Monday, May 24, 2010

Una trappola mortale su tutta la terra

Nel "discorso del biglietto" Newman rispose agli attacchi della società secolarizzata

Una trappola mortale su tutta la terra


In vista della prossima beatificazione del cardinale John Henry Newman, l'International Centre of Newman Friends ha inviato alle migliaia di "amici di Newman" una lettera circolare con il famoso "discorso del biglietto": testo pronunciato da Newman in occasione della sua nomina a cardinale. La mattina di lunedì 12 maggio 1879 l'oratoriano si recò a Palazzo della Pigna a Roma - residenza del cardinale Edward Charles Howard - portando con sé il biglietto con il quale il cardinale segretario di Stato, Lorenzo Nina, lo informava che Leone xiii aveva deciso di crearlo cardinale. A mezzogiorno, in una sala affollata di cattolici inglesi e americani, ecclesiastici e rappresentanti della nobiltà romana, il messo concistoriale gli consegnò il messaggio che lo informava che il Papa gli avrebbe conferito la berretta cardinalizia il mattino seguente. Newman rispose con un discorso che pubblichiamo integralmente in una nuova traduzione. Il testo fu subito trasmesso dal corrispondente romano dell'inglese "The Times" che lo pubblicò integralmente il giorno successivo. "L'Osservatore Romano" del 14 maggio lo pubblicò in una traduzione del gesuita Pietro Armellini e in seguito "La Civiltà Cattolica" commentò il discorso qualificandolo come importantissimo.

 La ringrazio, Monsignore, per la partecipazione dell'alto onore che il Santo Padre si è degnato di conferire sulla mia umile persona [parole pronunciate da Newman in italiano] e se Le chiedo il permesso di continuare il mio discorso non nella Sua lingua così musicale, ma nella mia cara lingua materna, è perché in questa posso esprimere meglio ciò che sento all'annuncio che Lei mi ha comunicato.
Vorrei anzitutto esprimere lo stupore e la profonda gratitudine che ho provato e che ancora provo per la magnanimità e l'amore del Santo Padre per avermi prescelto ad un onore così immenso. È stata davvero una grande sorpresa. Non mi era mai passato per la mente di esserne degno e mi è sembrato così in contrasto con le vicende della mia vita. Ho dovuto passare attraverso molte prove, ma avvicinandomi ormai alla fine di tutto, mi sentivo in pace. Tuttavia non è forse possibile che io sia vissuto tanti anni proprio per vedere questo giorno?
Difficile anche pensare come avrei potuto affrontare una tale emozione se il Santo Padre non avesse compiuto un ulteriore gesto di magnanimità nei miei confronti, mostrando così un altro aspetto della sua natura piena di finezza e di bontà. Egli intuì il mio turbamento e volle spiegarmi le ragioni per cui mi aveva innalzato a tanto onore. Insieme a parole di incoraggiamento, mi disse che la sua decisione era un riconoscimento del mio zelo e del servizio che avevo reso per tanti anni alla Chiesa Cattolica; inoltre, egli era certo che i cattolici inglesi e perfino l'Inghilterra protestante si sarebbero rallegrati del fatto che io ricevessi un segno del suo favore. Dopo queste benevole parole di Sua Santità, sarei proprio stato insensibile e ingrato se avessi avuto ancora delle esitazioni.

Questo egli ebbe la premura di dirmi, e che cosa potevo desiderare di più? Nella mia lunga vita ho commesso molti sbagli. Non ho nulla di quella sublime perfezione che si trova negli scritti dei santi, cioè l'assoluta mancanza di errori. Ma ciò che credo di poter dire riguardo tutto ciò che ho scritto è questo: la mia retta intenzione, l'assenza di scopi personali, il senso dell'obbedienza, la disponibilità ad essere corretto, il timore di sbagliare, il desiderio di servire la santa Chiesa, e, solo per misericordia divina, un certo successo. E mi compiaccio di poter aggiungere che fin dall'inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant'anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato.

Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione
come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l'esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare? Indagare sulla religione di un altro non è meno indiscreto che indagare sulle sue risorse economiche o sulla sua vita familiare. La religione non è affatto un collante della società.

 Finora il potere civile è stato cristiano. Anche in Nazioni separate dalla Chiesa, come nella mia, quand'ero giovane valeva ancora il detto: "Il cristianesimo è la legge del Paese". Ora questa struttura civile della società, che è stata creazione del cristianesimo, sta rigettando il cristianesimo. Il detto, e tanti altri che ne conseguivano, è scomparso o sta scomparendo, e per la fine del secolo, se Dio non interviene, sarà del tuttodimenticato. Finora si pensava che bastasse la religione con le sue sanzioni soprannaturali ad assicurare alla nostra popolazione la legge e l'ordine; ora filosofi e politici tendono a risolvere questo problema senza l'aiuto del cristianesimo. Al posto dell'autorità e dell'insegnamento della Chiesa, essi sostengono innanzitutto un'educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio. Poi si forniscono i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l'onestà, ecc.; l'esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni. Quanto alla religione, essa è un lusso privato, che uno può permettersi, se vuole, ma che ovviamente deve pagare, e che non può né imporre agli altri né infastidirli praticandola lui stesso.

