Thursday, December 30, 2010

Una rilettura del romanzo "Callista"

Newman e quel III secolo così simile a oggi


Pubblichiamo la sintesi di una delle relazioni pronunciate al simposio internazionale "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman" che si è tenuto alla Pontificia Università Gregoriana per iniziativa dell'International Centre of Newman Friends.

di Bernadette Waterman
Università di Dallas, Texas

John Henry Newman e il romanzo. Il beato inglese non è un maestro del genere - anche se c'è chi lo ha proposto come patrono dei romanzieri - ma nel suo Callista (1885) offre ai lettori una visione di cristiana eroica resistenza al male.
Callista rispecchia la lotta perenne della Chiesa militante contro l'anticristo. Newman scrive: "Proprio come i modelli di Cristo precedettero quest'ultimo, così fanno le ombre dell'anticristo (...) Ogni epoca contiene in sé l'immagine di eventi futuri, che, soli, sono il reale compimento della profezia che sta al loro inizio".
Lo scrittore, in contrapposizione agli stereotipi protestanti dei primi cristiani, grazie alla sua sorprendente conoscenza dell'antichità, illustra la pratica cristiana antica. Messe, catecumeni, confessioni, vescovi, paramenti sacri, miracoli, immagini, reliquie. Il racconto paragona la Roma antica a un'Inghilterra concepita quasi completamente in termini post-cristiani.
Nel romanzo, Cornelius - un uomo rozzo del periodo imperiale - si vanta della grandezza economica e militare di Roma, che noi lettori sappiamo essere in declino. Sentendosi minacciato dai cristiani, Cornelius "procede per fatti". E il grande fatto di Roma è il suo potere, celebrato in modo cerimoniale nei Giochi denominati Secolari nei quali dei giovani e delle vergini propiziavano i favori degli dei di Roma, e duemila "valenti" gladiatori marciavano per uccidere in suo onore. Dietro ai gladiatori venivano i bruti satiri saltellanti: il vacuo potere imperiale è servo dell'appetito.
Cornelius invoca il motto romano Novum saeculum, espressione simile a quella che richiama il simbolismo massonico sul dollaro americano. La nostra epoca secolare, perseguita con violenza dai massoni in Messico lo scorso secolo, abbonda di costosi templi commerciali dedicati al dollaro. Dietro ci sono "satiri, che saltellano e fanno capriole", culti più oscuri al servizio di appetiti ancora più meschini.
La "Santa Muerte", un idolo invocato dalla malavita della droga e della prostituzione a protezione dalle uccisioni, ha ispirato una parodia demoniaca di rituali cristiani nell'area al confine con il Messico. A 1.200 chilometri a nord, nella periferia di Dallas, i supermercati vendono le sue candele votive nere accanto a candele per il Sacro Cuore e la Vergine di Guadalupe.
La Roma di Newman celebra se stessa ignorando i barbari che incombono. E oggi ci si compiace della propria tolleranza mentre anticristiani spietati mettono in pericolo la vita della religione.
Aristo scherza su come Roma con le sue tasse mangi le sue stesse membra. Bassi tassi di natalità e spese pubbliche inadeguate non appartengono esclusivamente all'antichità. Agellius soffoca la propria coscienza per scendere a compromesso con Roma sul matrimonio. Quanti amministratori cattolici della sanità pubblica fanno oggi lo stesso? Agellius accetta di corteggiare Callista, rifiutando legalmente la fedeltà e il suo cortese compromesso con Jucundus lo impegna a un auto-inganno tanto immorale quanto l'aperta apostasia di Juba. In modo evidente, John Henry Newman rende Agellius profondamente grato per avere evitato un peccato che, a pensarci, è molto simile a certi usi moderni.
In L'attuale posizione dei cattolici in Inghilterra (1851) Newman riporta le calunnie vittoriane che equiparano i voti cattolici alla prostituzione e all'omicidio. Ci si potrebbe chiedere con Aristo: "Perché mai nel mondo si dovrebbe provare terrore per questi poveri spauracchi cristiani?". Newman ha la risposta: il carattere imperiale della Chiesa. La verità di Dio, paziente e inamovibile, né violenta né vendicativa, ha un'arma, ovvero che ogni cuore desidera la pace. Gli imperi terreni temono il cristianesimo perché non è soggetto al potere di nessuno, né dei media, né di Facebook, né, all'epoca, dei carnefici romani.
Nel romanzo, Jucundus e Polemo condannano la venerazione esclusiva che resiste alla neutralità ufficiale. Jucundus si lamenta: "Giurate sul genio dell'Imperatore, invocate la dea Roma (...) Noi non vi stiamo intrappolando, (...) non diciamo "Giurate sul genio di Cesare per cui egli ha il genio, nero, bianco o pezzato". Vi spieghiamo il significato dell'atto. È una mera espressione di fedeltà all'impero".
Jucundus considera perverso Agellius quando quest'ultimo sceglie la sofferenza piuttosto che abbandonare la verità: "La verità! - ha gridato - che cosa è la verità? Dove hai preso questo gergo? Che sciocchezza ti sta turlupinando? (...) Denunciare tutti gli altri riti tranne il proprio è quasi tradimento". Il potere dello Stato, in definitiva, è solo il potere di morte. L'Impero di Roma dell'anticristo è disarmato perché Cristo vince la morte.
In modo per loro offensivo la Chiesa cattolica afferma che esiste una verità stabile, permanente e universale, alla quale alcuni esseri umani hanno accesso e tutti potrebbero averlo. Il rifiuto dei cristiani di venerare le menzogne confonde quanti pensano che tutta la religione sia falsa o soggettiva. Fa infuriare i nostri contemporanei che ritengono la religione talmente un fatto privato da non dover mai essere espressa neanche pregando in pubblico.
La tolleranza compromettente dell'anticristo viene attuata in modo aggressivo. La semplice disapprovazione, come "l'odio" di Agellius "per il peccato e per la volgarità", è considerata un attacco e a volte solo la ritorsione letale può soddisfare i tolleranti.
La strega Gurta illustra questa ferocia nei capitoli dedicati da Newman a Juba, il fratello ribelle di Agellius.
Juba disprezza "l'effeminato" Agellius perché evita i bagordi pagani. Juba non pone limiti alla libertà di alcuno tranne che di coloro che potrebbero limitare la sua. Ritiene di essere libero di resistere al cristianesimo che sembra inibire Agellius, ma brama la compagnia del fratello nell'apostasia. Juba tormenta Agellius e insulta Cipriano, ma affronta la violenza della folla per aiutarlo a sfuggire agli insorti. Nega di credere in Dio, come l'ateo di Chesterton che pensa di non creder in nulla, ma che, di fatto, crede a tutto. Juba indossa amuleti e sussurra incantesimi.
Quanti di coloro che, ai nostri giorni, sostengono di essere superiori alla religione, si rivolgono agli oroscopi per avere dei consigli?
Dal padre cristiano deceduto, Juba, la figura del cristiano non osservante, riceve la consapevolezza del mondo invisibile che è, come dice Newman in un sermone, "fede, un dono soprannaturale. La fede possono averla i buoni e i cattivi ed è molto potente; anche i cattivi sono stati creati per servire la sua gloria e la sua lode (...) la fede non si perde facilmente". Umiliato dal male che ha scelto, dominato da esso senza volerlo, Juba non può più ingannare se stesso sulla realtà o la bontà di Dio.
In fondo, il iii secolo del romanzo pervaso da demoni, tormentato dalle locuste, danneggiato dal peccato umano, assomiglia al secolo di Newman e anche al nostro.
Il sofista Polemo esprime satiricamente un non senso vagamente hegeliano su una sorta di spirito del mondo incarnato in un governo mondiale unificato. La dolce nostalgia romantica per il paganesimo ha ravvivato quell'idea sofistica che ha prodotto il nazionalismo del xix secolo e il fascismo del xx secolo, la cui eredità perdura. Il relativismo però ha cancellato la fiducia del xix secolo nel progresso morale perché, come mostra Newman, il potere secolare deve proibire alla verità di competere con l'opinione e il sentimento.
I postmoderni che si auto-compiacciono definiscono le asserzioni di verità come lotta vacua. Tuttavia, i romani di Newman, più accorti, temono il desiderio di una realtà che nella sua essenza non sia vacua prepotenza.
Newman definisce la fede cattolica principio di impero mai esistito in precedenza. Lo statista romano comprese che avrebbe dovuto affrontare un rivale, altrimenti il cristianesimo avrebbe "rivoluzionato l'impero". Pertanto Newman inserisce nel testo due convertiti storici, Arnobio e Firmiano, per richiamare l'attenzione dei lettori sul tipo di disillusione verso la religione vuota che storicamente portò i filosofi pagani al cristianesimo.
Persino Jucundus ricorda la delusione biblica per la "vanità delle vanità". Auspica, con parole che ricordano quelle di san Paolo, qualcosa che non sia "un conflitto né un bagordo né un eccesso né un alterco". Tuttavia, l'Impero dell'anticristo inevitabilmente li promuove tutti e quattro.
Aristo incarna il perfetto gentiluomo di Newman. Apprezza "l'orgoglio della mente, il divertimento dell'intelletto, la voce e gli occhi del genio". Aristo presenta le divinità pagane come allegorie, simboli di realtà naturali o morali. Arnobius deride questa miticizzazione revisionista. Un contemporaneo di Newman, il poeta anglicano non credente Matthew Arnold, cercò di ricreare il cristianesimo come mito nuovo e più credibile. Come la religione di Arnold, la grande cultura di Aristo nasconde solo un narcisismo che inganna se stesso. La grande cultura lo tradisce. Inveisce contro i tragediografi per la loro mancanza di consolazione mentre sua sorella attende la tortura con serenità. Raccomanda a Callista il suicidio, esortando in modo simbolico alla morte della bellezza, come poi avrebbero fatto tanti artisti del xx secolo, e in modo disonesto finge di volersi uccidere. Continua, dunque, a vivere nella solitaria segregazione narcisistica dalla quale Callista evade.
Più che il personaggio di un romanzo, Callista stessa è un'illustrazione di un sermone: onestà verso se stessi e conseguente desiderio di Dio. Le guardie romane la trattano in modo stranamente gentile. Callista diventa a sua volta paganesimo virtuoso, carità rigorosa, desiderio sponsale della Persona divina, riconoscimento dell'inadeguatezza umana e, infine, fede fino al martirio. Tuttavia, intorno a lei si muovono figure più vive. Newman utilizza l'empatia della narrativa per esporre la sua visione più ampia del potere dell'anticristo, sempre contrapposto alla fede che pur non avendo alcun potere politico, gli resiste.
Roma è insicura e quindi orgogliosa. Deve uccidere quelli che non si sottomettono alla sua religione. Callista è sicura di sé e quindi forte grazie alla sua umiltà: "La via per il potere è la debolezza, la via per il successo è il fallimento, la via per la saggezza è la stoltezza".
Agellius e Aristo, Juba e Gurta e oltre a loro i romani, Firmiano, Arnobius, Cipriano alla fine riconoscono tutti il potere del desiderio di una verità stabile. La magnificenza della verità sembra a malapena qualcosa di più del potere di resistere al male, ma il sacrificio necessario per resistere, l'Europa ha potuto sperimentarlo nel xx secolo.
I cospiratori della Rosa Bianca studiavano Newman perché egli comprendeva profondamente che la seria autoconsapevolezza, la capacità di empatia e di carità vengono alimentate dalla resistenza al male.
Newman non è un romanziere abbastanza abile da riuscire a dare vita a Callista. Tuttavia sono pochi i narratori che hanno una visione tanto ricca, complessa, ben informata e completa per comunicare che il desiderio di Dio nel cuore umano è l'arma principale dell'impero contro l'anticristo nel corso di tutta la storia. Newman è un uomo che cerca realtà, non ombre. Forse è perché percepisce la realtà della santità in modo talmente acuto da non poter sopportare la mera creazione di un santo scaturito dalla fantasia.
Alla fine, egli parla di santi reali e più che parlarne, abbraccia la forza della loro santità, si unisce all'impero definito dalla loro umiltà, pace e volontà di martirio e ci esorta a fare altrettanto.


