglia e una casa'. Del fondatore lo affascinò l'elemento della 'gentilezza' che mi pare esprimere il mondo interiore del Neri. Una caratteristica che nel santo fu dote temperamentale ma, al tempo stesso, sintesi di alti valori acquisiti in un rapporto forte e dolce con la presenza viva di Cristo: singolare libertà di spirito, amore per una vita autenticamente comunitaria normata da leggi di discrezione, rispetto delle doti di ognuno, sapiente semplicità che fece della gioia di Filippo 'una gioia pensosa', come scrisse Goethe nel diario del suo Viaggio in Italia".
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Tuesday, September 7, 2010
Intervista sul Beato Newman. Parla la scrittrice Cristina Siccardi
Intervista sul Beato Newman. Parla la scrittrice Cristina Siccardi
Di Giuliano Guzzo
Far rivivere sulle pagine di un libro personaggi del passato richiede pazienti lavori d’archivio, ricerche e talento. Tutte qualità che alla torinese Cristina Siccardi, classe 1966, non mancano affatto; così, dopo essersi occupata delle donne di casa Savoia e di Paolo VI, si è imbattuta, attratta dal campo religioso, nel ritratto del Cardinale John Henry Newman (“Nello specchio del Cardinale John Henry Newman”, Fede & Cultura, pp. 205) , indubbiamente una delle figure più affascinanti della storia della Chiesa. Basti dire che, nel corso della sua vita, da posizioni anglicane, che lo convinsero che il Papa fosse nientemeno che l'Anticristo – tesi che ribadì pure in pubblico - non solo si convertì al cattolicesimo, ma fondò il primo Oratorio di San Filippo Neri in Inghilterra, fu per quattro anni Rettore dell'Università Cattolica di Dublino per poi, dulcis in fundo, esser fatto Cardinale da Papa Leone XIII, che gli riconobbe "genio e dottrina". Una vita straordinaria, insomma. Che si interruppe serenamente l’11 Agosto 1890, quando il Cardinale, ormai ottantanovenne e consapevole, condotta la buona battaglia, di esser giunto alla fine della sua corsa, si spense. Sulla sua tomba, a memoria della sua incredibile avventura spirituale, è scolpito un epitaffio da lui stesso voluto: « Ex umbris et imaginibus in veritatem » ,«Dall'ombra e dai simboli alla verità». Il giorno successivo alla sua morte, il londinese Times pubblicò un elogio funebre che si concludeva con una piccola profezia:”il santo che è in sui sopravvivrà”.Ci ha lasciato un’Opera omnia imponente, un epistolario di oltre diecimila lettere e, soprattutto, la testimonianza di chi ha vissuto nella convinzione che sia la santità «il grande fine». Così, dopo averlo reso venerabile nel gennaio del ’91, la Chiesa si prepara, il prossimo 19 settembre, a beatificarlo. Non c’era davvero momento migliore, dunque, per incontrare l’autrice di una biografia, peraltro fresca di stampa e redatta sulla base di una robusta bibliografia, del celebre Cardinale.
Dottoressa Siccardi, che cosa l’ha spinta ad accostarsi alla figura del convertito e “dottore” della Chiesa, il Cardinale John Henry Newman? Com’è nata la sua curiosità verso questo straordinario cristiano?
Da sempre ho visto nel grande convertito inglese una delle immagini più plastiche della irrinunciabilità della Fede e dei dogmi cattolici. Quando ho notato che, in prossimità della beatificazione, stava uscendo un florilegio di biografie che, invece, avevano il preciso scopo di descriverlo, nella linea Tyrrell-Buonaiuti, come un antesignano del modernismo e del relativismo, ho sentito il dovere etico di cercare di ribadire la verità storica, poiché questa stessa beatificazione è un segnale forte di riaffermazione, da parte della Chiesa, del suo monopolio della Verità.
Newman, a ben vedere, fu un caso di “pluri-convertito”: da piccolo era, come lui stesso ebbe a definirsi, “molto superstizioso”, poi divenne calvinista, anglicano e infine cattolico. Come si spiega questa continua metamorfosi?