Le caratteristiche generali di questa grande
apostasia sono identiche dovunque; ma nei particolari variano a seconda dei Paesi. Parlerò del mio Paese perché lo conosco meglio. Temo che essa avrà qui un grande seguito, anche se non si può immaginare come finirà. A prima vista si potrebbe pensare che gli Inglesi siano troppo religiosi per un modo di pensare che nel resto del continente europeo appare fondato sull'ateismo; ma la nostra disgrazia è che, nonostante, come altrove, conduca all'ateismo, qui esso non nasce necessariamente dall'ateismo. Occorre ricordare che le sette religiose, comparse in Inghilterra tre secoli fa e oggi così forti, si sono ferocemente opposte all'unione della Chiesa e dello Stato e vorrebbero la scristianizzazione della monarchia e di tutto il suo apparato, sostenendo che tale catastrofe renderebbe il cristianesimo più puro e più forte. Il principio del liberalismo, poi, ci è imposto dalle circostanze stesse. Consideriamo le conseguenze di tutte queste sette. Con tutta probabilità esse rappresentano la religione della metà della popolazione; e non dimentichiamo che il nostro governo è una democrazia. È come se, in una dozzina di persone prese a caso per la strada e che certamente hanno la loro quota di potere, si trovassero fino a sette religioni diverse. Ora come possono trovare unanimità di azione in campo locale o nazionale quando ciascuna si batte per il riconoscimento della propria denominazione religiosa? Ogni decisione sarebbe bloccata, a meno che l'argomento religione non venga del tutto ignorato. Non c'è altro da fare. E in terzo luogo, non dimentichiamo che nel pensiero liberale c'è molto di buono e di vero; basta citare, ad esempio, i principi di giustizia, onestà, sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono tra i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società. È solo quando ci accorgiamo che questo bell'elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c'è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita. E, di fatto, esso sta ampiamente raggiungendo i suoi scopi, attirando nei propri ranghi moltissimi uomini capaci, seri ed onesti, anziani stimati, dotati di lunga esperienza, e giovani di belle speranze.

Ecco come stanno le cose in Inghilterra, ed è un bene che tutti ce ne rendiamo conto; ma non si pensi assolutamente che io ne sia spaventato. Certo ne sono dispiaciuto, perché penso possa nuocere a molte anime, ma non temo affatto che abbia la capacità di impedire la vittoria della Parola di Dio, della santa Chiesa, del nostro Re Onnipotente, il Leone della tribù di Giuda, il Fedele e il Verace, e del suo Vicario in terra. Troppe volte ormai il cristianesimo si è trovato in quello che sembrava essere un pericolo mortale; perché ora dobbiamo spaventarci di fronte a questa nuova prova. Questo è assolutamente certo; ciò che invece è incerto, e in queste grandi sfide solitamente lo è, e rappresenta solitamente una grande sorpresa per tutti, è il modo in cui di volta in volta la Provvidenza protegge e salva i suoi eletti. A volte il nemico si trasforma in amico, a volte viene spogliato della sua virulenza e aggressività, a volte cade a pezzi da solo, a volte infierisce quanto basta, a nostro vantaggio, poi scompare. Normalmente la Chiesa non deve far altro che continuare a fare ciò che deve fare, nella fiducia e nella pace, stare tranquilla e attendere la salvezza di Dio.
"Gli umili erediteranno la terra e godranno di una gran pace" (Ps 37, 11).


(©L'Osservatore Romano - 9 aprile 2010)

Wednesday, May 19, 2010

Is Newman’s Miracle Credible? A Response to John Cornwell

Sul sito ufficiale della Causa di Canonizzazione i padri dell'Oratorio di Birmingham hanno pubblicato oggi questa dettagliata replica all'articolo di John Cornwell apparso la scorsa settimana.


John Cornwell (author of Hitler’s Pope about Pope Pius XII) is at it again. In The Sunday Times (’Why Cardinal Newman is no saint’, May 9 2010) he has published an elaborate but unconvincing attack on Newman’s miraculous healing of Deacon Jack Sullivan.

With his book on Newman due out at the end of the month, it’s hard to resist the thought that Cornwell has unveiled his case against the miracle with an eye to enhancing his sales. But there is more to it than that. Cornwell’s tendentious reading of contemporary Catholicism, and his disconcerting disdain for Pope Benedict XVI, both on display in his article, constitute his wider agenda.


The real issue is Newman’s doctrine of conscience. With the intellectual case for Catholic dissent now in ruins (thanks to this Papacy and the last), its increasingly few remaining enthusiasts (who retain, nonetheless, disproportionate influence) are desperate to recruit Newman to their cause. If only they could liberate Newman from the machinations of Vatican saint-making, their vision of Newman as the conscience-driven ‘patron sinner’ of Catholic dissent will gain in credibility.


So Cornwell has assembled an impressive array of experts to suggest that nothing medically inexplicable was involved in the Newman miracle. Before turning to his detailed arguments, however, which are presented with an appearance of great rigour, it is worth getting a feel for the value which Cornwell accords to accuracy and candour in the incidentals of his case.