(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2010)

Monday, December 20, 2010

Discorso alla Curia Romana

Dal discorso del Papa alla Curia Romana del 19 dicembre 2010.


Infine, vorrei ancora ricordare la beatificazione del Cardinale John Henry Newman. Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? A queste domande si possono dare molte risposte, che nel contesto della beatificazione sono state sviluppate. Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa. Il primo è che dobbiamo imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un cammino spirituale che ci interessa tutti. Vorrei qui mettere in risalto solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente. Fino a quel momento, Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita. Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa la “realtà” secondo cui ci si orienta. Il “reale” è ciò che è afferrabile, sono le cose che si possono calcolare e prendere in mano. Nella sua conversione Newman riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili. Questa conversione significa una svolta copernicana. Ciò che fino ad allora era apparso irreale e secondario si rivela come la cosa veramente decisiva. Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita. Di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno: allora siamo sulla via retta.

La forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. Il mondo viene diviso negli ambiti dell’oggettivo e del soggettivo. All’oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l’esperimento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo il soggetto, e con la parola “coscienza” si esprime, appunto, questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza – un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. La sua terza conversione, quella al Cattolicesimo, esigeva da lui di abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti amici. La rinuncia che l’obbedienza verso la verità, la sua coscienza, gli chiedeva, andava ancora oltre. Newman era sempre stato consapevole di avere una missione per l’Inghilterra. Ma nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita. Era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi sconvolgenti: “Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione”. Non era ancora arrivata l’ora della sua efficacia. Nell’umiltà e nel buio dell’obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità.

Saturday, December 11, 2010

Newman e il sacerdozio. Vi spiego il mio film

Newman e il sacerdozio. Vi spiego il mio film

di Liana Marabini


Un film è un modo accessibile a tutti per conoscere un personaggio o un'epoca storica, ma è anche un potente mezzo di evangelizzazione. Ho deciso di fare un film su Newman, non solo perché ho un amore personale e sconfinato per la teologia e la spiritualità di Newman (e soprattutto per la fusione tra le due), ma anche perché lo considero un esempio per i nostri contemporanei, specialmente per i sacerdoti, che mi stanno molto a cuore. Infatti, loro sono gli eroi dei miei film e The Unseen World non fa eccezione: è un film su un uomo, già famoso nel suo tempo, grande teologo, scrittore di successo, ma soprattutto prete.

Non è stato facile trovare un attore che potesse interpretarlo, ma alla fine l'ho trovato: Murray Abraham. È un grande attore, negli Stati Uniti figura in quella che si chiama “The ‘A’ List”, vale a dire gli attori che hanno preso l’Oscar. Lui, la statuetta l'ha meritatamente vinta per il ruolo di Salieri nel film di Milos Forman, Amadeus. Murray è entrato con naturalezza nel ruolo. Abbiamo studiato insieme i movimenti, i gesti e perfino la voce che Newman, secondo me, doveva avere. Il risultato è molto buono.

Il film è ancora in lavorazione, ma si può vedere un trailer realizzato con le scene fino adesso girate, sul mio sito www.alter-christus.com ed anche sul sito che il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha creato, per dare spazio alla cultura cattolica: www.intermirifica.net (sulla pagina iniziale della versione inglese).

Quello che è più mi affascina di Newman è la sua somiglianza, teologica e spirituale, con Benedetto XVI. Newman, come Papa Ratzinger, è un buon prete. «I sacerdoti di Cristo non hanno altro sacerdozio che il Suo. Essi sono solo le Sue ombre e i Suoi organi, sono i Suoi segni esteriori; e quanto essi operano è Lui che lo opera; quando essi battezzano, Egli battezza; quando essi benedicono, Egli benedice». Queste parole sono di Newman e le scrive nei Parochial and Plain Sermons, volume VI, p. 242. «Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull’altare. Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell’Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità».

Queste parole invece sono state pronunciate da Benedetto XVI, nel videomessaggio ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale, il 28 settembre 2009. Newman e Benedetto XVI, benché eruditi, trasmettono l’amore di Dio a tutti, con parole semplici, che parlano, appunto al cuore. Entrambi cercano la verità e non hanno paura di mostrarla. Entrambi hanno un ideale sacerdotale. Entrambi sono dei sacerdoti ideali.

In tutti i miei film, metto in evidenza il modello del sacerdote ideale, reso tale anche dalla castità: è un modello che ispira le vocazioni. Infatti, la dottrina dei santi Padri (Agostino, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e Cipriano), arricchita nel corso dei secoli dai dottori della Chiesa e dai maestri dell’ascetica cristiana, suscita il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità al fine di aderire più facilmente a lui con un cuore non diviso e di disporsi «a ricevere una più ampia paternità in Cristo», come insegna il Concilio Vaticano II (Decreto "Presbyterorum ordinis", n. 16).

Newman ha uno sguardo particolare su coloro che, in virtù della consacrazione ricevuta, abbracciano la castità, la quale a sua volta assicura una maggiore identificazione con Gesù e dimostra che la teologia del celibato sacerdotale è intimamente connessa con la teologia dello stesso sacerdozio. In un dialogo molto significativo con un aspirante al sacerdozio, Newman spiega che la castità è la virtù delle virtù ed afferma che la poca fede porta al disprezzo della castità e che il disprezzo della castità conduce presto o tardi all’apostasia. Al contrario, l’amore e l’onore che si accordano al valore del celibato, e più in generale alla purezza e alla verginità, sono la misura dell’amore del sacerdote per Cristo, per il Vangelo e per la Santa Chiesa di Dio.

In un altro dialogo, Newman spiega l’essenza del sacerdozio cattolico, attraverso l’ordinazione, che crea l’elevazione di chi la riceve in una unione organica soprannaturale con Cristo. Spiega che i sacerdoti, attraverso il sacramento dell'ordine e il carattere che esso imprime, vengono configurati con Cristo ed agiscono in suo nome e poi cita due brani, molto significativi della Lettera ai Corinzi: «Così l'uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1 Cor 4,1) ed anche: «Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio» (2 Cor 5,20). Mentre Benedetto XVI riassume così questa figura, in occasione del ritiro sacerdotale internazionale del 2009: «Il sacerdote è l’uomo del futuro». Ed io sono d'accordo.

Tuesday, December 7, 2010

Un contributo alla nuova evangelizzazione

Iniziano in Vaticano le prediche d'Avvento tenute da padre Cantalamessa

Un contributo alla nuova evangelizzazione


di Nicola Gori

Sarà il pensiero del beato John Henry Newman uno dei fili conduttori delle prediche d'Avvento che il cappuccino Raniero Cantalamessa terrà in Vaticano a partire da venerdì 3 dicembre, alla presenza del Papa. In questa intervista al nostro giornale il predicatore della Casa Pontificia spiega i motivi della scelta e anticipa alcuni dei temi che affronterà nelle sue riflessioni.

Perché ispirarsi proprio a Newman per sviluppare i temi delle prediche?