Questo cammino spirituale è, potremmo dire, la logica conseguenza della ricerca di Dio e della Verità, ricerca che fu, per tutta la sua vita, l’essenza della sua spiritualità. Newman ebbe sempre chiarissimo il principio cattolico che la Verità non può contraddire la ragione e che, quindi, la vera Fede può essere spiegata e, soprattutto, capita. Si pensi, a questo riguardo alla splendida lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona. Newman fu educato dalla madre nel credo calvinista e la superstizione lo accompagnò in questa Fede, almeno fino a quando, soprattutto per merito dell’incontro con il pastore Walter Mayers, purificò l’etica evangelica, in quanto ad essa non contraria: il Calvinismo elimina dalla religione l’aspetto razionale a favore di un’eticizzazione neofarisaica del Credo: il ripetere delle azioni per il fatto che sono comandate, indipendentemente dalla loro razionalità aiuta ad essere schiavi della superstizione. Non appena il futuro Cardinale iniziò a sottoporre a critica razionale la sua Fede, critica razionale cui sottoporrà tutta la vita ogni suo credo, si rese pressoché immediatamente conto della insostenibilità della dottrina del riformatore ginevrino. Ecco che la sua sete di razionalità lo portò alla Chiesa alta d’Inghilterra, vale a dire all’adesione a tutti i dogmi cattolici, sia pure in un contesto scismatico ed in una cornice di sentimenti ostili a Roma ed al Papa. Ancora una volta, però, è la sottoposizione ad analisi razionale dell’Anglicanesimo che lo conduce alla pienezza della verità cattolica. La razionalità gli impone il principio dell’immutabilità della Fede: se Dio ha rivelato la religione, essa è eternamente vera, come eternamente vero è Dio. Ogni evoluzione, mutamento o nuova interpretazione della dottrina è, dunque, dimostrazione di falsità della medesima. In base a questo principio Newman inizia a studiare i Padri della Chiesa, sicuro di ritrovare in loro la stessa Fede e validi motivi per permanere nella sua ostilità antiromana. Ma i Padri della Chiesa, come tutta la storia della Chiesa, testimoniano che solo la cattolicità romana, con tutte le sue pretese, primato petrino incluso, è rimasta immutata dalle origini ad oggi. Diviene, pertanto, esigenza etica imprescindibile l’adesione alla Sposa di Cristo. Quando Newman afferma che la sua spiritualità non è mai mutata, nonostante le conversioni, intende dire che da sempre lo guidò unicamente la sete di Verità e che tale sete si è placata solo con l’adesione alla vera Fede.
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Di Giuliano Guzzo
Far rivivere sulle pagine di un libro personaggi del passato richiede pazienti lavori d’archivio, ricerche e talento. Tutte qualità che alla torinese Cristina Siccardi, classe 1966, non mancano affatto; così, dopo essersi occupata delle donne di casa Savoia e di Paolo VI, si è imbattuta, attratta dal campo religioso, nel ritratto del Cardinale John Henry Newman (“Nello specchio del Cardinale John Henry Newman”, Fede & Cultura, pp. 205) , indubbiamente una delle figure più affascinanti della storia della Chiesa. Basti dire che, nel corso della sua vita, da posizioni anglicane, che lo convinsero che il Papa fosse nientemeno che l'Anticristo – tesi che ribadì pure in pubblico - non solo si convertì al cattolicesimo, ma fondò il primo Oratorio di San Filippo Neri in Inghilterra, fu per quattro anni Rettore dell'Università Cattolica di Dublino per poi, dulcis in fundo, esser fatto Cardinale da Papa Leone XIII, che gli riconobbe "genio e dottrina". Una vita straordinaria, insomma. Che si interruppe serenamente l’11 Agosto 1890, quando il Cardinale, ormai ottantanovenne e consapevole, condotta la buona battaglia, di esser giunto alla fine della sua corsa, si spense. Sulla sua tomba, a memoria della sua incredibile avventura spirituale, è scolpito un epitaffio da lui stesso voluto: « Ex umbris et imaginibus in veritatem » ,«Dall'ombra e dai simboli alla verità». Il giorno successivo alla sua morte, il londinese Times pubblicò un elogio funebre che si concludeva con una piccola profezia:”il santo che è in sui sopravvivrà”.Ci ha lasciato un’Opera omnia imponente, un epistolario di oltre diecimila lettere e, soprattutto, la testimonianza di chi ha vissuto nella convinzione che sia la santità «il grande fine». Così, dopo averlo reso venerabile nel gennaio del ’91, la Chiesa si prepara, il prossimo 19 settembre, a beatificarlo. Non c’era davvero momento migliore, dunque, per incontrare l’autrice di una biografia, peraltro fresca di stampa e redatta sulla base di una robusta bibliografia, del celebre Cardinale.
Dottoressa Siccardi, che cosa l’ha spinta ad accostarsi alla figura del convertito e “dottore” della Chiesa, il Cardinale John Henry Newman? Com’è nata la sua curiosità verso questo straordinario cristiano?
Da sempre ho visto nel grande convertito inglese una delle immagini più plastiche della irrinunciabilità della Fede e dei dogmi cattolici. Quando ho notato che, in prossimità della beatificazione, stava uscendo un florilegio di biografie che, invece, avevano il preciso scopo di descriverlo, nella linea Tyrrell-Buonaiuti, come un antesignano del modernismo e del relativismo, ho sentito il dovere etico di cercare di ribadire la verità storica, poiché questa stessa beatificazione è un segnale forte di riaffermazione, da parte della Chiesa, del suo monopolio della Verità.
Newman, a ben vedere, fu un caso di “pluri-convertito”: da piccolo era, come lui stesso ebbe a definirsi, “molto superstizioso”, poi divenne calvinista, anglicano e infine cattolico. Come si spiega questa continua metamorfosi?