And here we find a festival of inaccuracy. Cornwell claims that after a period of remission, Sullivan’s pain returned ‘in May’ 2001; in fact, it was on April 22. Sullivan’s healing took place not nine days after his operation, as Cornwell asserts, but after six days, on August 15. The Pope will beatify Newman on Sunday September 19, not as Cornwell asserts on Saturday 18.


Contrary to Cornwell’s assertion, the Catholic Church does not think that Beatification implies that a person ‘went straight to heaven’. Nor does the Church think that he or she has ‘literally proved his or her influence with God by persuading the Almighty to perform just one ‘testable’ miracle.’


Again, Newman certainly wanted his body rapidly to decompose, but not as Cornwell asserts in order ‘to thwart attempts to make a cult of his remains’ (thereby ‘cheating the saint-makers…[and]… clerical gravediggers’ as Cornwell puts it). A contemporary report from the Birmingham Daily Post of August 20 1890 makes clear that Newman favoured the rapid decomposition of his remains because of ‘his reverence for the letter of the Divine Word; which, as he conceived, enjoins us to facilitate rather than impede the operation of the law ‘Dust thou art, and unto dust shalt thou return’.’


Such misinformation is surely something more than a mere mistake? The most telling instance is perhaps his claim (conveyed with a clear implication of insider status) that what he describes as that ‘rare kind of book’, the official analysis of Newman’s miracle in the Positio Super Miro, ‘came into my hands…not so long ago’. It was in fact given to him by the Birmingham Oratory, as a gesture of good will, during a lunchtime visit he paid to us one sunny Sunday in early July 2009.


The Oratory has in this way made gifts of the Positio to many different people, by no means only to ‘a hand-full of bona-fide researchers with a specialist interest in Newman’, as Cornwell suggests. The Positio is not secluded away by the Vatican and the Oratory. It is in the public domain. Anyone can read it who wants to.


Given all this, we are entitled to approach the intricate arguments in which his case against Newman’s miracle consists with a certain caution. Is he really concerned with arriving at the truth, or intent on raising a smokescreen, to baffle and disconcert the believer and exhilarate the sceptic?


The nub of Cornwell’s case against Newman’s miracle is that in approving it the Vatican’s experts ignored one of the most important of their own norms. The norm states that no one who is healed miraculously should have undergone medically ‘effective treatment’. But Sullivan, Cornwell points out, underwent laminectomy for his spinal stenosis. On this basis alone, he suggests, Sullivan’s case should have been dismissed.


Once the significance of the laminectomy is liberated from Vatican suppression, Cornwell argues, it is no surprise that the independent specialists whom he has assembled (’remote from the supernatural and the Vatican ambit’) find nothing medically inexplicable in Sullivan’s post-operative recovery.


Even at a first glance, there is something implausible in Cornwell’s argument. However cynical about Rome one wants to be, is it credible to suggest that the Vatican experts, who know that everything relating to the case, including their own reasonings and conclusions, will be placed in the public domain, nonetheless conspired to suppress Sullivan’s ‘effective treatment’ in order to portray his healing as medically inexplicable?


Of course not. Sullivan’s laminectomy and its importance have not been suppressed; on the contrary they are open to view. So what is the truth?


The key point is this. Newman’s miracle was not healing Jack Sullivan of his spinal stenosis. It consisted in Sullivan’s instantaneous, complete and lasting freedom from pain and restoration of unrestricted mobility. The Vatican experts could not have been clearer on this point: ‘the judgement of non-explicability’, they say, ‘refers exclusively to the immediate recovery of post-operative function, absolutely not foreseen in the specific case.’


It is in this light that the question of whether Sullivan’s laminectomy counts as ‘effective treatment’ needs to be assessed. From the moment he made his short but intense prayer to Cardinal Newman on August 15 2001, Sullivan was instantaneously, completely and lastingly free of pain and enjoyed unrestricted mobility. Now are these among the range of effects which laminectomy could conceivably produce? If not, then there is no reason to regard the laminectomy as ‘effective treatment’.


That is presumably why Dr De Rosa, whom the Vatican has employed as a medical expert, implies (in words Cornwell quotes) that an investigation is necessary to determine whether something counts as ‘effective treatment’. ‘We have to be satisfied‘, Dr De Rosa explains, ‘that effective treatment has not been applied.’ The key question is not whether treatment has taken place, but whether, if it has, it could conceivably explain the healing in question.


Cornwell’s theory about the question of ‘effective treatment’ therefore reduces to a much less ominous consideration. Was Sullivan’s healing conceivably a result of his laminectomy? The Vatican’s experts decided it was not; Cornwell’s experts, he claims, say that it was.


But do they? We need to look very closely at what they say.


Mr Powell of University College Hospital says that after laminectomy ‘most patients…walk out happy at two days’. But what does ‘walking out happy’ mean? Does Cornwell intend us to conclude that Sullivan’s recovery was normal?