Ho scelto di utilizzare il pensiero di Newman non solo per la sua attualità - rilanciata dalla beatificazione da parte di Benedetto XVI il 19 settembre scorso, durante il viaggio compiuto nel Regno Unito - ma anche perché, di fatto, il nuovo beato ha dovuto affrontare a suo tempo molte delle sfide che ci troviamo davanti noi oggi. In particolare, quella del razionalismo, che egli affronta in uno dei sermoni universitari dal titolo significativo The Usurpation of Reason ("Le prevaricazioni della ragione"). Anche a proposito del dialogo con la scienza, in particolare con la teoria evoluzionista allora di recente pubblicazione, Newman ha delle idee sorprendentemente precorritrici dell'atteggiamento attuale della Chiesa.

La sfida della nuova evangelizzazione, a cui fa riferimento il tema delle prediche, è stata di recente riproposta da Benedetto XVI ai superiori e alle superiore generali degli istituti religiosi. A partire dalla sua esperienza di cappuccino, quale può essere lo specifico contributo della vita consacrata?

La rievangelizzazione del mondo occidentale - dirò in una delle mie prediche - passa attraverso il recupero del senso del sacro in una società secolarizzata, segnata dal disincanto della scienza e della tecnica. In questo senso, la vita consacrata ha svolto sempre un ruolo profetico, di annuncio del secolo futuro. Anche perché, concretamente, i più grandi evangelizzatori sono stati da sempre i membri degli ordini religiosi, soprattutto apostolici. Alcuni di essi, come i domenicani e i gesuiti, si sono distinti sempre per la diffusione del messaggio tra le classi colte; altri, come noi cappuccini, tra il popolo.

Perché lo scientismo, il razionalismo e il secolarismo sono ostacoli all'accoglienza del messaggio cristiano?

Distinguo fortemente nelle mie riflessioni lo scientismo dalla scienza, il secolarismo dalla secolarità, il razionalismo dalla razionalità. Come tutti gli "ismi", scientismo, secolarismo e razionalismo indicano l'eccesso o la distorsione di un valore positivo. Essi sono un ostacolo all'evangelizzazione in quanto, come dice il Papa nel motu proprio Ubicumque et semper con cui ha istituito il nuovo Pontificio Consiglio, rendono "refrattarie" le popolazioni di Paesi di antica tradizione cristiana ad accogliere oggi il messaggio del Vangelo.

All'Angelus di domenica scorsa, parlando dell'Avvento, il Papa ha ricordato che l'uomo è vivo finché attende. Si può oggi risvegliare questa attesa nelle coscienze degli uomini e delle donne del nostro tempo?

Sarà proprio questo il tema di una delle prediche. Bisogna interrogarsi su come ridestare un mondo secolarizzato, dove ormai si ha perfino vergogna di parlare di eternità. In questo senso Benedetto XVI ha dato un contributo fondamentale con la sua enciclica Spe salvi, nella quale noi riscopriamo la certezza che "nella speranza siamo stati salvati".



(©L'Osservatore Romano 3 dicembre 2010)

Thursday, November 25, 2010

Il dovere della pazienza

Newman e i concili


Si è svolto il 22 e il 23 novembre presso la Pontificia Università Gregoriana un simposio internazionale sul tema "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman". Pubblichiamo una larga parte della relazione tenuta dall'autore della più importante biografia di Newman definita da Henry Chadwick "a very splendid book".
di Ian Ker