Questo cammino spirituale è, potremmo dire, la logica conseguenza della ricerca di Dio e della Verità, ricerca che fu, per tutta la sua vita, l’essenza della sua spiritualità. Newman ebbe sempre chiarissimo il principio cattolico che la Verità non può contraddire la ragione e che, quindi, la vera Fede può essere spiegata e, soprattutto, capita. Si pensi, a questo riguardo alla splendida lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona. Newman fu educato dalla madre nel credo calvinista e la superstizione lo accompagnò in questa Fede, almeno fino a quando, soprattutto per merito dell’incontro con il pastore Walter Mayers, purificò l’etica evangelica, in quanto ad essa non contraria: il Calvinismo elimina dalla religione l’aspetto razionale a favore di un’eticizzazione neofarisaica del Credo: il ripetere delle azioni per il fatto che sono comandate, indipendentemente dalla loro razionalità aiuta ad essere schiavi della superstizione. Non appena il futuro Cardinale iniziò a sottoporre a critica razionale la sua Fede, critica razionale cui sottoporrà tutta la vita ogni suo credo, si rese pressoché immediatamente conto della insostenibilità della dottrina del riformatore ginevrino. Ecco che la sua sete di razionalità lo portò alla Chiesa alta d’Inghilterra, vale a dire all’adesione a tutti i dogmi cattolici, sia pure in un contesto scismatico ed in una cornice di sentimenti ostili a Roma ed al Papa. Ancora una volta, però, è la sottoposizione ad analisi razionale dell’Anglicanesimo che lo conduce alla pienezza della verità cattolica. La razionalità gli impone il principio dell’immutabilità della Fede: se Dio ha rivelato la religione, essa è eternamente vera, come eternamente vero è Dio. Ogni evoluzione, mutamento o nuova interpretazione della dottrina è, dunque, dimostrazione di falsità della medesima. In base a questo principio Newman inizia a studiare i Padri della Chiesa, sicuro di ritrovare in loro la stessa Fede e validi motivi per permanere nella sua ostilità antiromana. Ma i Padri della Chiesa, come tutta la storia della Chiesa, testimoniano che solo la cattolicità romana, con tutte le sue pretese, primato petrino incluso, è rimasta immutata dalle origini ad oggi. Diviene, pertanto, esigenza etica imprescindibile l’adesione alla Sposa di Cristo. Quando Newman afferma che la sua spiritualità non è mai mutata, nonostante le conversioni, intende dire che da sempre lo guidò unicamente la sete di Verità e che tale sete si è placata solo con l’adesione alla vera Fede.
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Sunday, September 5, 2010
Un beato scomodo
Un beato scomodo
Quando l’allora premier britannico Tony Blair venne ricevuto in Vaticano, nel giugno del 2007, fece al Papa un regalo particolarmente gradito: una cornice con tre foto di John Henry Newman, teologo, filosofo e poeta inglese dell’Ottocento, convertito al cattolicesimo e divenuto poi cardinale. Di lì a una settimana Blair si dimise e si convertì a sua volta al cattolicesimo. Ed è proprio a Newman che Benedetto XVI dedicherà l’appuntamento più intrigante del suo prossimo viaggio in Gran Bretagna, quando, il 19 settembre a Birmingham, lo dichiarerà beato. Si tratterà del primo beato inglese da secoli. Ma anche del primo cardinale della storia poi assurto (suo malgrado) a icona del movimento gay.
Nato nel 1801 in una famiglia anglicana, Newman entrò nel 1845 in Santa romana Chiesa, fu creato cardinale nel 1879 tra la sorpresa generale e morì nel 1890 lasciando una grandissima produzione teologica e letteraria. Benedetto XVI lo beatificherà nell’ultima tappa di un viaggio di quattro giorni (16-19 settembre) che si preannuncia carico di impegni.
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Quando l’allora premier britannico Tony Blair venne ricevuto in Vaticano, nel giugno del 2007, fece al Papa un regalo particolarmente gradito: una cornice con tre foto di John Henry Newman, teologo, filosofo e poeta inglese dell’Ottocento, convertito al cattolicesimo e divenuto poi cardinale. Di lì a una settimana Blair si dimise e si convertì a sua volta al cattolicesimo. Ed è proprio a Newman che Benedetto XVI dedicherà l’appuntamento più intrigante del suo prossimo viaggio in Gran Bretagna, quando, il 19 settembre a Birmingham, lo dichiarerà beato. Si tratterà del primo beato inglese da secoli. Ma anche del primo cardinale della storia poi assurto (suo malgrado) a icona del movimento gay.
Nato nel 1801 in una famiglia anglicana, Newman entrò nel 1845 in Santa romana Chiesa, fu creato cardinale nel 1879 tra la sorpresa generale e morì nel 1890 lasciando una grandissima produzione teologica e letteraria. Benedetto XVI lo beatificherà nell’ultima tappa di un viaggio di quattro giorni (16-19 settembre) che si preannuncia carico di impegni.
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