It would seem so. But then what are we to make of the testimony of Sullivan’s surgeon Mr Banco? He has said that in 15 years of practice he had treated over 1500 patients like Sullivan without ever witnessing a post-operative recovery at all comparable. Does this, as Cornwell implies, contradict Mr Powell? Not at all. Mr Powell says, in effect, that laminectomy is a procedure that typically leads to significant improvement in a patient’s condition. Presumably Mr Banco agrees, else why would he have performed so many laminectomies? But for Mr Banco the exceptional character of Sullivan’s recovery was different, indeed inexplicable. What Mr Powell says is not inconsistent with that.


What of Mr Powell’s remarks concerning possible non-surgical factors underlying post-operative pain relief? He mentions ‘bending over a supermarket shopping trolley…good physiotherapy…[or] relaxing holidays in warm places’.


Sullivan, however, didn’t recover in a supermarket or on holiday. On the day of his healing he was in hospital, in excruciating pain, barely able to move, and the day before had had to be carried back to his bed shortly after his session of physiotherapy had begun.


Cornwell doesn’t tell us any of this, leaving it to his readers to conclude that the kinds of factors mentioned by Mr Powell must have been operative in Sullivan’s healing. But they weren’t. Immobilised by pain, Sullivan said a short prayer to Cardinal Newman while doubled up at his hospital bedside. His pain and immobility instantly vanished, and have never returned. Mr Powell’s remarks, which Cornwell orchestrates to discredit Sullivan’s experience, in truth simply fail to engage with it.


Doubly so, in fact, since Mr Powell speaks in this context only of relief that is ‘fairly quick’ or lasts ‘for a significant period’. Does Cornwell not see that all this leaves Sullivan’s healing untouched?


Mrs Fernandez of Addenbrooke’s seems no more useful to Cornwell than Mr Powell. A careful reading of her testimony shows that she is mostly considering pre-operative spontaneous improvement, because she speaks about patients cancelling their surgery. According to Mrs Fernandez, such ’spontaneous improvement…is not uncommon’. But what degrees of improvement? Cornwell doesn’t say, although he must realise that unless Mrs Fernandez means instantaneous, complete and lasting improvement, her testimony is simply not to the point.


Patients who cancel, she tells us, ‘generally return some time later, but not always.’ Cornwell wants us to think that the reason some of them don’t is that, even without surgery, they have recovered just as Sullivan recovered. But this is obviously a non sequitur. There may be various reasons why some people choose not to return. Surgery is unappealing, and even quite high levels of pain can be managed. What light does any of this shed on Jack Sullivan?.


As for post-operative recovery, Mrs Fernandez says ‘improvement is expected in 60-70% of patients’. This means that like Mr Powell, and Sullivan’s surgeon Mr Banco, Mrs Fernandez knows that laminectomy is a generally successful procedure. No one denies it, but in Cornwell’s article the crucial question is left hanging. Does laminectomy in Mrs Fernandez’s experience ever produce instantaneous, complete and lasting freedom from pain and immobility? One suspects Cornwell didn’t ask. ‘Full recovery from surgery’, she tells us, ‘with full improvement can take some time.’ Although Cornwell wants us to think otherwise, this is too vague for his purposes. What exactly is ‘full improvement’? And is it ever instantaneous?


Cornwell, however, has a final card to play. Professor Kirsch of Hull University says that ‘blocking pain despite continued physical pathology does seem more like a placebo effect than a miracle.’


His reference to pain relief during ‘continued physical pathology’ suggests that Professor Kirsch is commenting on Sullivan’s pre-operative freedom from pain between June 2000 and April 2001. This is because no one knows about Sullivan’s post-operative physical pathology. In the earlier period, despite Sullivan’s freedom from pain, various scans did indeed reveal continuing spinal stenosis. In late April, Sullivan’s pain returned, worse than before, and his laminectomy on August 9 was intended to rectify his underlying condition. But its success is unknown, because since his laminectomy Sullivan has not been scanned.


Therefore when Cornwell asserts that ‘the underlying physical condition, [the] stenosis, was rectified by the laminectomy operation of August 2001′, he is saying more than we know. The extent of the rectification has not been determined.


Professor Kirsch, in any case, seems not to be commenting on Sullivan’s actual healing. He is commenting on an earlier, transient period of relief. Is it this transience, perhaps, that for Professor Kirsch makes an explanation in terms of ‘the placebo effect’ preferable to invoking the miraculous?


Cornwell doesn’t give this question the time of day. Taking up what Professor Kirsch has said, he asserts that the placebo effect ‘would certainly explain Sullivan’s alleviation of pain in both 2000 and 2001′. But would it? What evidence is there that the placebo effect might explain the instantaneous and enduring freedom from pain and immobility that Sullivan had enjoyed since August 2001?


In this connection, Cornwell introduces the well-known effects of ‘hypnosis, relaxation and altered states of mind’. Might these phenomena help us to understand Sullivan’s prayer to Newman? Cornwell wants us to think so, but he doesn’t tell us what Sullivan’s prayer actually consisted in. Fortunately, Sullivan has: ‘Please Cardinal Newman’, he prayed, ‘help me to walk so I can return to my Diaconate classes and be ordained.’