Poiché il concilio Vaticano II fu incentrato completamente sulla Chiesa, il documento in cui esso esamina la natura stessa della Chiesa, Lumen gentium, deve sicuramente essere il più importante. È nella sua ecclesiologia che Newman anticipa il concilio, forse in modo più determinante. Com'è fin troppo noto, Newman fu un pioniere solitario del laicato nella Chiesa altamente clericale del XIX secolo e fu l'autore di ciò che si considera il testo classico sul laicato, ovvero l'articolo Sulla consultazione di fedeli in questioni di dottrina. Senza dubbio avrebbe accolto bene il capitolo della Costituzione sul laicato. L'altro capitolo che attrasse grande attenzione allora e dopo il concilio fu il capitolo sui vescovi. Newman avrebbe di certo considerato quel capitolo come un'aggiunta necessaria e una modifica della definizione dell'infallibilità del Papa formulata del Vaticano i, che aveva inteso elaborare un insegnamento più ampio sulla Chiesa, intenzione frustrata dalla sospensione indefinita del concilio. Tuttavia, esistono due capitoli, che sono stati entrambi ignorati in confronto a quelli sul laicato e sui vescovi, ma che costituiscono l'idea fondamentale del concilio sulla natura della Chiesa e che erano stati anticipati da Newman. Mi riferisco ai primi due capitoli "Il Mistero della Chiesa" e "Il Popolo di Dio", che formulano in termini scritturali e patristici la definizione conciliare di ciò che Newman chiamava "l'idea della Chiesa". Le conseguenze dell'aver trascurato questi due capitoli fondamentali e di aver sopravvalutato il significato dei capitoli sui vescovi e sul laicato sono state facilmente predette da Newman: precisamente, un'enfasi eccessivamente gallicana sulla cosiddetta "collegialità", un'enfasi che ignora il fatto che la Chiesa è papale nonché episcopale e una sollecitudine per il laicato, che ha portato a ciò che io definisco "laicismo", che spesso si è sostituito al vecchio clericalismo. Prima, durante e dopo il concilio Vaticano i, Newman ha adombrato ciò che può definire una mini-teologia dei concili della Chiesa, che ha molta importanza per la nostra epoca post-conciliare. Il primo punto da evidenziare è che Newman non nutriva dubbi sul fatto che i concili fossero "sempre stati momenti di grande prova": la storia ha dimostrato che avevano "generalmente due caratteristiche - un gran quantità di violenza e di intrigo da parte di chi vi partecipava, e una grande resistenza alle loro definizioni da parte di porzioni di cristianesimo" (Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina). L'elemento più generale è che i concili hanno conseguenze inattese e più ampie di quelle che i testi conciliari sembrano presupporre. L'elemento più specifico è che un insegnamento conciliare non può essere considerato al di fuori del contesto o piuttosto, come in questo caso, senza un contesto. Newman sperava che, se il concilio sospeso fosse stato ripreso, "si sarebbe occupato di altri aspetti" che "avrebbe avuto l'effetto di qualificare (...) il dogma". Ciò a cui Newman si riferisce qui è un insegnamento più generale sulla Chiesa che avrebbe fornito un contesto all'infallibilità del Papa. Tuttavia, il fatto che la Chiesa abbia dovuto aspettare un altro concilio affinché questo accadesse, non avrebbe sorpreso Newman: il suo studio sulla Chiesa primitiva mostrava in che modo essa "era passata alla verità perfetta per mezzo di varie dichiarazioni successive, anche opposte fra loro, perfezionandole, completandole, arricchendole". La proclamazione dell'infallibilità del Papa "doveva essere completata" - "siamo pazienti, abbiamo fede e un nuovo Papa e un nuovo Concilio potranno assettare la nave". Quella profezia si avverò naturalmente con Giovanni XXiii e il concilio Vaticano ii, ma anche a quest'ultimo si applica il criterio generale secondo cui i concili devono "essere completati". Quando Newman parla di completamento, non intende accrescimento di ciò che è già stato insegnato, che nel caso del Vaticano i avrebbe significato un rafforzamento della proclamazione, ma intende "dichiarazioni in direzioni opposte". Nel caso del Vaticano II, Newman non suggerirebbe un Vaticano III, come molti speravano, almeno fino a poco tempo fa, che sarebbe "andato oltre" il Vaticano II, ma piuttosto "dichiarazioni in direzioni opposte". I dogmi della Chiesa primitiva, osservava Newman, non furono eliminati tutti in un'unica soluzione, ma un po' alla volta - un concilio faceva una cosa, un altro una seconda cosa - e così tutto il dogma veniva formulato. Sebbene, per la maggior parte, il concilio Vaticano ii non fu un concilio dogmatico, i suoi insegnamenti causarono e causano ancora oggi dissensi considerevoli. Dopo il Vaticano I, Newman aveva osservato che la Chiesa aveva avuto 300 anni per digerire e metabolizzare il concilio di Trento, ma "ora noi siamo figli nuovi, la nascita del concilio Vaticano (...) non sappiamo esattamente cosa abbiamo". La nota dolente era che, come sottolineò Newman, "i concili in genere agivano come una leva, spostando e mettendo in disordine parti del sistema teologico esistente". Gli insegnamenti conciliari richiedono un'interpretazione: difficilmente parlano per se stessi, sebbene dopo il concilio Vaticano II si parlò molto di "realizzare" i suoi insegnamenti come se fossero del tutto intelligibili. Non solo i teologi devono "stabilire la forza" di un insegnamento, proprio come "avvocati che spiegano atti del Parlamento" ma, la "voce diffusa" di tutta Chiesa deve farsi udire e le attitudini e le idee cattoliche devono "assimilare e armonizzare" un insegnamento conciliare. Visto che uno degli "svantaggi di un Concilio Generale è che esso getta unità singole della Chiesa nella confusione e le pone in disaccordo", Newman sarebbe rimasto difficilmente sorpreso sia dallo scisma dei vecchi cattolici di Döllinger sia dall'estremismo degli ultramontani nell'esagerare la portata della proclamazione dell'infallibilità del Papa. Né sarebbe rimasto sorpreso dalla situazione opposta, ma analoga, venutasi a creare dopo il concilio Vaticano II, quando sia Lefebvre e i suoi seguaci sia i liberali si unirono nell'esagerare la portata e la valenza rivoluzionarie del concilio. Tuttavia, sebbene Newman deplorasse il modo in cui Döllinger faceva appello alla storia contro il concilio come i protestanti facevano appello alle Scritture contro la Chiesa, non poteva negare di essere rimasto colpito dagli ultramontani estremi come il cardinale Manning, che aveva utilizzato una "retorica" straordinaria nella sua lettera pastorale dell'ottobre 1870, suscitando l'impressione che l'infallibilità papale fosse illimitata. Nello stesso modo, senza dubbio, avrebbe simpatizzato con i Lefebvriani al punto da deplorare l'estremismo aggressivo di Hans Küng e lo spirito del "partito del concilio Vaticano II". Newman evidenzia un elemento incisivo all'inizio del suo Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana. Nella prima sezione del primo capitolo, dove parla del processo di sviluppo delle idee, evidenzia che un'idea viva non si può isolare "dall'interazione con il mondo" e sostiene che questa interazione è veramente necessaria "se una grande idea deve essere compresa nel modo giusto e ancor di più se deve essere presentata in pienezza". Nella terminologia di Newman, il cristianesimo è proprio un'"idea" del genere. Ora esiste un'obiezione ovvia a questa argomentazione: ovvero che più una cosa si allontana dalla propria origine o fonte, più perde il suo carattere originale. Pur ammettendo che, di certo, c'è sempre il rischio che un'idea venga corrotta da elementi esterni, Newman insiste sul fatto che, sebbene "si dica a volte che la corrente è più chiara vicino alla sorgente", ciò non vale per il tipo di idea di cui si parla. Qualunque uso positivo si possa fare di questa immagine, esso non vale per la storia di una filosofia o di un credo, che, al contrario, è più equo, più puro e forte quando il suo letto è divenuto più profondo, ampio e pieno. Sorge necessariamente da uno stato di cose e da un terreno adatto. Il suo elemento vitale deve staccarsi da ciò che è estraneo e temporaneo. In altre parole, la filosofia o il credo divengono più autentici cambiando e sviluppandosi nel corso del tempo. È ironico che le parole famose che appaiono alla fine di questa sezione siano regolarmente citate fuori contesto a significare l'opposto di ciò che intendeva Newman: "In un mondo più alto è diverso, ma qui sotto vivere è cambiare, ed essere perfetti significa aver cambiato spesso". Il punto non è che il cattolicesimo deve cambiare o svilupparsi per essere diverso, ma per essere lo stesso. Ora, se Newman è corretto in ciò che dice sull'"idea", ossia che la filosofia o il credo divengono più equi, puri e più forti man mano che si sviluppano, allora gli insegnamenti del concilio Vaticano II diverranno più equi, puri e forti con il trascorrere del tempo. Chi ha partecipato al concilio pensava senza dubbio di aver compreso perfettamente il significato dei suoi insegnamenti. Sia Küng sia Lefebvre non avevano dubbi su come il concilio andava interpretato, ovvero come rottura con la tradizione, e, paradossalmente, come Döllinger e Manning, erano in totale accordo sul suo significato. In retrospettiva, possiamo vedere molto meglio la portata molto limitata della proclamazione dell'infallibilità del Papa e apprezzare l'accuratezza dell'interpretazione di Newman. Tuttavia, per Döllinger e per Manning la proclamazione significava molto di più di quanto la teologia cattolica fino ad allora aveva pensato significasse, un'idea che ha ricevuto l'avallo formale della Chiesa nel concilio Vaticano ii. A proposito di quest'ultimo concilio, si addiceva a Küng e a Lefebvre esagerare la sua natura rivoluzionaria, sebbene la cosiddetta rivoluzione suscitò in loro sentimenti molto diversi. Se è corretto definire Newman "il padre del concilio Vaticano II", allora non è irragionevole applicare la mini-teologia di sviluppo, che adombrò al tempo del concilio Vaticano I, e la sua teologia dello sviluppo, alla questione della ricezione e dell'interpretazione del Vaticano II nonché ai probabili sviluppi futuri. Se possiamo considerare Newman come nostra guida, allora, possiamo legittimamente utilizzare quel passaggio tratto dal Saggio sullo sviluppo per asserire che chi partecipò al concilio Vaticano II o ne fece esperienza probabilmente comprende il significato e l'importanza autentici dei suoi insegnamenti meno dei posteri. Se Newman ha ragione, l'"idea" del Vaticano ii diverrà più equa, pura e forte man mano che la corrente si allontanerà dalla sorgente e il suo letto diverrà più profondo, ampio e pieno. Lungi dallo svolgersi in un vuoto storico, il concilio Vaticano II ha avuto luogo in un momento di enormi capovolgimenti nella società occidentale, un periodo di euforia ottimistica, ma anche di grande devastazione morale e spirituale. Si è svolto in un periodo di rivoluzione e inevitabilmente "sapeva" del "terreno" degli anni Sessanta, per usare le parole di Newman, dello "stato delle cose" di quel decennio. Di conseguenza, "il suo elemento vitale deve staccarsi da ciò che estraneo e temporaneo". Dopo il concilio Vaticano i Newman ha costantemente esortato: "Il nostro dovere è la pazienza". Un anno dopo il concilio Vaticano I, Newman scrisse in una lettera privata: "La nostra saggezza consiste nel (...) pregare affinché Lui, che prima d'ora ha completato un quinto concilio con un secondo, possa fare così anche ora". Newman, di certo, non pregava per un ulteriore concilio che estendesse e rafforzasse la definizione della infallibilità papale, cosa che senza dubbio sarebbe piaciuta agli ultramontani, ma per un concilio che modificasse la definizione ponendola nella più ampia prospettiva di un insegnamento più esaustivo sulla Chiesa. Nel nostro tempo, non c'è stato un concilio Vaticano III a estendere e a rafforzare i testi conciliari equivalenti come avrebbe voluto l'ala liberale della Chiesa, ma, invece, i Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, si sono adoperati per inserire gli insegnamenti della Chiesa nella più ampia prospettiva della storia e delle tradizioni della Chiesa cosicché il concilio potesse essere compreso in continuità e non in rottura con il passato. Questo ci porta al secondo tipo di sviluppo di cui parla Newman nella sua mini-teologia dei concili. Infatti, non si tratta solo della questione del significato e dell'importanza dell'"idea" del concilio Vaticano II, che diviene più chiaro perché è visto sia alla luce del passato sia nella vita in divenire della Chiesa, ma anche della considerazione del fatto che i concili si aprono a ulteriori sviluppi per via di ciò che non dicono o sottolineano. Nel caso del concilio Vaticano I, Newman notava che l'insegnamento limitato al papato e la mancanza di un insegnamento generale sulla Chiesa avrebbero inaugurato il tipo di sviluppo che avrebbe recato frutto circa un secolo dopo nella Lumen gentium. Nello stesso modo le priorità sarebbero dovute cambiare dopo il Vaticano II sia per le esagerazioni prive di equilibrio dei suoi insegnamenti sia per l'emergere di nuovi problemi. Questo cambiamento, infatti, cominciò a verificarsi subito dopo il concilio. Erano trascorsi soltanto nove anni quando, nel 1974, Papa Paolo VI pubblicò Evangelii nuntiandi, in cui esortò a una nuova evangelizzazione. Infatti, a prescindere dal decreto sulle missioni estere, il concilio Vaticano II non affrontò l'evangelizzazione, che, di certo, sarebbe divenuto un grande tema del pontificato di Giovanni Paolo II. Questi due tipi di sviluppo si sono uniti in un fenomeno post-conciliare inaspettato, che è legato in modo vitale alla nuova evangelizzazione e che è esempio di entrambi i tipi di sviluppo di Newman citati. Si può affermare che il sorgere di nuove comunità e di nuovi movimenti ecclesiali, alcuni dei quali, di fatto, precedenti al concilio, da una parte rappresenta una reazione a ciò in cui il concilio ha fallito o che ha omesso di affrontare, e dall'altra spiega meglio e in modo più evidente i primi due capitoli della Lumen gentium, realizzando in concreto il loro significato e la loro importanza autentici. In generale, si potrebbe dire, che queste comunità e questi movimenti non sono comunità e movimenti laici, sebbene siano stati spesso definiti tali, ma comunità e movimenti ecclesiali. Sono ecclesiali e non laicali perché non sono composti soltanto da laici, ma anche dal clero, da vescovi, da religiosi e da laici consacrati. Il fatto importante è che riuniscono in una comunione organica i battezzati, indipendentemente dal loro status particolare nella Chiesa. È stata questa comunione organica che Newman ha ritratto nella Chiesa del iv secolo nel suo articolo Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina. È proprio la comunione organica dei battezzati il soggetto dei primi due capitoli della Lumen gentium, che evita nella maniera più assoluta di parlare della Chiesa nei soliti termini clericali/laici e nella quale i termini perfino non appaiono, essendo il "sacerdozio ministeriale o gerarchico" semplicemente riferito al legame con il sacramento dei santi ordini, quando vengono elencati i sette sacramenti che costituiscono "il sacerdozio comune dei fedeli". Questo movimento dello Spirito è stato un fenomeno nuovo e speso impopolare in una Chiesa sviluppatasi in modo sempre più clericalizzato, fino a quando l'enfasi del concilio Vaticano II sul laicato non provocò una incisiva reazione a favore della Chiesa laicizzata. Tuttavia, il fenomeno si è prodotto in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa perché è stato semplicemente un'altra manifestazione della dimensione carismatica della Chiesa in opposizione a quella gerarchica. Questa dimensione carismatica è, di fatto, riferita a tre tempi nei primi due capitoli della Lumen gentium. Questa riscoperta della dimensione carismatica come uno degli "elementi costitutivi" della Chiesa è stata descritta da Papa Giovanni Paolo II come uno dei risultati più importanti del concilio. (Movimenti nella Chiesa: Atti del Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali, Roma, 27-29 maggio 1998, Città del Vaticano: Pontificium Consilium pro Laicis, 1999, 221). La Lumen gentium ha utilizzato il nuovo termine teologico "carisma", traslitterazione della parola greca del Nuovo Testamento charisma, invece dell'espressione tomista gratia gratis data ("grazia data liberamente"). Com'è naturale, dunque, Newman non utilizza il termine carisma. Però, l'idea di grazie speciali donate agli individui a beneficio di tutta la Chiesa è stata una parte importante del pensiero di Newman sia come anglicano sia come cattolico. Il Newman anglicano comprese bene il significato immenso del carisma monastico quando la Chiesa non era più perseguitata, ma era divenuta la religione di Stato e correva il rischio di diventare troppo di questo mondo. In altre parole, la dimensione carismatica della Chiesa è essenziale per i cristiani che desiderano praticare la propria fede in un modo più impegnato e devoto. Come la Lumen gentium, Newman insiste sul fatto che i carismi hanno bisogno di una gerarchia che li regoli: "L'entusiasmo viene moderato e raffinato sottomettendolo alla disciplina della Chiesa invece di lasciarlo libero di esprimersi al di fuori di quest'ultima". Newman fu sempre consapevole del fatto che i carismi non vengono donati a beneficio solo di chi li riceve, ma anche di tutta la Chiesa. Quindi essi sono la risposta dello Spirito Santo alle necessità specifiche della Chiesa in un determinato momento. Dopo la conversione, Newman divenne oratoriano. Pensò, infatti, che quel carisma fosse importante nella Riforma cattolica per la rigenerazione del clero diocesano. Ciononostante, per certi versi considerò gli oratoriali anche come i primi monaci, che neanche emettevano voti. Newman riteneva che il carisma di san Filippo risalisse in maniera evidente al cristianesimo primitivo che era "semplice e puro" e al quale, non da ultimo, partecipavano in via straordinaria per quel tempo, anche i laici. In un sermone del 1850 definì i santi Benedetto, Domenico e Ignazio "tre venerabili Patriarchi i cui Ordini si spartiscono l'ampiezza della storia cristiana". Di certo, Filippo fu una figura minore se paragonato a quei giganti, ma Newman ha evidenziato che "egli imparò da tutti tre in successione". Sebbene nel suo vocabolario non vi fosse il termine "carisma" e vivesse in un'epoca nella quale la dimensione gerarchica della Chiesa era estrema, Newman non sottovalutò mai il significato della dimensione carismatica. Newman in realtà anticipò i movimenti e le comunità ecclesiali del XX secolo, non solo attraverso la sua ecclesiologia di comunione organica, ma anche nella pratica. Infatti guidò un movimento del proprio tempo, il Movimento di Oxford o Trattariano, che lungi dall'essere un'associazione clericale, come alcuni dei suoi fautori avevano inizialmente desiderato, consistette di laici e di ecclesiastici ed ebbe fra i suoi membri più importanti proprio dei laici. In seguito, al momento del ripristino della gerarchia cattolica nel 1850, Newman sperò che un movimento del genere potesse sorgere per sostenere la causa cattolica, ma la natura clericale del cattolicesimo del XIX secolo lo impedì. L'importanza che Newman attribuiva alla dimensione carismatica della Chiesa è in pieno accordo con l'insegnamento della Lumen gentium. L'importanza delle grandi figure carismatiche della Riforma cattolica nel XVI secolo è indubbia. In particolare senza sant'Ignazio di Loyola e senza la Società di Gesù è difficile capire in che modo avrebbero potuto realizzarsi le riforme del concilio di Trento. Nello stesso modo, non possiamo allora affermare che la realizzazione autentica degli insegnamenti del Vaticano II, ovvero una realizzazione in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa, è inseparabile dai carismi che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa nell'ultima metà del XX secolo? Di certo, i movimenti e le comunità ecclesiali che Papa Benedetto XVI ha definito il quinto grande movimento dello Spirito nella storia della Chiesa (Movimenti nella Chiesa, 23, 51), sembrano manifestare due tipi di sviluppo che, secondo Newman, sarebbero i risultati caratteristici del concilio.

(©L'Osservatore Romano - 26 novembre 2010)

Monday, November 22, 2010

MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI Al SIMPOSIO di Roma SU JOHN HENRY NEWMAN


Questo è il messaggio che Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti al Simposio organizzato a Roma in questi giorni dal "Centro Internazionale Amici di Newman" sul tema: “Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman”.





* * *

Al Reverendo Padre

HERMANN GEISSLER, F.S.O.

Direttore dell’International Centre of Newman Friends

Mentre in me è ancora viva la gioia per aver potuto proclamare beato il Cardinale John Henry Newman, durante il mio recente viaggio nel Regno Unito, rivolgo un cordiale saluto a Lei, agli illustri Relatori e a tutti i partecipanti al Simposio organizzato a Roma dal Centro Internazionale Amici di Newman. Esprimo il mio apprezzamento per il tema scelto: "Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman". Con esso infatti viene posto in giusta evidenza il teocentrismo come prospettiva fondamentale che ha caratterizzato la personalità e l’opera del grande teologo inglese.

E’ ben noto che il giovane Newman, nonostante avesse potuto conoscere, grazie alla madre, la "religione della Bibbia", attraversò un periodo di difficoltà e di dubbi. ! quattordici anni subì, infatti, l’influsso di filosofi come Hume e Voltaire e, riconoscendosi nelle loro obiezioni contro la religione, si indirizzò, secondo la moda umanista e liberale del tempo, verso una specie di deismo.

L’anno successivo, tuttavia, Newman ricevette la grazia della conversione, trovando riposo "nel pensiero di due soli esseri assoluti e luminosamente evidenti in se stessi, me stesso e il mio Creatore" (J.H. Newman, Apologia pro vita sua, Milano 2001, pp. 137-138). Scoprì quindi la verità oggettiva di un Dio personale e vivente, che parla alla coscienza e rivela all’uomo la sua condizione di creatura. Comprese la propria dipendenza nell’essere da Colui che è il principio di tutte le cose, trovando così in Lui l’origine e il senso dell’identità e singolarità personale. È questa particolare esperienza che costituisce la base per il primato di Dio nella vita di Newman.

Dopo la conversione, egli si lasciò guidare da due criteri fondamentali – ricavati dal libro La forza della verità, del calvinista Thomas Scott – che manifestano appieno il primato di Dio nella sua vita. Il primo: "la santità piuttosto che la pace" (ibid., p. 139), documenta la sua ferma volontà di aderire al Maestro interiore con la propria coscienza, di abbandonarsi fiduciosamente al Padre e di vivere nella fedeltà alla verità riconosciuta. Questi ideali avrebbero in seguito comportato "un grande prezzo da pagare". Newman infatti, sia come anglicano che come cattolico, dovette subire tante prove, delusioni e incomprensioni. Tuttavia, mai si abbassò a falsi compromessi o si accontentò di facili consensi. Egli rimase sempre onesto nella ricerca della verità, fedele ai richiami della propria coscienza e proteso verso l’ideale della santità.

Il secondo motto scelto da Newman: "la crescita è la sola espressione di vita" (ibid.), esprime compiutamente la sua disposizione ad una continua conversione, trasformazione e crescita interiore, sempre fiduciosamente appoggiato a Dio. Scoprì così la sua vocazione al servizio della Parola di Dio e, rivolgendosi ai Padri della Chiesa per trovare maggiore luce, propose una vera riforma dell’anglicanesimo, aderendo infine alla Chiesa cattolica. Riassunse la propria esperienza di crescita, nella fedeltà a se stesso e alla volontà del Signore, con le note parole: "Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni" (J.H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, Milano 2002, p. 75). E Newman è stato lungo tutta la sua esistenza uno che si è convertito, uno che si è trasformato, e in tal modo è sempre rimasto lo stesso, ed è sempre di più diventato se stesso.

L’orizzonte del primato di Dio segna in profondità anche le numerose pubblicazioni di Newman. Nel citato saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana, scrisse: "Vi è una verità; vi è una sola verità; ... la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla" (pp. 344-345). Il primato di Dio si traduce dunque, per Newman, nel primato della verità, una verità che va cercata anzitutto disponendo la propria interiorità all’accoglienza, in un confronto aperto e sincero con tutti, e che trova il suo culmine nell’incontro con Cristo, "via, verità e vita" (Gv 12,6). Newman rese perciò testimonianza alla Verità anche con la sua ricchissima produzione letteraria spaziando dalla teologia alla poesia, dalla filosofia alla pedagogia, dall’esegesi alla storia del cristianesimo, dai romanzi alle meditazioni e alle preghiere.

Presentando e difendendo la Verità, Newman fu sempre attento anche a trovare il linguaggio appropriato, la forma giusta ed i1 tono adeguato. Cercò di non offendere mai e di rendere testimonianza alla gentile luce interiore ("kindly light"), sforzandosi di convincere con l’umiltà, l’allegria e la pazienza. In una preghiera rivolta a san Filippo Neri ebbe a scrivere: "Che il mio aspetto sia sempre aperto e allegro, e le mie parole gentili e piacevoli, come conviene a coloro i quali, qualunque sia lo stato della loro vita, godono del più grande di tutti i beni, del favore di Dio e dell’attesa dell’eterna felicità" (J.H. Newman, Meditazioni e preghiere, Milano 2002, pp. 193-194).