Now is this modest utterance something which might have induced an ‘altered state of mind’ sufficient to produce and sustain, over nine years, complete freedom from debilitating pain and immobility?


Over the preceding thirteen months Sullivan had doubtless said dozens of such prayers. Why would this one in particular suddenly function, so dramatically and definitively, as a placebo?


Besides which, Cornwell knows very well, from Dr De Rosa, that the Vatican experts ‘immediately discard’ any case suspected of involving ‘autosuggestion, hypnosis [or] psychology’. We have seen how unfounded is Cornwell’s claim that the Vatican by-passed the exclusion of ‘effective treatment’. Is he suggesting that they evaded ‘the placebo effect’ as well?


Having looked at Cornwell’s case against Newman’s miracle, then, we are entitled to conclude that for all its show of sophistication it just doesn’t add up.


But will Cornwell mind? His ultimate target is not Sullivan or Newman, or even the Vatican experts. His animus seems to be directed against the Pope himself. Cornwell’s attack on Newman’s miracle is all about discrediting ‘the papal role as final adjudicator of the scientifically tested supernatural’; and with it ‘the traditionalist wing of Catholicism’ which the Pope represents, and in particular his desire to ‘[sanitise] Newman’s progressive Catholicism in preparation for the beatification.’


He all but challenges Pope Benedict, when he comes to the UK in September, to take as his theme Newman’s supposedly ‘progressive’ and ‘dissenting’ reflections on Conscience and the Papacy. The Holy Father has meditated deeply upon this very question, so let us hope that (even if inadvertently) he responds to Cornwell’s provocation.


In the meantime, perhaps Cornwell himself could do some thinking about the very question with which he taunts the Pope. What text could be more appropriate for Cornwell’s meditation (and for all who think like him) than Newman’s explanation of how an authentic conscience is clarified and completed by the Papal Magisterium?


we shall find that it is by the universal sense of right and wrong, the consciousness of transgression, the pangs of guilt, and the dread of retribution, as first principles deeply lodged in the hearts of men…that [the Pope] has gained his footing in the world and achieved his success. It is his claim to come from the Divine Lawgiver, in order to elicit, protect, and enforce those truths which the Lawgiver has sown in our very nature, it is this and this only that is the explanation of his length of life…The championship of the Moral Law and of conscience is his raison d’être. The fact of his mission is the answer to the complaints of those who feel the insufficiency of the natural light; and the insufficiency of that light is the justification of his mission.



Sunday, May 16, 2010

Newman Studies Journal

E' uscito il nuovo numero del Newman Studies Journal, pubblicazione di carattere scientifico a cura del National Institute for Newman Studies con sede a Pittsburgh.
Questo è l'indice del numero:

- FORD J.T., Editorial Preface. 3-4.
- MILLER E. J., Newman on the Tension Between Religion and Science: Creationism Evolution and Intelligent Design, 5-19.
- LINDLEY D.A. Probability and Economy in Newman’s Theory fo Knowledge. 20-28.
- HUGHES B.W. Une Source Cachée: Blaise Pascal’s Influence upon John Henry Newman. 29-44.
- SHEA M.C., Newman, Perrone, and Möhler on Dogma and History: A Reappraisal of the Newman-Perrone-Paper on Development. 45-55.
- AGUZZI St. D., John Henry Newman’s Anglican Views of Judaism. 56-72.
- LUU-QUANG V.B., Newman’s Theology of the Immanent Trinity in his Parochial And Plain Sermons: 1829-1834. 73-90.

Tuesday, May 11, 2010

Press Release: John Cornwell’s analysis of Newman’s miracle is seriously flawed

Domenica scorsa il Times di Londra ha pubblicato un articolo di John Cornwell, autore di un libro di prossima uscita nel quale si mette in discussione il processo di beatificazione di Newman. Questa è la risposta ufficiale dell'Oratorio di Birmingham


John Cornwell’s attack on Cardinal Newman’s miraculous healing of Deacon Jack Sullivan (‘Why Newman is no saint’ The Sunday Times May 9) is seriously flawed.


Cornwell wants to show that Sullivan’s healing was not miraculous, but medically explicable because of the surgical treatment Sullivan received. To this end, Cornwell assembles experts who testify that such surgery is generally successful, and that improvements in Sullivan’s underlying condition can flow from purely natural influences. Cornwell’s arguments, however, are very misleading.


Sullivan’s healing consisted in instantaneous, complete and lasting freedom from debilitating pain and immobility, following a prayer to Cardinal Newman on August 15 2001, six days after his operation. Nothing in the expert testimonies adduced by Cornwell show that such a recovery, in such a time period, can be attributed to surgery, or natural causes in general.


Cornwell also suggests that the Congregation for the Causes of Saints and Pope Benedict XVI conspired to suppress the truth about Sullivan’s healing to portray it as medically inexplicable. The suggestion is absurd. The Church’s procedures have been faithfully adhered to and everything is in the public domain.


An article appearing towards the end of this week will demonstrate in detail the failings of Cornwell’s arguments.