Al beato John Henry Newman, maestro nell’insegnarci che il primato di Dio è il primato della verità e dell’amore, affido le riflessioni e il lavoro del presente Simposio, mentre, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, sono lieto di impartire a Lei e a tutti i partecipanti l’implorata Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti favori celesti.

Dal Vaticano, 18 novembre 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Sunday, November 21, 2010

Il primato di Dio nella vita e negli scritti

del beato John Henry Newman

22-23 novembre 2010

Pontificia Università Gregoriana

Piazza della Pilotta, 4 00187 Roma

organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newmanin in cooperazione con la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana. Un’iscrizione per la partecipazione non è necessaria.

più informazioni sul programma del Simposio

John Henry Newman (1801-1890), proclamato beato da Benedetto XVI il 19 settembre 2010, appartiene ai più geniali pensatori cristiani e continua a toccare le menti e le coscienze del nostro tempo. Come appassionato ricercatore della verità, instancabile promotore della cultura umana e cristiana, profondo conoscitore delle anime e figlio obbediente della Chiesa, ha saputo unire un pensiero forte con la testimonianza della vita, ponendo sempre Dio al primo posto.

Il Simposio cerca di mostrare il significato e l’attualità della sua ricerca di Dio (prima sessione) tenendo conto di alcune sfide del nostro tempo (seconda sessione) e valorizzando la sua profonda spiritualità (terza sessione) che spinge alla missione (quarta sessione). I relatori, scelti tra i più autorevoli studiosi di Newman a livello internazionale, affrontano con approcci diversi la grande questione di Dio che inquieta il cuore degli uomini di tutti i tempi.

Sarà prevista la traduzione simultanea.

Per ulteriori informazioni:

International Centre of Newman Friends

Via Aurelia 257, 00165 Roma

Tel.: 06 / 63 70 304

centro.newman@tiscali.it

www:newmanfriendsinternational.org

Facoltà di Teologia
Pontificia Università Gregoriana
Piazza della Pilotta 4, 00187 Roma
teologia@unigre.it

www.unigre.it

Il Simposio è sponsorizzato dalla Conferenza Episcopale dell’Inghilterra e del Galles.

Friday, November 12, 2010

Seminario sui BB. Newman e Barberi

Presso la Pontificia Università Lateranense - Cattedra Gloria Crucis, si tiene oggi un Seminario di studio su “Il Cardinale John Henry Newman e il Passionista Domenico Bàrberi”, moderato dal P. Prof. Fernando Taccone, CP, Direttore della Cattedra Gloria Crucis e con le seguenti relazioni: “La croce di John Henry Newman”, Prof. Giovanni Velocci, CSSR; “Il ruolo della coscienza nel dialogo tra fede e ragione secondo Newman: un aiuto per il superamento della tensione tra integralismo e nichilismo”, Prof. Maceri Francesco, SJ; “Rapporto attuale tra Chiesa Cattolica e Anglicana” Ven. Jonathan Boardman, Vicario Generale per la Chiesa d'Inghilterra in Italia e Malta; “Costituzione Apostolica "Anglicanorum coetibus" e i suoi frutti” Prof. Mons. Mark Langhan, Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani; “Pensiero filosofico di Bàrberi”, Prof. Adolfo Lippi, CP; “Beato Domenico Bàrberi: Lettera profetica al Movimento di Oxford”, Prof. Domenico Curcio, CP; “Pedagogia e schema del dialogo tra un cattolico e un anglicano” del B. Domenico Barberi, opera inedita, Prof. Giuseppe Comparelli, CP; “Un testimone: Padre Ignazio Spencer, CP” Prof. Paul Francis Spencer, CP.

Il Seminario si apre con il saluto di S. E. R. Mons. Enrico dal Covolo, SDB, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense e del Rev.mo P. Edoardo Aldo Cerrato, Procuratore Generale degli Oratoriani, cui segue la Introduzione del Rev.mo P. Ottaviano D'Egidio, CP, Superiore Generale dei Passionisti.

Saluto del P. Procuratore Generale

Eccellenze,
Chiarissimi Professori,
Rev.mi Padri
e cari amici,

è con profonda gioia che porgo a tutti i presenti il saluto della Famiglia Oratoriana, ringraziando la Cattedra Gloria Crucis ed il suo Direttore, P. Fernando Taccone, per questa apprezzata iniziativa del Seminario di studio su “Il Cardinale John Henry Newman e il Passionista Domenico Bàrberi”, due figure entrambe care ai discepoli di San Filippo Neri, per il rapporto che le lega nella vicenda che portò Newman ad entrare nella Chiesa Cattolica.

Non ho mancato, infatti, lo scorso 27 agosto, mentre l’Oratorio si preparava alla Beatificazione del Card. Newman, di ricordare, in modo speciale, a tutta la nostra Famiglia il B. Domenico della Madre di Dio nel giorno della sua memoria liturgica, e mi è gradito ricordarlo oggi, in occasione di questo Seminario di studio per il quale formulo i migliori auguri di proficuo lavoro.

Elevando il sacerdote passionista alla gloria degli altari, durante lo svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II, il servo di Dio Paolo VI, dopo averne delineato la figura ed i meriti affermava:

«Fu Padre Domenico, colui che la sera dell’ottobre 1845, a Littlemore, raccolse la professione decisiva di fede cattolica di quel singolarissimo spirito che fu Newman. La straordinaria importanza di quel semplice avvenimento e la ognora crescente grandezza del celebre Inglese riverberano sull’umile religioso una luce folgorante. Subito viene al nostro labbro la domanda: fu lui a convertire il Newman? quale fu l’influsso di Padre Domenico su di lui?

Queste domande sono tutt’oggi di vivissimo interesse e se le risposte non possono attribuire al nostro Beato il merito diretto di quella formidabile conversione, maturata, come si sa, dopo laboriosissime e drammatiche meditazioni, debbono però riconoscergli due altri meriti notevolissimi: quello di aver ascoltato un’arcana, inesplicabile vocazione, nettamente enunciata alla sua anima, fino dai primi anni della sua vita religiosa di consacrare il suo ministero apostolico all’Inghilterra, dove ancora i Passionisti non avevano messo piede. […] Padre Domenico sarà il primo Passionista ad entrare in Inghilterra, e, lui vivente, darà origine colà a quattro case della sua Congregazione, che, nell’opinione umana, non si sarebbe detta rispondente alla mentalità inglese. Invece le vie del Signore sono diverse. Perché possiamo ascrivere a nuovo merito del novello Beato aver recato l’immagine più adatta ad attrarre la stima e l’ammirazione del Newman, che farà della figura di quell’umile Religioso un personaggio impressionante d’un suo libro (Loss and Gain), e che lo ricorderà nella famosa «apologia» con semplicissime ma eloquenti parole: «È un uomo semplice e santo ed allo stesso tempo dotato di notevoli talenti. Non conosce le mie intenzioni, ma io intendo chiedergli l’ammissione nell’Unico Ovile di Cristo . . .» (Cap. VII, verso la fine). E scriverà poi: «Padre Domenico fu un mirabile missionario. Un predicatore pieno di zelo. Egli ebbe una grande parte nella conversione mia ed in quella di altri. Il solo suo sguardo aveva qualche cosa di santo. Quando la sua figura mi veniva alla vista, mi commoveva profondamente nella più strana maniera. La gaiezza e l’affabilità del suo tratto, congiunta a tutta la sua santità era già per me un santo discorso. Nessuna meraviglia quindi che io divenissi suo convertito e suo penitente. Egli aveva un grande amore per l’Inghilterra . . .» (Deposizione al Card. Parrocchi, cfr. P. Fed. p. 474).

E questo basta ora per noi. Ma è da credere e da augurare che l’accostamento di queste due sante figure, il Beato Padre Domenico e il Cardinale John Henry Newman, non lascerà più il nostro spirito, che continuerà a pensare al senso misterioso del loro incontro con grande speranza e con prolungata preghiera».

Con queste convinzioni, così altamente espresse, rinnovo a tutti i presenti il saluto della Confederazione dell’Oratorio e gli auguri di buon lavoro.

P. Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
Procuratore Generale

I Passionisti celebrano la figura del Beato Newman con un Seminario e un Oratorio

Il cardinale John Henry Newman, recentemente beatificato da Benedetto XVI nel suo viaggio apostolico nel Regno Unito, viene oggi celebrato con due iniziative, promosse dai Passionisti: un convegno alla Pontificia Università Lateranense e un Oratorio, “Il sogno di Domenico”, che verrà eseguito stasera per la prima volta. Le iniziative mettono l’accento in particolare sul legame tra il Beato Newman e il Beato Domenico Barberi che lo accolse nella Chiesa cattolica dopo la sua conversione. Alessandro Gisotti ha intervistato il passionista, padre Fernando Taccone su questa giornata dedicata a Newman:

R. – Chi ha accolto nella Chiesa cattolica John Henry Newman per la sua conversione è stato il nostro passionista padre Domenico Bàrberi, beatificato durante il Concilio Ecumenico Vaticano II da Paolo VI, nel 1963. Addirittura, in quella circostanza, Paolo VI, nel discorso di Beatificazione del Beato Domenico, parlò – sembrò ad alcuni - più del Newman che non, forse, del nostro Beato Domenico! La Beatificazione sta a sottolineare l’attenzione al ruolo del nostro Beato nella conversione e, quindi, anche nel processo iniziale di santità di Newman. Con questo seminario stiamo operando un congiungimento e lo spiega Newman stesso, nel suo “Apologia pro vita sua”: “Grande parte ha avuto nella mia conversione e nella mia vita Domenico Bàrberi”.