Cornwell makes clear that his agenda is discrediting Pope Benedict XVI and Papal teaching, to promote a ‘progressive’ view of Cardinal Newman as a ‘dissident’, above all concerning individual conscience in relation to the teaching of the Catholic Church in Faith and Morals. The Pope however is the leading authentic interpreter of Newman’s teaching on conscience, which Cornwell and other ‘progressive’ Catholics misunderstand and misrepresent.


Readers of Cornwell’s article should be aware that his attack on the Newman miracle is not only unfounded, but another attempt to recruit Newman to the factional cause of ‘liberal’ Catholicism. Newman’s doctrine of conscience, in fact his life-long contribution to Christianity as both an Anglican and a Catholic, are in opposition to the rejection of authority in Faith and Morals which ‘liberal’ Catholics are determined to promote.


The Birmingham Oratory

11 May 2010


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Monday, May 10, 2010

Il Papa in Gran Bretagna.

Il Papa in Gran Bretagna. 'Il cuore parla al cuore', il motto cardinalizio di Newman tema del viaggio. Mons. Nichols: una nuova vitalità spirituale

Il motto cardinalizio del porporato John Henry Newman,"Cor ad cor loquitur" ovvero Il cuore parla al cuore, è stato scelto come motto del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Gran Bretagna. "Il cuore parla al cuore è una scelta appropriata per questa visita papale, visto che l'ultimo giorno del suo viaggio apostolico il Santo Padre beatificherà il Cardinale Newman, il teologo vittoriano più amato", indica un comunicato pubblicato sul sito di questo viaggio storico, www.thepapalvisit.org.uk, che si svolgerà dal 16 al 19 settembre. Le parole che il card. Newman scelse per il suo stemma quando divenne porporato nel 1879 sono di San Francesco di Sales, Vescovo francese al quale era molto devoto. Questa definizione, trasformata ora nel motto del viaggio papale, dice molto sulla concezione dell'essere umano che aveva il cardinale, convinto che la vera comunicazione tra le persone andava al di là dell'intelligenza, si raggiungeva dal proprio cuore a quello degli altri. In un sermone anglicano, scrisse: "L'eloquenza e l'ingegno, l'astuzia e la destrezza difendono bene una causa e la diffondono rapidamente, ma muore con loro. Non ha radici nel cuore degli uomini e non vive oltre una generazione". La verità, invece, parla dal centro della persona, dal suo cuore, sosteneva Newman, che avrebbe scritto: "Attraverso un cuore sveglio tra i morti e mediante affetti forgiati in cielo, possiamo...davvero testimoniare che Cristo vive". Per l'ecclesiastico, Cristo parla dal cuore. "Quando la Chiesa parla, Tu passi a parlare", pregava. "La visita del Santo Padre è un'opportunità meravigliosa affinché la dolce luce della fede sia contemplata di nuovo da tutti - ha detto il presidente della Conferenza dei Vescovi di Inghilterra e Galles, l'arcivescovo Vincent Nichols -. Egli confermerà la forte fede della nostra comunità". Mons. Nichols ha rivelato di pregare perché "la visita serva per accendere una nuova vitalità spirituale, una messa in discussione del cuore di tanti nella nostra società che possono non avere alcuna affiliazione religiosa ma stanno in qualche modo cercando un significato più profondo e un obiettivo per la propria vita". Benedetto XVI giungerà il 16 settembre in Scozia, a Edimburgo, dove sarà ricevuto dalla regina Elisabetta II, che ha invitato ufficialmente il Papa in Gran Bretagna, e dal marito, il duca di Edimburgo, nel Palazzo di Holyroodhouse. Nel Palazzo di Westminster rivolgerà un discorso ai rappresentanti della società civile. Alle West Midlands beatificherà il card. Newman il 19 settembre durante una Messa pubblica all'aeroporto di Coventry, nell'arcidiocesi di Birmingham, alla quale sono attesi 250.000 pellegrini. Durante il viaggio, il Papa presiederà anche una Messa pubblica a Glasgow, una veglia di preghiera a Londra e un evento "concentrato sull'educazione". Uno dei temi principali della visita sarà rappresentato dal rapporto tra le Chiese cristiane e dalle relazioni tra le maggiori confessioni. In questo senso, Benedetto XVI farà visita all'arcivescovo di Canterbury, nel Palazzo di Lambeth, e pregherà con "altri responsabili" della Chiesa nell'abbazia di Westminster.

Zenit

Tuesday, May 4, 2010

E il cardinale rispose al bambino

E il cardinale rispose al bambino

di Inos Biffi

Nel firmamento della Chiesa sta per accendersi una nuova luce: quella del beato John Henry Newman. Sarà così riconosciuta la santità di una vita trascorsa silenziosamente nell’infaticabile ricerca della verità, nell’adesione a Dio e nel consenso alla coscienza, nell’operoso e prolungato servizio alla Chiesa, nella serena e dolorosa sopportazione di incomprensioni e di isolamenti.
Sul finire dei suoi anni, al bambino che – in visita con la nonna Jemima, la sorella di Newman – contravvenendo alla raccomandazione di non fare domande, gli aveva chiesto: “Chi è più grande: un cardinale o un santo?”, l’anziano zio rispose: “Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra: è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste”. Il cardinalato gli era giunto, sorprendentemente e non senza penosi intralci, ormai al tramonto della vita: egli non lo aveva desiderato, anche se lo aveva gradito, come riconoscimento della sua opera e soprattutto come apprezzamento per la Chiesa cattolica inglese; però, sapeva bene che la santità era tutt’altra cosa.