D. – Qual è il messaggio comune che questi due Beati danno agli uomini e ai fedeli di oggi?

R. - Il messaggio comune che danno è la ricerca della verità, la ricerca della verità a tutti i costi. E la verità per lui non era una realtà intellettuale: la verità è Cristo, la verità è la sua Parola. Questo è il messaggio grande che loro danno.

D. – Una ricerca della verità che accomuna fede e ragione?

R. – Fede e ragione per togliere tutte quelle ambivalenze, tutti quei contrasti che potrebbero esserci. La tesi grande del Newman, nello specifico, è proprio che il problema di fede e ragione viene risolto dalla coscienza. Per cui, la formazione della coscienza è fondamentale, perché è lì, nella coscienza, nel fondo di ogni uomo che c’è la presenza di Dio … Ecco che fede e ragione possono ben confrontarsi sul terreno della coscienza. (bf)

Monday, October 25, 2010

Arriva il film sul beato Newman

Arriva il film sul beato Newman

By Rai Vaticano | Ottobre 21, 2010

John Henry Newman, il grande sacerdote beatificato dal Santo Padre nel settembre scorso durante il suo viaggio in Gran Bretagna, sarà presto il protagonista di un film.

La figura di Newman, il santo delle conversioni, sarà portata sugli schermi da Murray Abraham (premio Oscar per “Amadeus”), in un film scritto e diretto da Liana Marabini, regista specializzata nella storia della Chiesa. La lavorazione del film è iniziata in questi giorni e si svolgerà nei “luoghi di Newman”: Roma, Littlemore, Oscott, Birmingham e Oxford, mentre alcune scene d’interno saranno registrate negli studi di Condor Pictures di Cortazzone, in Piemonte.

Al fianco di Abraham, Nastassja Kinski, che torna al cinema dopo alcuni anni di assenza dagli schermi, segnati da un periodo di profonda conversione.

The Unseen World“, il mondo invisibile: con questo titolo la regista Liana Marabini vuole rappresentare uno stato metafisico di contatto dell’uomo con Dio al quale Newman fa spesso riferimento nella sua opera. L’azione ha come sfondo l’Inghilterra vittoriana in un gioco di opposizione tra passato e futuro, tra colonialismo e suffragette, eterno conflitto tra bene e male.

Conversione, liturgia, tradimento, castità dei preti: questi i complessi temi trattatati con l’intento di farci entrare nel mondo sacerdotale per meglio comprenderlo con profondità e chiarezza. Il film affronterà in particolare la nozione di “amicizia spirituale”, privilegio riservato a pochi, illustrando il profondo legame tra Newman e Ambrose St. John: un legame, durato oltre la morte, che ha sempre creato sospetti, curiosità morbosa ed altre zone d’ombra, nelle quali il film porta la luce della giustizia.

Valorizzare l’immagine della Chiesa attraverso i media ed evangelizzare la cultura: questo è il percorso intrapreso dalla Marabini attraverso i suoi film ed altre iniziative, tra cui la fondazione di “Mirabile Dictu, International Catholic Film Festival”, spazio di espressione riservato a produttori e registi di film con valori ed eroi positivi.

Per informazioni contattare:
Ufficio Stampa RomePressRoom
romepressroom@gmail.com
tel. +39 345 / 6350159

Thursday, October 21, 2010

"John Henry Newman" di Lina Callegari

"John Henry Newman" di Lina Callegari

Ares, 432 pp., 23 euro

Non sono poche le biografie di Newman uscite negli ultimi tempi, auspice la circostanza della beatificazione. Eppure il libro di Lina Callegari appena arrivato in libreria è tutt’altro che superfluo. La studiosa infatti, che al porporato inglese ha già dedicato più d’uno studio, confeziona il suo racconto facendo ampio ricorso a fonti di prima mano – in primis la corrispondenza –, buona parte delle quali appaiono qui in italiano per la prima volta.

Così il lettore può vedere i sentimenti contrastanti del giovane Newman al momento dell’ordinazione: “Dio, mi sento sempre più felice… Ora sulla via del ritorno a casa, quanto è duro il mio cuore, quanto è morta la mia fede”; può ascoltarne in presa diretta la fatica quando gli studi lo portano verso Roma: “E’ da più di cinque anni che si è fatta strada per la prima volta questa convinzione, sebbene io l’abbia combattuta e superata. Credo che tutti i miei sentimenti e desideri siano contro questo cambiamento”; può partecipare degli scrupoli nei confronti di quanti lo avevano fino allora seguito: “Ciò che mi strazia veramente è il disorientamento mentale che il mio cambiamento causerebbe a molti… la tentazione a cui molti sarebbero esposti: lo scetticismo, l’indifferenza e persino l’ateismo”; può rendersi conto della consapevolezza che accompagna il grande passo: “Non ho sentito nulla che assomigliasse a una chiamata soprannaturale. Al contrario, fu una pura convinzione. Avessi in fede solo un decimo della mia convinzione intellettuale! Fin qui io sono molto benedetto, ma, ahimè, il mio cuore è così duro”; può sentire l’amarezza per l’accoglienza che gli è stata riservata: “Da quando sono diventato cattolico sono stato trattato, in molte occasioni, senza attenzione né bontà.

A Roma non ho nemmeno un amico. Ho lavorato in Inghilterra per finire con l’essere incompreso, colpito alle spalle, preso in giro. Ho lavorato in Irlanda e non si è smesso di chiudermi la porta in faccia. Credo di poterlo dire senza alcuna amarezza: ‘Incompreso’: ecco il problema”. Ma tutto questo non basta a incrinare la sua fede che “Dio governa tutte le cose” e la certezza nella bontà del suo lavoro: “il lavoro di un uomo nel suo giorno. Non il lavoro di ogni altro giorno, ma del suo proprio giorno, inevitabilmente incompleto, ma necessario in funzione del lavoro del prossimo giorno che non è il suo”. Oggi il giorno del riconoscimento del lavoro di Newman è venuto.

Sunday, October 17, 2010

La ragionevole fede di Newman

A un mese dalla beatificazione

La ragionevole fede di Newman

di Ian Ker

La beatificazione di John Henry Newman, da parte di Benedetto XVI a Birmingham il 19 settembre, non è stata solo la beatificazione di un sacerdote santo che ha vissuto e lavorato come pastore nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo, ma anche quella di una figura universale il cui culto è globale. Attraverso i suoi scritti, Newman continua a insegnare e a ispirare innumerevoli persone in tutto il mondo.
Il suo motto cardinalizio Cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore, esprime bene la sua duratura influenza spirituale, personale, un'influenza che ha condotto molti dallo scetticismo alla fede, dalla comunione parziale alla piena comunione con la Chiesa cattolica, e che ha meravigliosamente rinnovato la fede di tanti cristiani. Quelle parole le prese in prestito da un altro grande umanista cristiano, san Francesco di Sales, alcune immagini della cui vita adornano le pareti della cappella privata del cardinale nell'Oratorio di Birmingham.
Spesso chiamato "il padre del concilio Vaticano ii", Newman nella sua opera teologica classica Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana insegna che la Chiesa deve cambiare o svilupparsi non per essere diversa, ma per essere la stessa. Il concilio, quindi, deve essere interpretato autenticamente in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa. La sua teologia della coscienza, che ha avuto un effetto tanto profondo su Benedetto XVI quando ancora era un giovane seminarista, dopo gli orrori del totalitarismo nazista, ricorda alla Chiesa la distinzione tra una coscienza autentica che sente l'eco della voce di Dio e una coscienza "contraffatta", che non è altro che "un egoismo previdente, un desiderio di essere coerenti con se stessi". Scrive Newman: "Quando gli uomini difendono i diritti della coscienza, in nessun modo intendono i diritti del Creatore né il dovere della creatura verso di Lui, nel pensiero e nei fatti; bensì il diritto di pensare, parlare, scrivere e agire secondo il loro giudizio o umore, senza neanche un pensiero a Dio".
Pertanto, osserva ironicamente, in una società secolarizzata "è diritto e libertà di coscienza fare a meno della coscienza, ignorare un Legislatore e Giudice, essere indipendenti da obblighi invisibili".
L'invito rivolto dal concilio Vaticano ii a tutti i cristiani battezzati a vivere secondo una coscienza ben informata e ad aspirare alla santità è stato più che anticipato dai noti sermoni del beato John Henry, allora ancora anglicano, nella chiesa universitaria di Santa Maria Vergine a Oxford. In essi esortava incessantemente la congregazione a perseguire la perfezione. Queste omelie parlano ancora con forza ai cristiani e sono giustamente considerate classici della spiritualità cristiana.
Newman, il più influente tra i pensatori cattolici moderni, cercò di conciliare la ragione con la fede nei suoi Sermoni all'Università di Oxford - sermoni anglicani - con i quali sfidava la comprensione impoverita che l'Illuminismo aveva della ragione. Completò la sua giustificazione della fede religiosa come del tutto ragionevole nel suo opus magnum cattolico, Grammatica dell'assenso. Newman è considerato uno dei principali filosofi della religione, il cui pensiero riecheggia con forza nella sollecitudine di Benedetto XVI a favore della riconciliazione tra la fede e la ragione.
L'umanesimo cristiano di Newman ricorda il suo connazionale san Tommaso Moro, autore di Utopia, ma il beato John Henry è stato anche un figlio autentico del santo rinascimentale Filippo Neri, fondatore dell'Oratorio, che ha resistito allo "sforzo violento (...) di porre il genio umano, il filosofo e il poeta, l'artista e il musicista, in contrasto con la religione". Nel suo L'idea di università Newman ribadisce che "Conoscenza e Ragione sono ministri certi della Fede" e che la Chiesa "non teme la conoscenza" poiché "tutti i rami della conoscenza sono collegati tra loro, perché il soggetto-materia della conoscenza è intimamente unito in sé, essendo atti e opera del Creatore". Non può esistere vero conflitto tra religione e scienza poiché "la verità non può essere contraria alla verità".
San Tommaso Moro era uno statista e uno studioso, Lord Cancelliere d'Inghilterra e amico di Erasmo. Ma era anche un devoto uomo di famiglia. Chiamato misteriosamente a una vita di verginità quando aveva quindici anni, Newman si rallegrava però di avere una famiglia ristretta di amici e ci ricorda il concetto di amicizia che è andato quasi perso in una cultura secolare che riconosce praticamente solo le cosiddette "relazioni".
Sia nella sua parrocchia anglicana di Santa Maria Vergine a Oxford, sia nella parrocchia dell'Oratorio di Birmingham, Newman è sempre stato un sacerdote pastore. Tuttavia, come documentano le numerose lettere, la sua parrocchia si estendeva ben oltre i propri confini. Tutti coloro che gli scrivevano esprimendo domande e preoccupazioni ricevevano immancabilmente una risposta. La sua estrema cortesia e la sua umiltà verso tutti sono una testimonianza eloquente della sua santità, una santità che ora la Chiesa ha formalmente riconosciuto.