D’altra parte, di là dall’altezza del suo ingegno, penetrante e versatile, di là dai suoi raffinati gusti estetici, dal suo “stile incantatore” (Piero Chiminelli), dalla discrezione del comportamento distinto, dalla elevatezza e nobiltà dei suoi sentimenti, la santità di Newman non mancava di essere diffusamente presentita.
Vedendo la sua salma esposta nella chiesa dell’Oratorio di Birmingham – era morto l’11 agosto del 1890 – un visitatore annotò: “Il cardinale, come i resti mortali di un santo, spiccava sul feretro, pallido, distante, logorato. Era come se un intero ciclo di esistenza e di pensiero umani si fossero concentrati in quell’augusto riposo. Una dolce luce aveva condotto e guidato Newman fino a questa singolare, brillante e incomparabile meta”. Ma già qualche anno prima, il vescovo di Birmingham, Ullathorne, dopo averlo incontrato, commentava: “Mi sono sentito rimpicciolito davanti alla sua presenza. Dentro quest’uomo c’è un santo”.

Ed era, alla fine, la stessa persuasione del cardinale Manning. Al discorso funebre per Newman nella chiesa del Brompton Oratory di Londra, quando ormai le polemiche erano lontane e il tempo aveva dileguato le diffidenze, l’arcivescovo di Westminster, dopo aver rievocato “la sua figura, la sua voce, e le parole penetranti che uscivano dalle sue labbra nella chiesa universitaria di Oxford”, affermava: “A nostra memoria, nessun inglese è stato oggetto di una venerazione così viva e sincera. Qualcuno ha detto: “Lo canonizzi o meno Roma, egli sarà canonizzato nella mente della gente religiosa di tutte le confessioni in Inghilterra”. È vero. E se questo fatto equivale a una nobile testimonianza di riconoscenza a una grande vita cristiana, è anche una magnifica prova dell’equità e della giustizia del popolo inglese. Egli è sempre stato lo stesso, unito a Dio e aperto nella carità a tutti quelli che avevano bisogno di lui. Fu centro di numerose anime, che erano andate da lui, come maestro, guida e consigliere durante molti anni. Una vita bella e nobile”.

Forse la via più illuminante e suggestiva per comprendere la concezione e i lineamenti della santità di questa “vita bella e nobile” consiste nel percorrere i profili dei Padri della Chiesa, tracciati da Newman con penna finissima e intima consonanza.
Potremmo, anzi, dire che, nella “fraternità d’anime” con queste “preziose creazioni di Dio” – come li definiva – e nella loro assidua e degustata frequentazione, si veniva plasmando e maturando la sua stessa vita spirituale, mentre nelle loro vicissitudini egli leggeva, quasi in una profetica filigrana, le sue peripezie e insieme ritrovava disvelate le proprie emozioni e la propria umanità.
Scriveva il penetrante, e un po’ deviante, Bremond: “In ciascuno dei Padri Newman cerca anzitutto l’uomo, il santo. Prima di prenderli come maestri, egli li vuole avere per amici”. “Si scelgono gli amici come si vuole. Newman li vuole santi, e vuole che le ore che dedica loro siano ancora una specie di preghiera”, e aggiungeva: “Chi non ama la santità, non ama i santi”. Newman mostra di amare sia i santi sia la santità.
E tra i santi sopra tutti lo attraeva Giovanni Crisostomo. Newman stesso si domandava: “Da dove viene questa devozione a san Giovanni Crisostomo, che mi spinge a fissare il pensiero su di lui, e mi infiamma al solo suo nome?”. E rispondeva: “Penso che il fascino di san Crisostomo si trovi nella sua profonda solidarietà e compassione per il mondo intero; non solo nella sua forza, ma nella sua debolezza”.

Newman è attirato dal fatto che, per quanto posseduto dal fuoco della divina carità, il Crisostomo “non ha perso una fibra, non manca di alcuna vibrazione del complicato organismo del sentimento e dell’affetto umano”: “Egli scrive come chi scruta con occhi acuti ma compassionevoli il mondo degli uomini e la loro storia”.
Senza dire che per un altro aspetto Newman sentiva consonante col proprio il temperamento del Crisostomo, ed è il vivo senso dell’amicizia, che fu motivo per Newman di intima gioia e di profonda sofferenza:
“Nessuno poteva vivere più intimamente nei propri amici come san Giovanni Crisostomo: non aveva lo spirito di distacco proprio del monaco, che lo rendesse indifferente alla presenza, alla corrispondenza, all’azione, al benessere dell’anima e del corpo di coloro che, come lui, erano figli della stessa grazia ed eredi della medesima promessa”. E concludeva: “San Giovanni Crisostomo appartiene a quella schiera scelta di personaggi che gli uomini iniziano a comprendere e a venerare dopo che ne vengono privati. È la legge generale del mondo, che la nuova legge del Vangelo non ha capovolto”: sarebbe avvenuto così anche per lui.
Senza dubbio, l’itinerario e la forma della santità sono aperti soltanto allo sguardo di Dio, così come essa è possibile solo all’opera misteriosa e fantasiosa della sua grazia.
Tuttavia, forse, riusciamo a sorprendere alcuni momenti in certo modo decisivi del tragitto interiore di Newman. Ci sembra che uno di questi momenti sia quello della conversione di questo “ipersensibile”, insieme dotato “di una docile volontà” e di una “fermezza d’acciaio” (Bouyer).