(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2010)

Friday, October 15, 2010

1000

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Monday, October 11, 2010

From Island to Island

di Andrea Velardi

Il viaggio di Benedetto XVI a Palermo riveste molteplici significati. Partiamo dal primo. Il papa è reduce dal viaggio in Inghilterra dove ha beatificato il grande filosofo e teologo ma anche poeta e romanziere John Henry Newman, personaggio di spicco della cultura britannica, considerato unanimemente padre e dottore della Chiesa moderna. A prescindere dal fatto di essere credenti o meno, la vita e il pensiero di questo studioso rivestono un fascino e una idealità davvero straordinarie. E si prestano a una lettura che ha qualcosa di arcano e di misteriosamente letterario. Non fosse altro che per la profondità e la coerenza del suo percorso interiore, per la libertà del suo porsi interrogativi e ricercarne a lungo e nel dettaglio le risposte. Con una palpitante e inappagata sete di verità e di conoscenza.

Pochi sanno che in Sicilia si compì la gestazione di questo cammino iniziato molti anni prima da Newman e che questo particolare occupa due pagine intense della Apologia pro vita sua (pp. 172-173), l’autobiografia dedicata da Newman al suo travagliato passaggio dalla Chiesa anglicana a quella cattolica. Aveva appena parlato a Roma con Nicholas Wiseman, rettore del Collegio inglese e futuro arcivescovo cattolico di Westminster. Prima di ripartire, Newman volle tornare a visitare la Sicilia da solo. Quella terra lo aveva colpito. Mentre partiva da Roma, il presentimento che qualcosa stesse per cambiare nella sua vita “si era fatto ancora più forte”.

Durante il viaggio si spinge “fino nel cuore dell’isola”, e nel paesino di Leonforte, in provincia di Enna, viene colpito da febbre tifoidea. Il servitore pensa che stia per morire e gli chiede le ultime disposizioni. Newman non vuole morire, sa che non morirà, deve compiere la sua opera. “Non vedevo l’ora di tornare a casa; ma per mancanza di una nave dovetti fermarmi per altre tre settimane a Palermo. Cominciai a visitare le chiese, ed esse calmarono la mia impazienza, anche se non assistevo ad alcuna funzione. Non sapevo niente della presenza del Santissimo Sacramento. Finalmente potei imbarcarmi in una nave carica di arance, diretta a Marsiglia. Fu allora che scrissi la poesia Lead, Kindly Light, divenuta poi ben nota”.

Continua qui.

Saturday, October 9, 2010

Da Viva il Concilio

Sul sito Viva il Concilio, promuovere e valorizzare il Vaticano II, alla sezione Precursori, ho trovato questo bel testo che analizza la teologia conciliare alla luce dell'insegnamento di Newman.

SIEBENROCK R. A., Vivere e cambiare: Analisi sistematica dal punto di vista teologico del Concilio Vaticano II alla luce della criterologia del saggio su "Lo sviluppo della dottrina cristiana" di Newman

in: Una ragionevole fede. Logos e dialogo in John Henry Newman, Vita & Pensiero, Milano 2009, pp. 75-84.

Negli ultimi anni si è sviluppato un vivace dibattito attorno alla questione dell'ermeneutica del Concilio Vaticano II, in particolare sulla continuità del suo insegnamento con il magistero cattolico precedente. Nel testo proposto R. A. Siebenrock, professore di teologia sistematica ad Innsbruck, interpreta il tipo di cambiamento che è di fatto scaturito dal Concilio alla luce dei criteri suggeriti del card. John Henry Newman (1801-1890) nel classico testo "Lo sviluppo della dottrina cristiana" per valutare il realizzarsi di un vero sviluppo della dottrina ecclesiale. Secondo l'Autore, il contributo del teologo e prelato inglese risulta essere in sintonia con quell'ermeneutica conciliare della riforma nella continuità che Benedetto XVI ha recentemente difeso in opposizione ad una prospettiva di discontinuità.

Link al documento




Traduzioni del proprium

Sul sito della Congregazione dell'Oratorio trovate tutte le traduzioni ufficiali del proprium della memoria del Beato Newman.
http://www.oratoriosanfilippo.org/08-10-2010(2).html

Friday, October 8, 2010

Il Papa domani celebra la Messa in memoria del card. Newman

Roma, 8 ott (Il Velino)

A quanto apprende il VELINO, domani mattina, per la prima volta, il Papa celebrerà la Messa nella Memoria del cardinale John Henry Newman, da lui beatificato lo scorso 19 settembre a Birmingham (Gran Bretagna).
Per la celebrazione sarà usato con molta probabilità il Comune dei santi del Messale Romano, anche se la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha approvato proprio oggi “in extremis” i testi liturgici (Colletta e Ufficio delle letture) propri. In particolare, la Colletta (preghiera che il sacerdote legge durante la Messa prima delle letture del giorno) è stata mutuata dall’epitaffio che si trova sulla tomba del beato: “O Dio - è la nuova preghiera -, che con la tua luce benigna hai guidato il beato Giovanni Enrico, sacerdote, a trovare pace nella tua Chiesa, concedi a noi, per sua intercessione e con il suo esempio, di essere condotti dalle ombre e dalle apparenze alla pienezza della tua verità”.
A livello diocesano la celebrazione può svolgersi solo in Gran Bretagna, in quanto il culto del beato ha carattere specificamente locale, ma ancora non sono giunte richieste in tal senso al dicastero per il culto divino, che deve dare l’autorizzazione finale. Ad oggi, la Memoria del beato può essere celebrata solo nelle chiese rette dagli oratoriani (alla cui famiglia religiosa appartiene il beato), in tutto il mondo. E dal Papa.

Marinella Bandini

© Copyright Il Velino

Friday, October 1, 2010

Né idolo né demonio. J. H. Newman e la ferrovia

"Né idolo, né demonio. John Henry Newman e l’avvento della ferrovia", L’Osservatore Romano, mercoledì 15 settembre 2010, p. 5

di Enrico Reggiani (Università Cattolica del Sacro Cuore)


Chi ragiona del ruolo storico e culturale della ferrovia nel xix secolo tende spesso a non accontentarsi di definirlo con i neutrali railway age o railway experience, ma a prediligere espressioni più radicali quali railway invasion (“invasione ferroviaria”) e railway revolution (“rivoluzione ferroviaria”) – entrambe giustificate, ad esempio, da constatazioni come quella dello storico Harold Perkin (1926-2004), il quale scrisse che “gli uomini che costruirono le ferrovie non stavano soltanto creando un mezzo di trasporto, (ma, al contrario) stavano contribuendo alla creazione di una nuova società e di un nuovo mondo”.


A tali definizioni, tra gli studiosi della cultura letteraria di lingua inglese (e non) nella fase della transizione tra i secoli xix e xx, c’è chi ha risposto rincarando la dose e suggerendo di interpretare la ferrovia come “metafora culturale” per eccellenza di quel periodo – una sorta di cartina di tornasole culturale o di inappellabile spartiacque tra cultori del passato e portatori di progresso, come dimostra, ad esempio, la posizione espressa dal personaggio di Sue Bridehead nel romanzo Giuda l’Oscuro (1895) di Thomas Hardy (1840-1928): “”E se andassimo a sederci nella Cattedrale?”, (Jude) le chiese quando ebbero finito di cenare. “Nella Cattedrale? Sì. Anche se per quanto mi riguarda preferirei andare a sedermi alla stazione”, (Sue) rispose, con un residuo di rabbia nella voce. “È là il centro della vita cittadina, ora. La Cattedrale ha fatto il suo tempo!”. “Come sei moderna, tu!”. “Anche tu lo saresti se fossi vissuto tanto a lungo nel medioevo, come me in questi ultimi anni! La cattedrale era un ottimo posto quattro o cinque secoli fa; non più ora… ma non sono moderna. Se solo mi conoscessi, diresti che sono più antica del medioevo”. Jude la guardò smarrito”.

Anche tra le fila dei cristiani di lingua inglese tra Regno Unito e Irlanda vi furono intellettuali che coltivarono un’analoga mistica della nuova tecnologia ferroviaria, che elevava quest’ultima al rango di “un nuovo tipo di religione o di Chiesa”. [...]


[il resto dell'articolo è reperibile in questo pdf scaricabile. Buona lettura. L'ampio saggio da cui questo articolo è tratto è stato pubblicato in questo volume]