Era l’autunno del 1816, e nel “grande rivolgimento di pensieri” – com’egli nell’Apologia pro vita sua chiama la conversione – gli brillò l’evidenza di due esseri: il suo “io” e il suo “Creatore”. Mentre ogni altra realtà sbiadiva ai suoi occhi e veniva guardata con sospetto, questo eccezionale quindicenne con una fermezza estrema si sentì ancorare “al pensiero di due e solo due esseri assoluti, di un’intrinseca e luminosa evidenza, che lo segnerà per sempre: me stesso e il mio Creatore”. Così, Dio, il Dio vivo della Scrittura, “gli si impose, in modo intimo, senza intermediario, personale”, con la conseguenza che i grandi dogmi, come l’incarnazione, la redenzione, la Trinità, gli apparvero “non come idee astratte, ma come fatti vitali” (Bouyer), ai quali corrispondere con la sua condotta.

E sempre nel tempo della sua conversione lo aveva colpito un’espressione, che divenne un programma, di Walter Scott: “La santità più che la pace”, e lui stesso scriverà che il grande fine del ministero “è la santità”.
Un altro momento cruciale nel cammino spirituale di Newman fu, senza dubbio, quello del viaggio nel Mediterraneo, con la sua malattia in Sicilia. Negli anni che lo hanno preceduto, “cominciavo – egli afferma – a preferire l’eccellenza intellettuale all’eccellenza morale”, e a cedere al liberalismo.
Quel viaggio, coi rimorsi e i pentimenti che suscitava e la lucidità interiore che vi accendeva sul suo “orgoglio”, fu provvidenziale. In quelle settimane Newman ebbe l’”intuizione” e il presentimento di una sua missione che lo attendeva, insieme con la persuasione da un lato di non aver mai peccato contro la Luce e di avere assolutamente bisogno di Luce. Fu allora che scrisse l’inno inglese più cantato nelle chiese cattoliche e protestanti, Lead kindly Light, che è una confessione sincera della sua presunzione, e una appassionata e umile implorazione di quella Luce. “In mezzo al buio” che lo avvolgeva, egli la invocava come guida, che illuminasse non “l’orizzonte lontano”, ma tanto quanto bastasse per compiere un passo. La santità di Newman appare come il crescere silenzioso e perseverante di questa fedeltà alla Luce.
Certo, durante “la sua così lunga e spesso penosa vita” non sarebbero mancati difficili situazioni di prova e profondi motivi di sofferenza, di fronte a chiari segni di sfiducia, a manovre non limpide, ad anni di emarginazione e di isolamento.

Nel 1860 constatava e scriveva nel suo diario: “Non ho nessun amico a Roma, ho lavorato in Inghilterra dove non sono stato capito e dove mi hanno attaccato e disprezzato. Pare che sia incorso in molti fallimenti”, e aggiungerà: “Credo di dire tutto questo senza amarezza”.

Si era anche affacciata la possibilità che fosse fatto vescovo; gli era anche stata promessa autorevolmente quella nomina che poi svanì. Viene in mente che anche a Rosmini era stata assicurata la nomina cardinalizia, poi intralciata e revocata. E come Rosmini, la cui stella si è inattesamente e felicemente da poco accesa nello stesso firmamento del santorale della Chiesa, anche Newman non ebbe per questo parole di amaro risentimento. D’altronde, egli riconosceva serenamente: “Io non ho il talento, l’energia, le risorse, lo spirito, la capacità di governare, necessari per occupare l’alta carica di vescovo. Non ho mai occupato in vita mia cariche di potere. Il mio modo di esercitare una qualche influenza è completamente diverso”.

E fu esattamente così. La sua influenza non fece che accrescere, come riflesso della luminosità garbata, e pure intensissima della sua intelligenza, che sa toccare in profondità la mente e sa parlare al cuore. Cor ad cor loquitur si legge nel suo stemma cardinalizio.

E non meno attraente è la santità di Newman, contrassegnata da equilibrio alieno da rigide e mortificanti ascesi. Essa ci appare la santità di un gentiluomo che, con incrollabile fede, seppe sopportare per amore della verità e della Chiesa innumerevoli tribolazioni, abitualmente nascoste sotto la sua cortese e un po’ distaccata amabilità, nel silenzio lucido della sua coscienza, aperta a Colui che solo assolutamente gli importava, secondo l’intuizione della sua prima conversione, a quindici anni: “Io e il mio Creatore”.


©L’Osservatore Romano – 23 luglio 2009